di Enrico Giustacchini
[1]914. Il mondo va in guerra, la vecchia Europa vacilla, ed Egon Schiele dipinge a Vienna il più stravagante dei suoi quadri, il ritratto di Friederike Maria Beer.
Friederike è ricca e si atteggia a intellettuale. Prima di morire, ospite di una casa per anziani, così ricorderà quei tempi: “Ero di bell’aspetto, giovane, e interessata alla musica e all’arte. Che dovevo fare? Niente! Solo vivere, andare a teatro, alle mostre, all’Opera”.
In attesa di farsi effigiare da Klimt (cosa che avverrà nel 1916), la garrula Friederike accetta di posare per l’inquieto Egon. Ne esce, per l’appunto, il quadro più stravagante di questo pittore. Così stravagante da non sembrare nemmeno suo. La modella, vestita di una lunga tunica in perfetto stile Wiener Werkstätte, è trasformata in un Pierrot col costume da Arlecchino, dall’aria smarrita e tuttavia risoluto a fluttuare in aria, sia pure nell’aria greve di un salotto color senape. Schiele aveva chiesto alla donna di sdraiarsi su di un materasso sul pavimento, mentre la ritraeva appollaiato in cima ad una scala. Quando l’opera fu terminata, arrivò inappellabile la stroncatura della cameriera di Friederike: “Si direbbe che la padrona sia stata calata dentro un sepolcro”. L’artista non si scoraggiò, e consigliò alla sua committente di rovesciare la prospettiva, appendendo la tela al soffitto. La fiduciosa fraülein Beer acconsentì.
Da quel giorno, gli amici di lei si abituarono a guardare col naso all’insù lo strano dipinto, in cui realismo e astrazione decorativa paiono impegnati a porsi ad ogni centimetro quadrato interrogativi senza risposta. Fino a quando, povera e sfiorita, Friederike Maria Beer lo vendette per pagarsi vitto e alloggio in una casa per anziani, dove poter vivere ancora un poco, dove ancora un poco poter giocare con i ricordi.