“Un pittore rinvigorì la Sindone nel 1502”. Leonardo? Uno studio rivela grafemi e un singolare cartiglio, mai visto. Tutto nell’articolo

TORINO – 04 settembre 2024 – La Sindone di Torino è un antico lenzuolo di lino conservato nel Duomo di Torino, che porta impressa l’immagine sbiadita di un uomo, il quale sembra aver subito maltrattamenti e torture. Questi segni sono spesso interpretati come compatibili con quelli subiti da un condannato alla crocifissione, come descritto nei racconti evangelici della Passione di Gesù Cristo. Per molti credenti, la Sindone rappresenta il sudario che avvolse il corpo di Gesù nel sepolcro, anche se questa interpretazione è stata contestata e oggetto di intensi dibattiti accademici e scientifici.

La Sindone non è solo un oggetto di venerazione religiosa, ma anche uno dei reperti storici più studiati al mondo, sollevando questioni che spaziano dalla storia antica alla scienza moderna.

Segni tecnico-pittorici e grafemi

Il Centro di ricerca di Stile Arte ha verificato la compatibilità dei segni che appaiono sulla Sindone con le tecniche grafico-espressive dei monocromi quattrocenteschi, concludendo che, sotto il profilo dei segni e dei materiali, esistono elevate possibilità che la Sindone stessa sia stata oggetto di evidenziazioni o restauri ampiamente interpretativi da parte di un artista che operò tra gli ultimi anni del Quattrocento – ai tempi della realizzazione del Cenacolo leonardiano – e i primissimi anni del Cinquecento, con il fine di renderla massimamente leggibile e “retro illuminabile”.

L’intervento di restauro interpretativo, svolto probabilmente su labili tracce, avvenne forse in vista dell’esposizione stabile della reliquia, alla quale i Savoia lavorarono attorno alla fine del Quattrocento.

L’ipotesi del restauro di materiali più antichi costituisce una svolta concettuale notevole negli studi della Sindone poiché osserva l’opera nel divenire e non esclude la vita precedente del Sacro lenzuolo. Peraltro, l’ipotesi formulata da Stile Arte indica costanti, reiterati contatti tra il tessuto e chi l’aveva in consegna o in manutenzione. Interventi che possono aver alterato alcune parti del telo, incidendo sulla datazione stessa.

Restauro interpretativo prima del 1502

I Savoia avevano acquistato il lenzuolo nel 1453. Verso la fine del Quattrocento il loro interesse nei confronti della reliquia aumentò, al punto che progettarono di esporla stabilmente nella loro capitale, Chembéry, dove, nel 1502, avrebbero poi fatto costruire un’apposita cappella, ottenendo nel 1506 l’autorizzazione al culto pubblico da parte del papa Giulio II, con Messa e ufficio proprio.

A tale scopo – prima del 1502 – un artista di assoluto livello tecnico dovette operare sul lenzuolo, con fini di restauro e di evidenziazione dell’immagine, qualcuno che, sotto il profilo tecnico e stilistico, poteva essere molto vicino a Leonardo da Vinci, che a quell’epoca aveva appena lasciato a Milano, avviando il cosiddetto periodo errabondo (1499–1508) e che certamente era in contatto anche con i Savoia.

Bona di Savoia (1449-1503), argomenta l’équipe di Stile Arte, era stata duchessa consorte di Milano negli anni di Leonardo e reggente dopo la morte del marito, oltre che essere madre di Gian Galeazzo Maria Sforza. Esisteva pertanto un contatto diretto strettissimo tra i Savoia e il mondo di Leonardo da Vinci. Non solo. Leonardo si sarebbe trasferito in Francia – dove sarebbe poi morto – grazie a Francesco I, che era figlio di un’altra Savoia, Luisa.

L’immagine fu potenziata tecnicamente

“Ciò che affermiamo non è che la Sindone sia un falso – sostiene il Centro studi di Stile Arte – ma che, con quasi assoluta certezza, l’opera è stata potenziata – nel primissimo Cinquecento – con grafemi e interventi pittorici condotti con un pigmento ocra scuro, molto allungato nell’acqua e in materiale rugginoso, poi lasciato decantare per qualche ora nel liquido. Il lenzuolo doveva essere esposto e pertanto fu restaurato da un artista in grado di pensarlo retro-illuminato. L’immagine, in condizioni normali, è poco visibile a occhio nudo e può essere percepita solo a una certa distanza. A uno-due metri essa è perfettamente a fuoco, mentre avvicinandosi sembra scomparire. Questi effetti ottici erano perfettamente conosciuti e molto utilizzati dagli artisti rinascimentali. Erano noti quanto le conseguenze della comparsa e della sparizione sulla tela di immagini minori, in movimento e in combinazione tra esse stesse, grazie all’oscillazione della fiamma delle torce. La discontinuità della luce creava movimento delle figure e delle macchie, suscitando immagini suggestive che apparivano e sparivano”.

Il lavoro sarebbe stato svolto con un pigmento molto magro, steso con un pennello appena inumidito.

Segni di sangue vivo sarebbero stati poi rinvigoriti con l’uso di un pennino, come è molto evidente dal ductus, dalla larghezza del “getto” e dall’assorbenza del tessuto a livello della braccia e delle mani dell’Uomo della Sindone. Gli angoli del tracciato del sangue, affermano gli studiosi di Stile Arte, sono determinati dalla discontinuità lineare del pennino sulla stoffa, come dimostra l’immagine seguente, riferita alle presunte tracce di sangue sulle braccia o sul polso di Cristo.

Il Centro di ricerca di Stile Arte sostiene che il lenzuolo poteva essere, originariamente, retroilluminato con torce. Ed è forse per potenziare la leggibilità delle macchie originarie, così da ottenere un maggior effetto durante le esposizioni, che venne chiamato un artista di notevole sapere tecnico che “aveva ancora negli occhi le conoscenze del gotico, ma che praticava, al contempo, il realismo rinascimentale”.

“Le cosiddette tracce di sangue, realizzate o potenziate con un pennino – proseguono gli studiosi di Stile Arte – avevano la funzione di costituire, al contempo, il nitido punto di messa a fuoco del telo da parte dell’osservatore. Le vediamo molto bene nell’immagine qui sotto”.

“L’occhio focalizzava queste sottili linee. Tutto ciò che stava dietro le linee rosso-ruggine – cioè l’intera immagine sfumata di Cristo – doveva apparire con un effetto tridimensionale, con profondità, in progressiva sfocatura”. “Teniamo peraltro conto – proseguono i ricercatori – che in quell’epoca, gli artisti – tra i quali Leonardo e i suoi allievi – studiarono le macchie e la pareidolia orientata, cioè la capacità dell’occhio di cogliere forme compiute dall’indistinto e indagarono sulla possibilità dei pittori di indirizzare l’occhio dello spettatore, attraverso suggerimenti grafici, a cogliere, nella stessa macchia, una forma compiuta che era stata prestabilita dall’artista “.

Come poteva essere fissato il colore

I ricercatori sostengono che, in caso di uso di una tintura a base di ruggine, il colore sarebbe restato saldamente sulla tela, senza nemmeno che fosse fissato con il ranno come si usava per le decorazioni della biancheria nella vicina Emilia Romagna. Il fissante era dato sui panni d’uso quotidiano perché i disegni e le colorazioni bruno-rossicce dovevano permanere nel tempo, nonostante i numerosi lavaggi. La ruggine è invece stabile e praticamente indelebile se un telo non viene lavato frequentemente.

Figure composite e immagini reversibili

“Lavorando alla definizione delle macchie – prosegue il Centro di ricerca di Stile Arte – questo artista operò unendo nuclei espressivi autonomi così da conferire alle macchie stesse anche un valore di espressione simbolica compiuta e autonoma, nella rispondenza simbolica, che caratterizza la cultura neoplatonica. I singoli blocchi dovevano apparire in movimento, evidenziandosi e scomparendo, durante l’accensione delle torce, la cui fiamma oscillava a causa dello spostamento dei fedeli nella sala o per correnti d’aria indotte dall’apertura delle porte della chiesa stessa”. La Sindone restaurata fu pertanto pensata per essere retro-illuminata, con un notevole effetto suggestivo. Doveva apparire un’ombra vibrante, circondata dalla luce, come dopo la Resurrezione.

Particolarmente interessante è l’evidenziazione di una sorta di crocefisso che diventa un cartiglio nel quale il volto appare conchiuso, quando osservato dalla sommità del capo verso il mento (immagine qui sopra). L’immagine viene semplicemente ruotata e diviene reversibile. (immagine qui sotto), divenendo un’altra figura.

L’immagine del volto sindonico osservata dalla sommità de cranio, in direzione del mento. Al centro, la struttura evidenziata. A destra e a sinistra il volto senza evidenziazione

L’insieme parrebbe una sorta di colomba posta su un’ancora. Una causalità o l’artista che ridefinì la sindone operò anche in chiave simbolica? Il grafema rappresenta l’approdo dopo il Diluvio? Risulta evidente che la struttura della barba, conchiusa in un rettangolo dai bordi arrotondati, non risponde ai canoni del realismo.

La Storia documentata della Sindone

Il dono di Goffredo di Charny

La storia documentata della Sindone inizia nel 1353, quando il cavaliere francese Goffredo di Charny donò un lenzuolo alla chiesa collegiata di Lirey, sostenendo che si trattasse della Sindone che avvolse il corpo di Gesù. Tuttavia, Goffredo non spiegò mai come avesse ottenuto il prezioso reliquiario, alimentando così i primi sospetti e controversie sulla sua autenticità. Questo mistero iniziale ha avvolto la Sindone in un alone di incertezza che perdura fino ai giorni nostri.

La controversia con Pietro d’Arcis

Nel 1389, il vescovo di Troyes, Pietro d’Arcis, scrisse una lettera all’antipapa Clemente VII per denunciare l’ostensione della Sindone organizzata da Goffredo II di Charny, figlio di Goffredo. Nella sua lettera, d’Arcis sosteneva che la Sindone fosse un falso creato da un pittore anonimo, basandosi su un’indagine condotta dal suo predecessore, Enrico di Poitiers. Secondo d’Arcis, durante l’indagine un artista aveva confessato di aver dipinto il telo, ma non venne mai fornito alcun nome. Questa accusa, sebbene non verificata, gettò un’ombra sulla Sindone, facendo nascere il primo grande dibattito sulla sua autenticità.

Il compromesso di Clemente VII

Di fronte alle accuse di d’Arcis, Goffredo II inviò a sua volta una petizione a Clemente VII, difendendo la legittimità dell’ostensione della Sindone. Nel 1390, l’antipapa emanò un decreto di compromesso, permettendo l’esposizione della Sindone ma a condizione che fosse chiaramente dichiarato che si trattava di una “pictura seu tabula”, ovvero di un dipinto o rappresentazione. Clemente VII chiese inoltre a Pietro d’Arcis di cessare le sue critiche contro il telo, cercando di placare la disputa che si stava infiammando tra le fazioni ecclesiastiche e laiche.

La Sindone nei secoli successivi

La disputa per il possesso della Sindone

Dopo la morte di Goffredo II, la Sindone passò alla sua famiglia, ma presto divenne oggetto di una disputa legale per il possesso. Intorno al 1415, Umberto de la Roche, marito di Margherita di Charny (figlia di Goffredo II), prese in custodia il lenzuolo per proteggerlo durante la guerra tra Borgogna e Francia. Tuttavia, Margherita si rifiutò successivamente di restituire la Sindone alla collegiata di Lirey, sostenendo di esserne la legittima proprietaria. La questione fu portata davanti a un tribunale ecclesiastico, ma la causa si protrasse per anni senza una soluzione definitiva. Nel frattempo, Margherita organizzò ostensioni della Sindone in vari luoghi d’Europa, utilizzando il reliquiario per raccogliere fondi e sostenere la sua posizione.

La vendita ai Duchi di Savoia

Nel 1453, Margherita di Charny vendette la Sindone ai Duchi di Savoia, ponendo fine alla disputa legale con la collegiata di Lirey. Da quel momento, la Sindone divenne proprietà della Casa di Savoia, che la conservò nella sua capitale, Chambéry. Nel 1502, i Savoia fecero costruire una cappella apposita per custodire il sacro lenzuolo, e nel 1506 ottennero dal Papa Giulio II il permesso di celebrare una messa speciale in onore della Sindone. Questo atto sancì il riconoscimento ufficiale della Sindone come oggetto di culto da parte della Chiesa cattolica, rafforzando ulteriormente il legame tra la reliquia e la dinastia sabauda.

L’incendio del 1532 e le riparazioni

La notte tra il 3 e il 4 dicembre 1532, un incendio devastò la cappella di Chambéry, dove la Sindone era custodita. Il lenzuolo rischiò di essere distrutto, ma fu salvato grazie all’intervento tempestivo di alcuni frati e del consigliere del duca, che riuscirono a portare fuori il reliquiario d’argento, già avvolto dalle fiamme. Tuttavia, gocce di argento fuso caddero sul tessuto, causando numerose bruciature e danni visibili ancora oggi. Le suore clarisse di Chambéry ripararono il lenzuolo nel 1534, cucendo pezze di stoffa sulle bruciature e applicando un telo di supporto sul retro della Sindone. Questi interventi, seppur necessari, hanno alterato parzialmente l’aspetto originale del tessuto, aggiungendo un ulteriore strato di complessità alla sua storia.

La traslazione a Torino

Nel 1563, la capitale del Ducato di Savoia fu trasferita da Chambéry a Torino, e con essa, nel 1578, anche la Sindone. Da quel momento in poi, Torino divenne il centro delle ostensioni della Sindone, attirando pellegrini da tutta Europa. Tra i visitatori illustri vi fu anche San Carlo Borromeo, che intraprese un pellegrinaggio a piedi per venerare la Sindone, rafforzando ulteriormente la devozione popolare verso il sacro lenzuolo.

La scoperta di Secondo Pia e l’inizio degli studi

La fotografia del 1898

L’interesse scientifico moderno per la Sindone iniziò con la fotografia. Durante l’ostensione pubblica del 1898, l’avvocato torinese Secondo Pia, appassionato di fotografia, ottenne il permesso dal re Umberto I di fotografare la Sindone. Nonostante le difficoltà tecniche, Pia riuscì a scattare due fotografie, e al momento dello sviluppo scoprì che l’immagine sul negativo fotografico appariva come un positivo, rivelando dettagli altrimenti invisibili a occhio nudo. Questa scoperta rivoluzionò la percezione della Sindone, suggerendo che l’immagine impressa sul tessuto fosse, in realtà, un negativo fotografico. La notizia suscitò un enorme interesse scientifico e portò alla nascita di una lunga serie di studi sul lenzuolo.

Le fotografie di Giuseppe Enrie del 1931

Nonostante la scoperta di Pia, ci furono coloro che misero in dubbio la veridicità delle sue fotografie, accusandolo di aver manipolato le lastre. Per mettere a tacere queste accuse, nel 1931 venne eseguita una nuova serie di fotografie, affidata al fotografo Giuseppe Enrie. Tutte le operazioni furono svolte in presenza di testimoni e certificate da un notaio, per garantire la massima trasparenza. Le fotografie di Enrie confermarono la scoperta di Pia, dimostrando che l’immagine della Sindone era effettivamente un negativo fotografico e dissipando ogni sospetto di manipolazione.

Studi scientifici sulla Sindone

I primi studi scientifici (1973-1978)

Nel 1973 furono condotti i primi studi scientifici diretti sulla Sindone, promossi da una commissione nominata dal cardinale Michele Pellegrino. Questi primi studi aprirono la strada a una campagna di ricerche più approfondita, che ebbe luogo nel 1978, quando la Sindone fu messa a disposizione di due gruppi di studiosi: uno statunitense, noto come STURP (Shroud of Turin Research Project), e uno italiano. Durante cinque giorni di esami intensivi, gli scienziati eseguirono una serie di analisi chimiche, fisiche e microscopiche per cercare di svelare i misteri della Sindone.

Il Test del Carbonio-14 del 1988

Uno degli esami più celebri e controversi eseguiti sulla Sindone è il test del carbonio-14, condotto nel 1988. Per questa analisi, furono prelevati campioni di tessuto da tre laboratori indipendenti: l’Università di Oxford, l’Università di Arizona e il Politecnico di Zurigo. I risultati del test collocarono la datazione della Sindone tra il 1260 e il 1390, suggerendo che il lenzuolo fosse un manufatto medievale piuttosto che un reperto risalente al I secolo. Tuttavia, questa datazione ha sollevato numerose obiezioni, in particolare per quanto riguarda la metodologia utilizzata e la possibile contaminazione del tessuto, che potrebbe aver influenzato i risultati.

Le critiche alla datazione al radiocarbonio

Molti sostenitori dell’autenticità della Sindone hanno messo in discussione la datazione al carbonio-14, suggerendo che i campioni prelevati per il test potrebbero essere stati contaminati da manipolazioni successive, come le riparazioni del XVI secolo, o che i margini del tessuto possano non essere rappresentativi dell’intero lenzuolo. Alcuni studi hanno anche ipotizzato la presenza di particelle di carbonio esterne, provenienti da incendi o altre fonti, che avrebbero potuto falsare i risultati del test. Queste critiche hanno portato a una rinnovata attenzione verso la necessità di ulteriori studi e analisi più sofisticate per chiarire la vera datazione della Sindone.

Analisi tecnica della Sindone

Descrizione del tessuto

La Sindone è un lenzuolo di lino, tessuto a mano con una trama a spina di pesce, caratterizzata da una colorazione giallo ocra. Le dimensioni del tessuto sono imponenti: misura circa 441 cm di lunghezza e 111 cm di larghezza. Sul lenzuolo sono visibili numerose bruciature, fori e riparazioni, conseguenze degli incendi e degli incidenti che ha subito nel corso dei secoli. Questi segni, insieme alle pieghe naturali del tessuto, rendono lo studio della Sindone particolarmente complesso, poiché è necessario distinguere tra i danni accidentali e gli elementi originali che compongono l’immagine impressa.

L’immagine dell’Uomo sulla Sindone

L’immagine che appare sulla Sindone è quella di un uomo nudo, con barba e capelli lunghi, che porta segni di maltrattamenti. L’uomo sembra essere stato sottoposto a torture compatibili con la flagellazione e la crocifissione. Sul corpo sono visibili segni di lesioni in corrispondenza della testa, dei polsi, dei piedi e del costato, tutti dettagli che corrispondono alla narrazione evangelica della Passione di Cristo. Tuttavia, l’origine e la natura di questa immagine sono ancora oggetto di dibattito. Nonostante numerosi studi scientifici, nessuna teoria è riuscita a spiegare in modo definitivo come l’immagine sia stata impressa sul lenzuolo.

Nuovo è l’approccio dell’analisi della Sindone come una produzione d’arte per evidenziare elementi di potenziamento in un ampio restauro reinterpretativo. Numerosi segni dimostrerebbero quantomeno un massiccio intervento di restauro attorno al 1502.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa