Sindrome di Stendhal – Perché si soffre della sindrome di Stendhal?

Che cos’è esattamente la “Sindrome di Stendhal”? Perché una fanciulla di Botticelli può scatenare gravi squilibri e disagi nella psiche del visitatore? Ce ne parla Graziella Magherini, la psicoanalista che per prima ha studiato il fenomeno, coniando la celebre definizione

 



stendhal

di Giovanna Galli

[“S]indrome di Stendhal” è una locuzione divenuta parte del lessico comune per indicare genericamente una sensazione di malessere diffuso avvertita al cospetto di un’opera d’arte. Tale espressione deriva dalla definizione coniata – e poi utilizzata come titolo di un volume sull’argomento (“La Sindrome di Stendhal. Il malessere del viaggiatore di fronte alla grandezza dell’arte”, Ponte alle Grazie editore) – dalla psicoanalista Graziella Magherini, molto conosciuta anche per i suoi interessi interdisciplinari tra psichiatria, psicoanalisi e scienze umane, che l’hanno fra l’altro condotta ad essere tra i fondatori del gruppo di studio “Arte e psicologia”, formato da eminenti psicologi, psichiatri, psicoanalisti, storici dell’arte e filosofi. Il gruppo è nato allo scopo di offrire una lettura multidisciplinare dell’opera d’arte, integrando le interpretazioni filologiche e storico-sociali con approfondimenti psicologici e psicoanalitici.

In questo volume lei ha descritto per la prima volta in termini scientifici quella sofferenza mentale che a volte coglie i turisti nelle città d’arte. Vuole darci una definizione precisa di quello che si intende per “Sindrome di Stendhal”?
Con “Sindrome di Stendhal” si fa riferimento a una serie di esperienze critiche, di episodi di scompenso psichico acuti, improvvisi e di breve durata, tutti di carattere benigno, ovvero privi di conseguenze (e questo è importante sottolinearlo), e tutti correlati con l’elemento del viaggio in luoghi d’arte.
Vuole spiegarci come è nata l’idea di affrontare questo affascinante argomento?
Per cominciare vorrei precisare che la definizione di questa sindrome è stata messa a punto per la prima volta dal nostro gruppo fiorentino tra gli anni Ottanta e Novanta, nonostante che di questo fenomeno in molti avessero già parlato senza però rendersene conto. All’epoca svolgevo l’attività di psichiatra responsabile del Servizio per la salute mentale dell’Arcispedale di Santa Maria Nuova di Firenze, e fui molto colpita, insieme ad altri miei colleghi, dal fenomeno ripetuto di arrivi d’urgenza di persone colpite da disturbi psichici improvvisi. Lo studio di questi casi ci portò ad osservare che vi erano alcuni elementi ricorrenti: erano tutte persone in viaggio, tutte straniere e tutte partite da casa in uno stato di benessere o di compenso psichico. Il fenomeno ci pareva assolutamente degno di approfondimento, così vi abbiamo dedicato uno studio decennale, operando anche un’indagine su un campione di controllo.
Il riferimento a Stendhal non è ovviamente casuale.
Evidentemente no; infatti abbiamo scelto il suo nome facendo riferimento alle emozioni descritte in “Rome, Naples and Florence” del 1817, dove lo scrittore francese riferisce che durante una visita nella basilica di Santa Croce fu colto da una crisi che lo costrinse ad uscire all’aperto per risollevarsi da una vertiginosa reazione psichica. L’importanza dell’episodio è dovuta al fatto che il racconto di quelle emozioni assume un valore simbolico, estensibile a molteplici situazioni analoghe in contesti e tempi diversi, in cui però l’elemento costante è la presenza del soggetto in un luogo d’arte.
In effetti, lei spiega che il viaggio d’arte può essere considerato un viaggio dell’anima, capace di risvegliare una trama di emozioni e sentimenti che evidentemente però non tutti sono ugualmente in grado di gestire.
Si usa in effetti la definizione di “turismo dell’anima” per indicare quel tipo di viaggio spesso compiuto in solitudine (dalle statistiche risulta che l’87% delle persone che hanno accusato i sintomi della sindrome erano viaggiatori individuali), in luoghi particolarmente carichi di arte e di storia, dove l’individuo si trova ad affrontare una prova importante per la propria identità. La tendenza a viaggiare, infatti, rappresenta un bisogno primitivo dell’uomo: durante il viaggio, però, l’identità è sottoposta ad un’oscillazione tra perdita e ricostruzione, il cui superamento può rappresentare una fonte di arricchimento, ma che spesso comporta il costo di una momentanea disorganizzazione del proprio campo mentale. In circa vent’anni di studi possiamo affermare che i casi di psicopatologia ci hanno, come spesso accade in psicanalisi, condotti a focalizzare tutta la serie di vicende emozionali che anche in condizioni di normalità caratterizzano gli individui che affrontano l’esperienza del viaggio d’arte.
Vogliamo ora indicare quali sono i sintomi più comuni?
La Sindrome di Stendhal si manifesta con tre differenti tipologie di disturbo. La prima è quella identificabile con crisi di panico e ansia somatizzata, dove i soggetti accusano improvvisamente palpitazioni, difficoltà respiratorie, malessere al torace, la sensazione di essere sul punto di svenire e conseguentemente lo sviluppo di un vago senso di irrealtà. Tali condizioni portano ad avvertire un improvviso bisogno “di casa”, di tornare nella propria terra, di parlare la propria lingua. Le altre due tipologie sono invece più serie. Una riguarda prevalentemente i disturbi dell’affettività, e si manifesta con stati di depressione – crisi di pianto, immotivati sensi di colpa, senso di angoscia …- o all’opposto con stati di sovraeccitazione – euforia, esaltazione, assenza di autocritica… -; l’altra riguarda i disturbi del pensiero, con alterata percezione di suoni e colori e senso persecutorio dell’ambiente circostante: a differenza della altre due tipologie, questa si manifesta frequentemente in persone con precedenti di scompenso psicologico, che, tuttavia, si trovavano prima della partenza in uno stato di benessere.


Queste tre tipologie sintomatiche sono comunque riconducibili a quella crisi d’identità a cui faceva riferimento prima?
Proprio così. In ogni caso sono in gioco vicende interiori complesse e conflittuali, legate alle singole biografie, alle storie infantili, alle angosce e ai meccanismi di difesa che si manifestano nelle singole circostanze. Ma in sintesi possiamo affermare che alla base di tale crisi d’identità vi è sempre la congiunzione di tre elementi: la storia personale del soggetto, e dunque la struttura della sua personalità, l’elemento del viaggio e l’immersione in un ambiente carico di arte e di storia.
Secondo la sua esperienza, quali sono gli artisti o le opere d’arte che più generano tale tipo di reazioni?
Non esistono opere o autori particolari che suscitino le reazioni descritte. Questo è un concetto molto importante: non sono le opere in sé, ma piuttosto alcune peculiarità proprie del singolo oggetto estetico che in particolari circostanze scatenano nel fruitore, a seconda anche della sua storia personale, una sostanziale difficoltà di contenimento delle emozioni e dunque una condizione di disagio. Dal punto di vista psicoanalitico, nell’istante dell’incontro tra il fruitore e il creatore, mediato dall’opera d’arte, si verifica in un primo momento il fenomeno dell’incantamento verso la bellezza formale, che richiama il primo incantamento dell’esperienza umana, e cioè quello verso la figura materna; quasi simultaneamente la forza espressiva delle grandi opere d’arte può risvegliare i contenuti più profondi dell’inconscio, rompendo alcune difese caratteriali e facendo emergere aspetti familiari, ma rimossi, e dunque dimenticati, della propria storia interiore. Non si può dire che esista una specifica opera particolarmente pregante per la mente del fruitore, se non in determinate condizioni, sebbene sia intuitivo che le opere più drammatiche, come ad esempio alcuni Nudi di Michelangelo o i giovani efebici rappresentati da Caravaggio, così ambigui e allusivi, possano essere particolarmente forti in questo senso.
Ci faccia qualche esempio.
Nel libro riportiamo il caso di un giovane turista americano che fu particolarmente colpito dal “Narciso” del Merisi, nel cui ginocchio riconosceva un simbolo fallico; oppure il caso di un maturo signore bavarese, a cui il confronto con il Bacco adolescente ripropose violentemente il conflitto interiore derivante da una non risolta valenza omosessuale. Ma altrettanto significativo è il caso di una ragazza colpita nel profondo dall’incontro con la bellezza passionale delle fanciulle dipinte da Botticelli. E ancora posso citare il caso di una ragazza che ha subito in modo traumatico la vista della “Trinità” di Masaccio a Santa Maria Novella.
Come lei sottolinea, tutti i casi studiati sono correlati all’elemento viaggio. Bisogna quindi escludere a priori che una persona possa soffrire di Sindrome di Stendhal al cospetto di un’opera d’arte ammirata nel proprio contenitore ambientale, per esempio durante una mostra nella propria città?
Non lo si può escludere, anche se, solitamente, trovandosi nel proprio habitat risulta molto più semplice contenere le situazioni anche di forte disagio emotivo.
Potemmo chiudere con una battuta… A lei è mai capitato di essere colta dalla Sindrome di Stendhal?
Io sono una persona molto sensibile ed effettivamente in certe situazioni all’estero ho provato grandi emozioni, come ad esempio quando negli Stati Uniti o nel deserto dell’Algeria mi sono trovata di fronte alla vastità della natura. Qui però si entra nel merito di un altro discorso, che è quello che riguarda la percezione di trovarsi molto vicini a ciò che va al di là dell’esperienza comune, all’“oltre”. Un altro capitolo, altrettanto interessante e meritevole di approfondimento…
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