[S]an Siffrein? Era un rabdomante. Ecco il significato reale del misterioso strumento con cui egli viene rappresentato: quella sorta di pinza è la bacchetta per la ricerca dell’acqua, acqua che peraltro assume una connotazione salvifica, legandosi in modo particolare alla pratica degli esorcismi. Bacchette, ma al tempo stesso blocco per fissare il giogo di buoi. Acqua e agricolture si collegano così, saldamente, nel culto di San Siffrein.
Osserviamo compiutamente lo scenario. Con le invasioni franche in Provenza, e più tardi, davanti alle minacce longobarde, i vescovi di Carpentras, antica capitale del contado venassino, trovarono rifugio nella vicina Venasque, una piccola rocca situata su di un aspro e strategico rilievo montuoso.
Uno di essi, Siffrein (VI-VII secolo), lasciò profonde tracce del proprio operato. Fece erigere una chiesa in onore della Vergine e un tempietto dedicato a san Giovanni Battista dove, due volte l’anno, a Pasqua e a Pentecoste, battezzava i catecumeni. Egli è ricordato per la sua vita austera, per lo zelo pastorale, per l’ardore nella predicazione evangelica, per la sollecitudine verso i malati, ma soprattutto per il suo carisma nel liberare gli invasati dal demonio.
Proprio per la fama di esorcista di cui godeva, san Siffrein viene effigiato con il corredo di particolarissimi elementi iconografici. Ad esempio, in un dipinto di Enguerrand Quarton, ai suoi piedi siede una bambina che ingoia una coda di diavolo. L’opera forse più interessante, però, è un ritratto scultoreo del XV secolo situato nella chiesa di Venasque. Il santo, qui, è raffigurato con gli attributi vescovili: il rocchetto e la cotta di lino bianco, il piviale dalle sontuose decorazioni, la mitra, l’anello e la croce pettorale.
Manca tuttavia il bastone pastorale, sostituito da un originale arnese che probabilmente Siffrein utilizzava durante i riti miracolosi. Egli regge con entrambe le mani una sorta di morso di cavallo, unito al centro da due listelle fermate con un nodo in apparenza metallico. A terra, lì accanto, è posta una ciotola per la raccolta dell’acqua. Esaminando con attenzione il misterioso strumento, notiamo che esso ricorda l’antico blasone della città di Carpentras. La tradizione vuole che lo stemma rappresenti, appunto, un morso in legno, trattenuto nel mezzo da un nodo d’argento, forgiato da uno dei chiodi della Passione di Cristo.
Il vescovo esorcista, fruendo dell’oggetto a mo’ di bacchetta biforcuta, è come se fosse alla ricerca dell’acqua santa da usare poi nelle sue funzioni; è come se incarnasse la figura di un rabdomante davvero speciale, direttamente autorizzato dall’alto all’individuazione del prezioso liquido purificatore.
Non dimentichiamo che la rabdomanzia, oltre a localizzare falde idriche sotterranee, aveva in origine finalità divinatorie: serviva a determinare il volere degli dei, predire il futuro o rintracciare flussi di energia demoniaca.
Il misterioso arnese del vescovo rabdomante
Uno di essi, Siffrein (VI-VII secolo), lasciò profonde tracce del proprio operato. Fece erigere una chiesa in onore della Vergine e un tempietto dedicato a san Giovanni Battista dove, due volte l’anno, a Pasqua e a Pentecoste, battezzava i catecumeni. Egli è ricordato per la sua vita austera, per lo zelo pastorale, per l’ardore nella predicazione evangelica, per la sollecitudine verso i malati, ma soprattutto per il suo carisma nel liberare gli invasati dal demonio