[G]iorgio Vasari lo scrive nelle “Vite”: durante il suo soggiorno romano, Tiziano aveva ritratto Ottavio Farnese. Non solo a fianco del nonno di questi, papa Paolo III, nel celeberrimo quadro oggi a Capodimonte. Il pittore cadorino, in quel breve periodo in cui si trovò ospite della potente famiglia – tra l’ottobre del 1545 ed il marzo del 1546 – non dimenticò di immortalare i tratti del giovane nipote del pontefice dedicandogli un’opera esclusiva.
L’aveva già fatto con Alessandro, il fratello di Ottavio che appare sulla medesima tela, reiterandone le fiammeggianti porpore cardinalizie (pure questo dipinto è conservato nel museo napoletano); l’aveva già fatto – ma prima, nel 1542 – con l’altro fratello, Ranuccio; l’avrebbe fatto presto – tra il 1546 ed il 1547 – con il padre dei tre, Pier Luigi: perché avrebbe dovuto riservare uno sgarbo al secondo pupillo del vecchio principe della Chiesa?
Si è detto della precisa asserzione del Vasari in proposito. Ma anche senza questa testimonianza, esisterebbero ben pochi motivi per dubitare della cosa. Tra Ottavio e Tiziano correva infatti buono, anzi ottimo sangue. Era stato proprio Ottavio a commissionare all’artista la “Danae”, sublime inno all’estasi erotica, lampante parabola dell’ineluttabilità dell’amplesso e dell’inesorabilità della conquista, specie quando s’accompagna alla potenza luccicosa dell’oro. Pare di sentirli, l’irrequieto ragazzotto (all’epoca aveva ventidue anni) e lo scafato maestro oramai ben oltre la cinquantina, uniti nello sghignazzo allusivo.
E, dopo la “Danae”, era arrivato il ritratto. Già, ma dov’èra finito, quel quadro?
Uno dei maggiori esperti di pittura veneziana, Pietro Zampetti, ritenevadi averlo individuato in una tela presente in una collezione privata. Già da una prima analisi, effettuata quando l’opera era ancora “sepolta” e offuscata dalla patina del tempo, il compianto Carlo Volpe aveva riconosciuto la mano del Vecellio. A pulitura conclusa, Zampetti andò oltre. Non solo, sostenne, si tratta di Tiziano (sia pure con il probabile concorso di allievi); ma ci troviamo di fronte all’effigie di Ottavio Farnese.
“Che il dipinto abbia il ‘sapore’ della pittura veneta è indubbio” afferma il critico; “che vi sia la presenza del modo di colorire, di far vibrare la luce in un impasto senza disegno è altrettanto palpabile e verificabile; ed è proprio dei modi di Tiziano di quel periodo”.
Rimandi tecnici e stilistici a parte, ciò che balza subito all’occhio è inoltre – annota Pietro Zampetti – la sorprendente somiglianza del personaggio raffigurato qui con l’Ottavio Farnese della tela di Capodimonte. I richiami somatici sono evidentissimi e indiscutibili: il naso lungo e appuntito con una prominenza centrale, il taglio dei capelli, la precoce stempiatura, la foggia dell’orecchio, il profilo del mento… Sì, si tratta proprio della stessa persona.
Vi è poi un ulteriore elemento che suffraga la tesi. Il pittore ha rappresentato nell’angolo sinistro in basso della tela il volto di un vecchio barbuto, che Ottavio indica con la mano. Le fattezze sono – altrettanto indiscutibilmente – quelle di Paolo III.
A variare, rispetto al capolavoro di Capodimonte, è la semmai la situazione psicologica. Là il giovane nipote appariva forzosamente ossequioso, un po’ maldestramente succube e impaurito rispetto all’onnipotenza dell’avo, che – designandolo alla guida del ducato di Parma e Piacenza – stabiliva in quel preciso momento per lui una nuova vita e nuovi destini. Qui Ottavio Farnese risulta invece ben sicuro di sé e dei propri mezzi. Il mondo mi appartiene, sembra dirci con spavalderia: e se qualcuno osasse mettermi i bastoni fra le ruote, dovrebbe fare i conti con il mio protettore, la cui ombra giganteggia accanto a me, come potete vedere seguendo la direzione segnata dal mio dito indice.
“Non v’è dubbio” dichiara Pietro Zampetti, “è proprio lui il personaggio; è lui, proprio lui, il pittore. Intendo Tiziano. Che poi l’artista” soggiunge “pieno di lavori qual era e di scolari che gli stavano attorno possa essersi servito di qualcuno di loro, in certe parti, come nel paesaggio, questo è possibile; dico possibile, non certo. Certo è che siamo di fronte ad un’opera perduta di Tiziano, eseguita nel momento delicato ed altissimo della sua svolta verso una intera pittura di luce”. (e.g. – 2005)
Tiziano e il nipote del Papa
SCOPERTE - Giorgio Vasari lo scrive nelle “Vite”: durante il suo soggiorno romano, Tiziano aveva ritratto Ottavio Farnese...