di Alessandra Zanchi
“Stile” intervista Fernando Mazzocca, curatore – con Sandra Pinto e Liliana Barroero – della mostra “Maestà di Roma. Da Napoleone all’Unità d’Italia”, aperta nella Capitale fino al 29 giugno.
Professor Mazzocca, ancora una mostra su Napoleone e l’Ottocento. Cosa ci dice di questo appuntamento, che conferma ormai il perdurare di un revival sul Neoclassicismo?
Questa esposizione nasce con l’intento di dimostrare la continuità del mito classico anche nell’Ottocento, fino ad un’età abbastanza avanzata, all’Unità d’Italia e a Roma capitale; abbracciando dunque il periodo storico-artistico che dal Neoclassicismo va al Romanticismo, fino al Risorgimento. Ed è la prima volta che si affrontano tali momenti storici in un rapporto di continuità. C’è inoltre il desiderio di stabilire un filo conduttore fra la tradizione classicista dell’Umanesimo rinascimentale, quella secentesca del Bellori – a cui si è dedicata la recente mostra sull’“Idea del Bello” -, e quella riassunta in questa mostra, che vuole essere una sorta di “ultima tappa” di uno dei percorsi fondamentale della storia dell’arte.
Quali sono i criteri e le tematiche portanti della rassegna?
Occasione della mostra è anche il bicentenario dell’insediamento dell’Accademia di Francia a Villa Medici, che è sede della sezione “Da Ingres a Degas”, curata da Olivier Bonfait. Si tratta di una panoramica sugli artisti d’oltralpe a Roma, soprattutto pittori, che si sono confrontati con la tradizione classica. Panoramica che dimostra sostanzialmente il filone francese del classicismo, i cui punti di riferimento erano appunto Ingres e Degas, mentre in patria scorreva parallelo il filone del Romanticismo e poi dell’Impressionismo. Le altre due sedi in cui si sviluppa la mostra – le Scuderie Papali e la Galleria Nazionale d’Arte moderna – sono invece complementari: Qui diverse sezioni tematiche e cronologiche – per esempio, ve n’è una tutta incentrata sul Quarantotto – documentano l’arte a Roma come centro culturale egemone dell’Italia preunitaria.
Molto affascinante è l’idea di rivedere a Roma i capolavori qui concepiti e realizzati da Canova, Thorvaldsen, Hayez e molti altri italiani e stranieri. Ci fa qualche esempio significativo?
La mostra ha i suoi punti di forza nei capolavori di artisti italiani, come Canova e Hayez, ma anche di molti stranieri presenti a Roma, per esempio i Nazareni tedeschi, e poi artisti russi e americani. Si possono quindi vedere a confronto le creazioni dei due capofila della scultura neoclassica, notoriamente rivali, Canova e Thorvaldsen, con le rispettive “Veneri Italiche”, e poi opere che effettivamente tornano a Roma dopo due secoli, come “La fuga da Pompei” di Bryullov, proveniente dal Museo di San Pietroburgo, che è un’assoluta novità.
D’altronde, in Roma si crearono vere e proprie colonie di artisti stranieri carpiti dall’atmosfera dell’Urbe “universale ed eterna”. Come venne differentemente percepita, nell’arco di tempo in questione, la fascinazione del glorioso passato di Roma (il mito della classicità) e il suo ruolo di capitale civilizzatrice prima dell’Impero e poi del mondo cattolico?
Le sezioni tematiche della mostra consentono di valutare come è cambiata nel tempo l’immagine di Roma attraverso le opere degli artisti nei vari generi. Ci sono grandi differenze tra le immagini del periodo neoclassico e preromantico, come la “Roma dal Vaticano” di Turner dalla Tate Gallery, e quelle più tarde, già vicine al clima simbolista di fine secolo. In sostanza, si vede molto bene il passaggio dalla visione di una Roma trionfante e gloriosa a quella di una Roma decadente e conservatrice: immagine, quest’ultima, legata alla volontà del Papato di ribadire il proprio primato contrapponendosi all’evoluzione moderna del mondo. Dal confronto tra le opere emerge inoltre un altro aspetto molto importante: mentre le manifestazioni di arte e cultura neoclassica erano fenomeno universale e di dimensione cosmopolita, nel periodo successivo l’arte classicista diventa un fatto accademico circoscritto a Roma, perché le grandi capitali europee si aprono nel frattempo alla sensibilità del moderno e diventano i nuovi centri del romanticismo e del realismo. Roma di fatto si pone come centro dell’antimodernità, anche se ancora capitale delle arti: ruolo che perderà del tutto dopo l’unità d’Italia, quando diventerà capitale di Stato.
Singolare è questa presenza di artisti russi e americani. Quando cominciarono a venire in Italia?
Alla fine del Settecento: via via diventano sempre più numerosi, fondando delle vere e proprie colonie che perdurano nel corso dell’Ottocento. Abbastanza insolito e decisamente interessante è il confronto tra questi autori che vengono a Roma e che, colpiti da un ambiente completamente estraneo al loro, elaborano un’arte un po’ diversa rispetto a quella europea. I Russi sono sostanzialmente pittori, come il già citato Bryullov, mentre gli Americani sono soprattutto scultori, come il più noto Rogers e altri celebrati nel famoso romanzo “Il fauno di marmo” di Hawthorne.
Un capitolo speciale è quello dedicato a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia, luogo di formazione e punto di partenza nella carriera artistica di molti personaggi famosi…
Vi si trovano capolavori di Ingres e Degas e dei grandi artisti che hanno lavorato come direttori dell’Accademia di Francia, come vincitori del “Prix de Rome” o semplicemente come viaggiatori. Anche qui il percorso parte dal Neoclassicismo e scorre attraverso le tipiche tematiche romane del nudo mitologico – per esempio, la “Baccante” di Pradier -, del paesaggio di Granet e Corot, della fierezza del popolo romano, con tre versioni della “Corsa dei Berberi” di Géricault. E si giunge infine agli anni Settanta dell’Ottocento, con le nuove tendenze veriste aperte da Regnault.
La mostra propone ben seicento pezzi provenienti dai più importanti musei del mondo. Ma non si tratta solo di pittura e scultura.
Ci sono molte opere di pittura, di scultura ma anche di arti applicate, e poi fotografie e disegni di varia provenienza. Vi sono pure testimonianze di architettura, come la grandiosa vicenda della ricostruzione neoclassica della Basilica di San Paolo fuori le mura dopo l’incendio del 1823, documentata da un plastico di eccezionali dimensioni, disegni, modelli e progetti.
Una sezione speciale è dedicata al genere del Ritratto…
Sì. E’ una sezione della Galleria Nazionale d’Arte moderna, con ritratti di pittori, collezionisti, committenti, viaggiatori, personaggi famosi, sia singoli che di gruppo, grazie alla quale vengono ricostruiti la società romana dell’epoca ed il dialogo esistente tra artisti, musicisti, letterati e scrittori, anch’essi variamente ritratti (per esempio, sono note la presenza di Gogol e le sue relazioni con il mondo dell’arte). Un ambiente vivace e produttivo, dunque, nella magia di una città il cui fascino dura di fatto, immutato, ancor oggi. del Messia al popolo”