di Alessandra Zanchi
Il 24 e il 25 maggio si apre a Firenze il convegno “Masaccio e Masolino, pittori e frescanti. Dalla Tecnica allo Stile”, con studiosi internazionali che affronteranno varie tematiche inerenti alla tecnica di Masaccio e di Masolino, alla prospettiva, alle carpenterie lignee di trittici e pale d’altare. Lo scopo è quello di far conoscere al pubblico la serie di interessantissime ed inedite indagini appena ultimate dall’Opificio delle Pietre dure e Laboratori di Restauri. “Stile” ha intervistato Cristina Acidini, direttrice dell’Opificio, per saperne qualcosa di più.
Accanto all’Opificio da lei diretto sono coinvolte nelle ricerche anche istituzioni straniere: può dirci quali e da quanti anni si sta lavorando?
Gli studiosi coinvolti sono americani, della Kress Foundation di New York e del Museum of Art di Filadelfia, e inglesi, della National Gallery di Londra. E sono circa una decina d’anni che si lavora sul campo utilizzando tecnologie prese a prestito dalla medicina e dalla fisica applicate all’arte.
Di quali tecnologie si tratta e in cosa si dimostrano innovative per la ricerca sulle opere d’arte?
Premesso che questo tipo di indagine ha come finalità prima il restauro dell’opera, e successivamente l’indagine sulle caratteristiche tecniche del dipinto, i risultati ottenuti sono informazioni preziose anche sul piano della ricerca storica, della cultura dell’artista e del suo modo di lavorare. A parte la radiografia, ormai in voga dagli anni Trenta, le più moderne tecnologie usate sono sostanzialmente la Riflettologia I.R. (infrarosso) e la Riflettologia I.R. falso colore. La prima consente di osservare il disegno sottostante la stesura cromatica; la seconda di analizzare il colore attraverso la restituzione di un’immagine all’infrarosso con colori sostituiti che dimostrano le alterazioni dovute a interventi successivi. Sicché una tinta blu può dare una restituzione nera oppure rossa, indicando la presenza di pigmento naturale oppure industriale, quindi più recente. Ma c’è di più: tali risultati si possono ottenere con un metodo assolutamente non invasivo, ovvero senza prelievo di pigmento alcuno dalla superficie cromatica, evitando quindi di infliggere il pur minimo danno all’opera.
Nel caso specifico di Masaccio e Masolino, su cui verte il convegno fiorentino, è possibile rivelare qualche scoperta?
La straordinaria possibilità di osservare il disegno invisibile, quella parte così segreta, nascosta successivamente dal colore, ha permesso per esempio di analizzare a fondo le caratteristiche espressive e stilistiche dei due artisti all’opera spesso uno accanto all’altro, come negli affreschi della celebre Cappella Brancacci. Masaccio è visibilmente più forte e sicuro nel tratto oltre che ricco di effetti chiaroscurali, di grande aiuto per la stesura del colore. Masolino è invece più lineare, leggero e tenue.
Facciamo qualche riferimento alle opere; nel caso per esempio dell’affresco della “Trinità” in Santa Maria Novella, il cui restauro è stato ultimato dall’Opificio nell’aprile 2001, ci sono scoperte interessanti?
Direi proprio di sì. L’analisi della parte “invisibile” ha rivelato la presenza di sorprendenti interventi direttamente sull’intonaco: incisioni, chiodi appuntati e segni di corda intinta nel colore rosso. Un intrico di linee che testimoniano la sperimentazione del criterio prospettico sulla volta e sui capitelli riprodotti nell’affresco. Ma è ancora più straordinario notare che queste tracce sono limitate al lato sinistro dell’immagine, perfettamente simmetrica. Pare in sostanza che Masaccio abbia risolto il problema sul campo prima da un lato, e che poi lo abbia trasferito senza fatica sul lato speculare. Con ciò, non è azzardato ipotizzare che a quell’epoca Masaccio e Brunelleschi si trovassero insieme sui ponteggi della “Trinità” e che in un paio di giorni avessero risolto il problema della prospettiva, consegnando alla storia lo schema della visione moderna dello spazio. Visione che consentì all’uomo occidentale di appropriarsi dello spazio stesso e di controllarlo non solo in senso ottico, ma anche in senso più generale, geografico e culturale. Senza la matematica e la prospettiva non ci sarebbe stata la scoperta dell’America, per esempio.
Cosa ci può dire invece riguardo alle opere mobili, come i polittici, spesso giunti a noi smembrati, con relativi problemi di ricostruzione? Come può essere d’aiuto la tecnologia in questi casi?
/b> L’osservazione e lo studio del supporto è qui fondamentale. Fino ad oggi le ricostruzioni sono state fatte in ambito teorico unicamente osservando lo stile e valutando la coerenza iconografica dei vari elementi; oggi l’osservazione dello stile è ovviamente ancora molto importante, ma viene affiancata da esami fisici, come la dendrologia, attraverso la quale è possibile analizzare il legno del supporto e risalire addirittura all’esemplare di albero da cui proviene. La provenienza dallo stesso tronco, ovviamente, è indice di uno stesso gruppo di opere. Un’altra prova è data dalle tracce lasciate dalle traverse di legno, solitamente inchiodate sul tergo delle tavole per tenere unite le parti del polittico. Una non compatibilità di tali segni indica qualche errore di ricostruzione. Nel corso del convegno, Carl Strehlke presenterà la revisione dell’insieme smembrato del polittico di Masolino in Santa Maria Maggiore. Poi c’è il caso clamoroso del polittico del 1426, nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Pisa (diviso tra la National Gallery, il Museo Nazionale di San Matteo a Pisa, quello di Capodimonte a Napoli, il John Paul Getty Museum di Los Angeles e gli Staatliche Museen di Berlino). In esso le due tavole con i Santi Paolo e Andrea sono state per certo dipinte da Masaccio, ma mostrano segni di traverse non compatibili con quelle degli altri scomparti e per di più hanno uno spessore che difetta di qualche millimetro rispetto ad essi; il che non si deve certamente all’usura del tempo.
Che ipotesi ci sono allora in merito alle tavole che potrebbero essere coerenti stilisticamente e strutturalmente e così pure sulla destinazione delle due non congruenti?
La ricomposizione completa del polittico di Pisa non è ad oggi possibile, poiché mancano pezzi importanti, come i Santi visti e descritti da Giorgio Vasari nel XVI secolo. Le due tavole di Pisa e Los Angeles, che mostrano quegli aspetti problematici di cui si è parlato, sono senza dubbio riferibili all’attività pisana di Masaccio, ma potrebbero appartenere ad un’opera contemporanea diversa dal polittico. Opera che doveva avere necessariamente un elemento centrale, verso il quale entrambi i Santi si rivolgevano.
Con i nuovi metodi di indagine, oggi si riesce a penetrare veramente nel cuore dell’opera: è dunque possibile comprendere più a fondo la metodologia dell’artista in rapporto alla sua epoca. C’è qualche curiosità o scoperta specificamente legata alla tecnica pittorica?
L’analisi di alcune tavole dipinte da Masolino ha aperto un’altra questione intrigante. Si sono individuate tracce di componenti oleose, per esempio in vari punti del polittico di Santa Maria Maggiore, parzialmente disperso. Si affermava in passato che la tecnica ad olio fosse stata portata in Italia da Antonello da Messina: in realtà la pittura di questi, pur simile, si discosta da quella fiamminga. E’ invece assai probabile che Masolino (1383-1440), più vecchio di Masaccio (1401-1428) e iscrittosi tardi alla corporazione dei pittori, avesse viaggiato in nord Italia, zona sensibile all’influsso delle Fiandre, e che avesse cominciato ad assimilare e sperimentare alcune novità con sessant’anni di anticipo rispetto alla diffusione effettiva e capillare della pittura ad olio nel Cinquecento. Il mistero alimenta la curiosità, ed è motivo di riflessione, perché potrebbe davvero trattarsi di una di quelle anticipazioni di cui è piena la storia, sia della scienza sia dell’arte. Un esperimento forse ancora troppo prematuro per imporsi alla mano e alla mente dei pittori coevi, ma sorprendentemente all’avanguardia.