Yahoo, e’ Biennale!

Con qualche provocazione, Stile intervista Francesco Bonami, direttore della “mostra delle mostre”. Il ritorno alla pittura (“non quella che piace a Sgarbi”), l’apertura ai giovani e agli “arcipelaghi”. Il percorso del curatore, le polemiche e gli strappi

di Maurizio Bernardelli Curuz

x_11Lei progetta questa Biennale, trasformando una delle poche, lecite metafore dell’arte contemporanea – l’immagine dell’arcipelago – in una struttura espositiva. Isole diverse, quindi mostre “slegate” che, in molti casi, trovano unione soltanto attraverso l’atto forzato della geopolitica e attraverso il concetto unificante di diversità linguistica…
Se si vuole insistere sul concetto di multiculture e di una realtà che si dirama in direzioni sempre più diverse, allora la mostra riflette proprio questo stato di diversità della nostra cultura contemporanea. Non esiste unione nella produzione artistica attuale, e la mostra vuole sottolineare che esistono vedute realmente autonome non addomesticate dentro uno pseudo-pluralismo che poi fa capo sempre al deus ex machina che è il direttore della mostra.
Quali sono gli elementi di svolta rispetto all’ultima Biennale?
Primo di tutti uno spazio nuovo dedicato ai giovani artisti italiani, che quest’anno avranno sia la mostra di Massimiliano Gioni “La zona”, che il padiglione Venezia con la mostra della Darc. Poi il fatto che otto curatori non parteciperanno alla mostra con le loro idee semplicemente condivise da me ma con dei loro progetti precisi e liberi. Finisce un po’ l’idea del curatore onnipotente.
Lo spirito della mostra veneziana è sempre collegato all’idea di avanguardia. Come un’immensa Fiera campionaria che presenti le novità tecnologiche, così la Biennale deve rendere conto dei “progressi”, delle “scoperte” del contemporaneo. E la gente viene a Venezia per capire quanto di “sconcertante” sarà proposto rispetto al concetto di modernità. Non ritiene che questo agganciamento dell’arte al concetto positivista di scoperta, di invenzione, produca una formula stanca? Quanto il pelapatate elicoidale inciderà davvero sulla storia del mondo e quanto risulta puro elemento di spettacolo?
La mostra per me deve essere un’occasione di offrire allo spettatore un punto di vista su come gli artisti oggi tentano d’interpretare il mondo. Non credo che sconcertare sia il compito di una mostra d’arte, credo però che una mostra che abbia una sua forza debba essere un’esperienza nuova per chi la visita o almeno un occasione per poter incontrare esperienze nuove.
L’arte dello sconcerto e della sorpresa, l’arte della beffa e del gioco, che era elemento dinamico della distruzione sistematica operata dal Dadaismo rispetto all’arte del passato (e siamo quasi a cent’anni fa), domina ancora buona parte della ricerca – come reticolo sotterraneo – che poi confluisce all’appuntamento veneziano. Il conferimento dell’incarico di direzione a Francesco Bonami dimostra la scelta di una linea oltranzista, nell’ambito dell’avanguardia, una reiterazione del dominio dadaista del mondo?
Io non sono mai stato dadaista, non so cosa glielo possa far pensare. Se ha avuto l’occasione di vedere mostre da me curate può aver notato un metodo abbastanza tradizionale. La mia nomina mi pare qualcosa che ha seguito una logica professionale comune al resto del mondo ma non molto in uso in Italia.
La realtà di cui lei è esponente è molto vicina agli Stati Uniti. L’America ha fondamentalmente sottratto all’Europa anche la gestione dei linguaggi?
Io lavoro sia in Europa che negli Stati Uniti e non credo che questi ultimi abbiano sottratto la gestione dei linguaggi, caso mai hanno messo in atto un metodo più efficace, ma con molte pecche, per la diffusione e promozione dei linguaggi artistici.
Venezia, 1964. Rauschenberg. Cosa accadde esattamente?
Rauschenberg vince il Leone d’oro e scoppia il pandemonio. Se fino ad allora l’Europa aveva mantenuto il predominio culturale sull’arte contemporanea ora, con l’arrivo della pop art, questo dominio scompare; ecco che il baricentro si sposta per la prima volta tutto in America, e da questo momento in poi il dibattito non finirà più.
Sulla sua candidatura caddero anche fulmini e tuoni. Sgarbi, in sostanza, argomentò che la sua gestione avrebbe allontanato ulteriormente la pittura dall’appuntamento veneziano…
Forse non sarà presente la pittura che vorrebbe Sgarbi, ma la pittura ci sarà, e anche in modo abbastanza sostanzioso.
Ora, al Museo Correr proponete una mostra dedicata al mondo della pittura. Un percorso autonomo o il frutto di una mediazione politica?
Avevo già organizzato per la White Chapel di Londra “Examining Pictures” nel 1999; questa mostra al Correr è un ulteriore approfondimento di quel percorso, partendo da una data importante per la Biennale e per la pittura: il 1964, appunto.
Lei ritiene che esista davvero una frattura insanabile tra pittura ed espressioni artistiche non-pittoriche?
Non credo, video e fotografia stanno parlando di pittura sempre di più, i riferimenti alla pittura anche in espressioni artistiche non pittoriche sono sempre più frequenti.
Esistono linguaggi artistici del contemporaneo che versano in stato di crisi?
Il merletto.
Poniamo che una scuola media la chiami per una lezione sull’arte contemporanea. Lei deve sintetizzare al massimo, smussare gli angoli, creare un percorso plausibile nell’arcipelago. Quale strada proporrebbe per individuare i presupposti e delineare gli sviluppi?
Partirei dal dire che cos’è una grande mostra d’arte di gruppo e la differenza con le mostre personali o tematiche – tipo gli impressionisti -; poi spiegherei che cos’è la Biennale, e parlerei di una mostra fatta di mostre, come una bambola russa od un gioco dell’oca dove si può saltare da un punto ad un altro o tornare indietro. Infine, è importante spiegare come funziona il lavoro di un artista una volta che non è più visto individualmente ma insieme ad altri artisti, quindi a confronto con altre idee.
Il percorso di Bonami. Quali strade indicherebbe al visitatore nell’ambito della visita alla Biennale?
Vogliamo costruire all’interno della mostra una specie di rete di rimandi, indirizzare lo spettatore verso opere che hanno qualcosa in comune in modo da creare delle scorciatoie possibili tra un lavoro, una mostra e l’altra con riferimenti ai padiglioni e alle varie sezioni; insomma, dire allo spettatore: “Costruisciti la tua mostra ideale attraverso questi riferimenti, queste chiavi di accesso”.
Sotto quale etichetta – visto che le etichette sono giornalisticamente indispensabili – vorrebbe che fosse ricordato questo appuntamento?
Una mostra Yahoo! Ovvero un luogo attraverso il quale si possono trovare altri luoghi.

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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa