Durante un’indagine archeologica preliminare a Egedal, in questi giorni, sono state trovate parti di uno scheletro in un ex zona paludosa della Danimarca. Si tratta di un essere umano che probabilmente fu sacrificato, durante il Neolitico. Numerosi reperti portati alla luce, in passato, indicano che, nell’antichità, l’area della palude era un luogo utilizzato per sacrificare oggetti, animali e persone. Una sorta di santuario in cui portare le offerte propiziatrici alle divinità che si muovevano tra le coltri nebbiose e l’ambiente sinistramente sonoro della palude stessa.
I materiali ceramici o resti di animali sono i più diffusi, in queste aree. Così Christian Dedenroth-Schou, archeologo della ROMU – organizzazione museale danese – quando ha scavato a nord del municipio di Egedal – dove sarà realizzato un complesso residenziale – è stato percorso da un brivido alla schiena nel momento in cui un osso femorale è apparso dal terreno.
“Il mio collega ha scavato più in basso e, nel momento in cui si è imbattuto nella mascella, non abbiamo avuto dubbi che fosse uno scheletro umano quello che avevamo trovato”, dice Christian Dedenroth-Schou. Nel corso dello scavo sono avvenuti altri ritrovamenti ossei dello scheletro.
“Osiamo ipotizzare che si tratti di una vittima sacrificale, perché abbiamo trovato altre cose significative, accanto. A circa un metro di distanza abbiamo trovato un’ascia di selce dell’età della pietra, e a 10-15 metri abbiamo trovato una concentrazione di ossa di animali e ceramica. Nell’insieme, emerge l’immagine precisa di un rituale” afferma Christian Dedenroth-Schou.
L’uomo sarebbe stato trasportato nei pressi dell’acqua e forse ucciso a colpi d’ascia, nel corso di un cerimoniale che ha previsto anche la presenza di altre persone. Chi era quella vittima? Tanto potranno dire – sull’età, il sesso, lo stato di salute eccetera – i denti e le ossa. Quello che pare certo è che i luoghi paludosi erano punto di contatto con le divinità e con l’oltretomba. Ma chi veniva ucciso in nome degli dei? Erano persone appartenenti alla comunità – o come parrebbe più plausibile – nemici catturati o uomini e donne che, pur appartenendo alla comunità stessa, avevano violato una legge o infranto un tabù? Una valutazione antropologica permetterebbe di ipotizzare che la pena inflitta a un nemico o a un reo si sovrapponesse cultualmente al suo sacrificio alla divinità stessa.
Emil Winther Struve è un archeologo presso ROMU ed è anche responsabile delle indagini archeologiche nel comune di Egedal. Conosce molto bene queste aree e la storia dei ritrovamenti antichi.
Nel 1947, durante lo scavo della torba nella palude, fu trovato il cranio di un bambino, e quindi gli archeologi ebbero l’idea di poter ritrovare tracce delle persone del passato. Stenløse Å era, nei tempi antichi, una via principale attraverso Værebro Ådal. Un luogo frequentato disposto sia su una zona collinare in terraferma che in aree paludose, in basso.
“La strada antica è stata un buon corridoio di trasporto e lungo di essa ci sono anche aree per l’insediamento. Sappiamo che le persone hanno vissuto qui. E una parte importante della loro vita era costituita dalla necessità rituale di fare sacrifici. E il ritrovamento attuale conferma tale orientamento culturale”, dice Emil Winther Struve.
I resti dello scheletro vengono ora puliti e preparati per l’esame. Il cantiere, per ora è stato chiuso, a causa del freddo pungente. Si riprenderà in primavera. Ma frattanto le indagini si svolgeranno nei laboratori.