[T]alvolta un’immagine può essere più eloquente di mille parole. I disegni di Aldo Gay (1914-2004), tutti eseguiti dal vero, costituiscono l’unica testimonianza visiva della deportazione degli ebrei italiani ad Auschwizt-Birkenau. Un materiale unico, straordinario, che va oltre gli schizzi o le pagine di diario di un testimone in presa diretta.
Era un autodidatta, Aldo Gay; la sua predisposizione per le arti figurative si era palesata sin dagli anni giovanili. Con il suo occhio impareggiabile e la sua mano sicura, egli trasferì sulla carta i tragici eventi della seconda guerra mondiale a partire dal
16 ottobre 1943, giorno in cui ebbe inizio “la grande razzia nel vecchio Ghetto di Roma”. Matita ben temperata e foglio, da cui non si separava mai, al posto della macchina fotografica.
I suoi disegni estemporanei, fatti di tratti rapidi, narrano la storia di un amico o di un parente, di una famiglia disperata in fuga dai nazisti. Vicende e destini di singoli uomini e donne ingiustamente coinvolti in una guerra atroce, senza ragione. Immagini strazianti, forse più evocative delle stesse parole dei sopravvissuti (comprese quelle dello stesso Gay). E’ un viaggio doloroso, che documenta, nel linguaggio scabro di un’illustrazione assai vicina al fumetto, una tragedia senza precedenti.
Il fine della mostra e del catalogo – come ha ribadito il sindaco Veltroni – era avvicinare le nuove generazioni al dramma della Shoa, affinché “la memoria di quegli eventi non vada perduta, affinché il passato non si ripeta”. E’ impossibile rimanere insensibili osservando queste immagini. E’ impossibile che l’animo non resti profondamente colpito di fronte a due donne che, sotto gli occhi sgomenti dei passanti, precipitano da una finestra nel tentativo di sfuggire ai tedeschi.
Non smetteva mai di disegnare quest’uomo dalla dignità straordinaria, nemmeno nei momenti di maggior difficoltà e incertezza, quando l’unica via di scampo sembrava la fuga: “Tutti fuggono portandosi via alla meglio tutto il trasportabile, lunghe carovane di asini con carichi di materassi, cibarie e mobilia”, scrive Gay nel suo Diario dei nove mesi. E disegna donne sconvolte con fagotti in testa; cavalli e buoi che trasportano enormi e pesanti carichi; una madre che stringe fra le braccia la sua bambina, quasi a nasconderla e a proteggerla, sotto l’ampio cappotto, dallo sguardo beffardo e spietato dei soldati nazisti, che si prendono gioco di lei minacciandola con una pistola…
La desolazione, lo sconforto e la tragicità degli schizzi sul 16 ottobre lasciano infine spazio alla gioia sconfinata di quel “Finalmente liberi!” in calce all’ultimo, indimenticabile disegno del 4 giugno 1944, che mostra l’abbraccio infinito di due amanti, cui è stato ora riconosciuto il diritto alla vita e, sullo sfondo indistinto, l’esultanza degli ebrei romani al passaggio degli Alleati.
Il 15 luglio del 1944 Aldo Gay annota nel suo Diario: “Finalmente, dopo un anno, la famiglia si è riunita. Ieri sera sono tornati Milena ed i pupi da fuori; in un anno di separazione li ho visti una sola volta, a dicembre, quando mi recai da Olevano a Gerano a piedi”.
Aldo Gay – Una matita nel cuore del dramma
Aldo Gay ricostruì in presa diretta, utilizzando il lapis come una macchina fotografica, la deportazione degli ebrei italiani ad Auschwitz-Birkenau, a partire dalla razzia nel ghetto di Roma. Non smetteva mai di disegnare quest’uomo dalla dignità straordinaria, nemmeno nei momenti di maggior difficoltà e incertezza, quando l’unica via di scampo sembrava la fuga: “Tutti fuggono portandosi via alla meglio tutto il trasportabile, lunghe carovane di asini con carichi di materassi, cibarie e mobilia”, scrive Gay nel suo Diario dei nove mesi. E disegna donne sconvolte con fagotti in testa; cavalli e buoi che trasportano enormi e pesanti carichi; una madre che stringe fra le braccia la sua bambina, quasi a nasconderla e a proteggerla, sotto l’ampio cappotto, dallo sguardo beffardo e spietato dei soldati nazisti, che si prendono gioco di lei minacciandola con una pistola...