Io sono un istrione, ma la genialità è nata insieme a me,
nel teatro che vuoi, dove un altro cadrà io mi surclasserò… (…)
e la commedia brillerà del fuoco sacro acceso in me… (…)
perdonatemi se con nessuno di voi non ho niente in comune.
Io sono un istrione a cui la scena dà la giusta dimensione.
www.youtube.com/watch?v=CkLp0FeJdQI
di Roberto Manescalchi
L’ho sempre saputo, da quando ho appreso che c’era, che mi sarei trovato di fronte un potentissimo maledetto vecchio e che avrei dovuto scrivere di lui, ma l’incontro era inevitabile. Gli interessi comuni l’hanno propiziato anche se ormai sono stanco e senza voglie. Ho una ragnatela di rughe intorno agli occhi che denunciano la presenza di una montagna di disincanto, ma la curiosità ancora c’è di salire oltre al collina per continuare a guardare sempre le stesse cose e un paesaggio che non muta mai. Guidavo in superstrada verso Livorno prima e le sue splendide case di Crespina poi. Non so dove sia nato più di ottanta anni fa Carlo Pepi, ma fosse pisano sarebbe l’unico che può entrare impunemente a Livorno come e quando vuole.
Ci sono uomini che con il tempo acquistano il potere della seduzione. Lo esercitano con facilità ed estrema disinvoltura a volte in modo che all’apparenza sembra del tutto inconsapevole. Attirano le donne e le opere d’arte in generale, come può fare una merda fresca con le mosche. Possono anche cozzare con i canoni della bellezza ed avere ben poco di apollineo eppure sono affascinanti e magnetici. Ecco… Carlo Pepi è uno di loro… affascinante e magnetico!
Eccolo finalmente il cacciatore di falsari, colui che ha dato il “la” al processo del secolo, che si sta per celebrare a Genova, sui falsi Modigliani (venti le opere sequestrate se ben ricordo). Si materializza davanti a me all’ombra di un antico portone (Fot.1).
L’empatia tra noi (che non siamo affatto omosessuali lo dico con il rispetto che a tutti è dovuto e solo per rimarcare una pregnante prerogativa) è immediata e fortissima. Vivo, arguto e acuto inizia la sua recita a soggetto fin dalla prima stanza che visito della sua casa dove, apparentemente nel caos, sono accatastati un numero indicibile di dipinti (così in ogni dove in casa sua). Ma a me che conosco fin troppo bene la dea mnemosine, madre delle muse che proteggono l’arte e la storia, non spaventa affatto l’immane casino e capisco, meglio intuisco, la logica che quel casino può aver ispirato e generato. La dea memoria dà a poeti e saggi la capacità di tramandare il passato, e conferisce a quest’uomo una forma di immortalità. Carlo Pepi sarà da ricordare! Mi dovrei spaventare per una decina di tele in bagno poggiate sul coperchio del water? Io che vado al ristorante soltanto perché a volte mi fa fatica, più che cucinare, spostare i libri dai fornelli? Si, certo che capisco e non mi spavento affatto. Carlo, capisco e ammiro sempre di più, stanza dopo stanza, la capacità che hai avuto di vivere d’arte e riempire fino all’inverosimile cinquanta, sessanta… cento stanze e contarle non serve (Fot.3)
Mica sono un soprintendente e non mi mancherà certamente il Picasso. Quand’anche dovesse sono tranquillo… prima o poi ci inciamperò di nuovo! Non è così per Pepi che va perfettamente a colpo sicuro e tira fuori esattamente quel che gli serve dall’ ammucchiata giusta. Il termine ammucchiata è voluto che nella promiscuità di opere, a volte diversissime tra loro, c’è anche la felicità materiale di quegli accoppiamenti orgiastici che sono da sempre lo splendido motore di qualsivoglia processo creativo (Fot.4).
La raccolta è la sua e funziona con la sua testa. Raccolta splendida e notevole. Testa di conseguenza! Così è e si può sostenere con forza senza il: se vi pare di Pirandelliana memoria. Mi sono documentato prima di venire in visita e ho letto da qualche parte che
l’ “immane casino”, che pare abbia di fronte, fu così definito da un qualche, per me innominabile e oscuro, funzionario e o burocrate di stato: “Un approvvigionamento del tutto occasionale e, a nostro avviso, fatto con caotica conduzione, tale che non si riesce a definire un profilo culturalmente plausibile e di valore estetico-storico della “Raccolta Pepi”. E allora mi corre subito l’obbligo di rassicurare il mio ospite che, al contrario, capisco perfettamente perché le opere sono le une raggruppate alle altre, che ne colgo perfettamente l’enorme profilo culturale, storico ed estetico… che meraviglioso disordine regna in casa tua carissimo Carlo! Ho detto enorme, riferito al profilo culturale, con piena consapevolezza e perfettamente in grado di intendere e di volere malgrado il caldo di questi giorni. Al centro di una stanza, icona di vita, una moto straordinaria di oltre quaranta anni fa testimonia la velocità con cui quest’uomo è vissuto e ha messo assieme la sua imponente preziosa raccolta. Troppo veloce per i comuni mortali e dice e sostiene di non aver mai sbagliato un’attribuzione. Hai certamente ragione vecchio maledetto e se possibile c’è da urlarlo ancora più forte che i modesti troppo spesso hanno ottimi motivi per esserlo… Invece tu non hai alcun motivo per poterti ritenere tale! Un collezionista compulsivo, caotico e frenetico? No! Uno che ha vissuto d’arte ogni istante della sua già lunghissima vita. Mi auguro, ovviamente, che sia ancora molto più lunga. Ha organizzato mostre e prodotto cataloghi il vecchio… il solito discorso e il solito numero 50, 60… 100? Studiate e leggete che quel che c’è scritto serve ed è testimonianza importante e precipua. Il numero serve a poco non lo conosce neanche Pepi che pure è dottore commercialista e con i numeri dovrebbe avere una certa dimestichezza… e mi chiedo che cazzo di commercialista possa essere stato in vita un simile soggetto? La prossima volta gli chiedo di Pacioli e della partita doppia e spero che mi dica che il frate fu un cialtrone e ciarlatano, ma questo è un pensiero in libertà. Cacciatore di falsari… mai definizione fu più riduttiva. Carlo in questo mondo che ormai è di realtà virtuale dove vero diventa ciò che con più forza dai media viene propinato ad un mondo di beoti a naso in su difende semplicemente il suo personalissimo vissuto. Ne ha piena facoltà! Un vissuto che lo ha visto protagonista e tra i protagonisti. Un mondo che non c’è più. Recentemente lo hanno anche lasciato alcuni amici e tra gli altri i pittori Renato Spagnoli a marzo e Bruno Secchi il 27 di Giugno. In chi vive e ha vissuto d’emozioni la cosa non scivola addosso con facilità e disinvoltura. Difende tutti gli artisti che ha conosciuto e anche quelli che ha amato in modo viscerale pur non avendoli mai conosciuti. Tra i fondatori e poi direttore della casa di Modigliani a Livorno, diede le dimissioni dall’incarico perché in disaccordo su alcune attribuzioni avallate da altri, i nomi non servono, nel novero dello staff. Da decenni ormai difende strenuamente quel mondo, che fu suo a pieno titolo, denunciando ogni nuovo falso e, purtroppo, ne compaiono senza soluzioni di continuità.
Fu Jeanne la figlia di Dedo, così chiamano confidenzialmente a Livorno Amedeo Modigliani, a volerlo negli Archivi Legali da lei fondati e a ribadire il suo desiderio di averlo ancora al fianco in una lettera scritta il giorno prima della sua tragica morte conferendogli, in qualche modo, una sorta di investitura morale. Difende un mondo che non c’è più Pepi e lo difende più che dai falsari da tutta una genia di mistificatori della realtà che quel mondo non ha vissuto e di cui non ha mai fatto parte. Una genia che nella produzione del falso ha solo l’atto finale di un processo aberrante di distorsione della realtà. Processo inteso alla distruzione della morale che tentano di sostituire con vile denaro in totale assenza di umanesimo. Battaglia inutile e persa in partenza, caro Carlo, stante gli enormi interessi economici in gioco e le miserie cui è solita soggiacere la condizione umana. Don Chisciotte contro i mulini a vento eppure stiamo dalla sua parte senza se e senza ma. Senza mollare un metro sicuri di lasciare una traccia, un seme destinato a germogliare prima o poi. La storia non la scrivono i vincitori e i loro lacchè. Questo è quello che vi hanno insegnato i pragmatici americani e noi invece crediamo che un giorno arriverà in cui la storia la scriveranno gli storici, quelli che avranno il dovere etico e morale di trovare e cantare anche delle tracce dei vinti. Non sappiamo cosa succederà a Genova nel processo ai falsi Modigliani, che non siamo i periti del tribunale e non sappiamo che cosa deciderà il giudice. Ci interessa, invero, anche poco; più niente che poco. Di certo al loro posto non manderemmo in distruzione un dipinto per il bianco di titanio. Il colore fu brevettato nel 1913 e fu in uso diffuso anche da molti anni precedenti. Lo usarono Sargent a Venezia qualche anno prima che ci transitasse Modi e Picasso a Parigi che lavorava al Bateau-Lavoir. Modigliani che ebbe con lui frequentazione più che documentata in quel luogo riceveva le lettere dall’Italia che gli inviava la madre… solo un perito chimico può avere in testa che Modigliani abbia visto un colore, il bianco di titanio, usato da altri in un qualche dipinto e non ne abbia compreso le enormi potenzialità. Si chiamava Amedeo Modigliani, mica perito del tribunale! Non esiste nessuna prova scientifica e ribadisco nessuna che Modigliani non abbia mai fatto uso di bianco di titanio.
https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/pittura-la-prova-assurda-del-bianco-di-titanio-falsi-falsari-caccia-alle-streghe-e-santa-inquisizione/
Di certo, per contro, nessuno ci convincerà mai, indipendentemente, dalla sentenza, che lo squinternato ritratto di Maria (Fot.5),
sequestrato a Genova, lo abbia dipinto Modigliani. Crediamo di poter nutrire il diritto del dubbio sempre e comunque anche qualora il dipinto fosse dal giudice certificato che anche i giudici, ci pare, siano soggetti all’umana condizione. Del ritratto di Hanka Zborowka (Fot.6),
anche lui a processo a Genova, ho detto al vecchio che anche secondo me non è granché e credo che sia falso, ma è li da sempre fin dal repertorio di Arthur Pfannenstiel e non mi da molta noia che dovessi mai scrivere un giorno della fortuna storica dell’opera di Modì… mi potrebbe anche servire. Così che dopo la visita a Pepi, di grazia e per favore, non provate a convincerci che debba essere un giudice, un carabiniere (seppure del RIS) e o un perito di tribunale (per quanto perito) a poterci o doverci dire se un quadro l’ha dipinto il “maledetto”. Abbiamo la pretesa, la supponenza e la spocchia di saperlo da soli e, di certo, comunque e in ogni caso, nel dubbio e se mai, chiederemmo il giudizio del vecchio. Stiamo guidando nella notte verso casa, non abbiamo bevuto, eppure il ritorno è ugualmente un miracolo che negli occhi non c’è la strada. Passano velocemente come tanti fermo immagine catturati dalle retine il “ritratto a Sommati” in un vecchio foglio a quadretti (Fot.7)
e “Donna seduta” che forse di Modigliani è la matita più bella ed è in tutti i libri (Fot.8),
ma dal vero, tenerla in mano, è altra cosa. Ma si susseguono rapidamente negli occhi in una sorta di strana, perversa e classica processione da un qualche mito orfico pitagorico: incisioni di Goya, che stanno vicine ad opere di Kandinsky, Harring, Warhol, Mirò e dove dovrebbero stare nella casa di uno che vissuta un’emozione già correva in moto in cerca di quella successiva? Un futurista Carlo Pepi ha marciato e non è marcito in un qualche ufficio di direttore di museo. Fattori in quantità e Signorini, Cecioni, Cabianca, Lega e, in omaggio alla mia venuta (anche il vecchio si è documentato?) da Sansepolcro, saltano miracolosamente fuori alcune caricature di Angiolino Tricca (Fot.9) che stanno non troppo lontano da alcuni quadri di Burri appesi a lato di un letto su cui non si può dormire che ci sono appoggiati sopra troppi quadri.
https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/angelo-tricca-il-macchiaiolo-piu-bravo-di-raffaello-sanzio-e-con-lui-confuso-sei-inediti-e-la-storia/
Tesori impossibile da vedere tutti in un pomeriggio che pare siano oltre 20.000. Pepi non sa neppure lui quanti sono, ma si accorgerebbe subito della mancanza del minore dei suoi tesori. Ci sovviene Ugo Tognazzi nella Stanza del vescovo di Dino Risi e più esattamente la scena del baule. Il Carabiniere tira su una sottoveste…Fanny; un reggicalze… Yvonne; mutandine di pizzo rosse… Giovanna; un reggiseno di pizzo blu… Maria; la foto di una bambina… Sully somala 13 anni; una ciocca di capelli biondi… una (non meglio precisata) danesina; ciuffo nero… pelo d’etiope! Carabiniere: ricordi di guerra? Tognazzi: cimeli di una vita. Carabiniere: una triste vita! Tognazzi: questo lo dice lei! Così esattamente come il più impenitente dei donnaioli Carlo Pepi vive circondato dalle sue opere dai suoi feticci cimeli e di tutti sa vita, morte e miracoli e tutti sono intimamente connessi tra loro. Stanno bene vicine le opere di Burri e di Tricca e non venite a dirmi che c’è il caos che vengono entrambi dall’Alta valle del Tevere… dove dovrebbero stare se non assieme? Grazie Carlo che ora in testa mi sovviene la voce di Alberto che aprendomi la porta dei magazzini (ex seccatoi del tabacco) a Città di Castello mi diceva: “vieni Robertino” ed iniziava così il percorso iniziatico di un ragazzino. Due o tre ore di immobile religioso estasiato silenzio che mi ha consentito, più volte, di vederlo operare nella costruzione, in parte anche riassunto, del suo personalissimo e al contempo universale viaggio. E poi, di nuovo, i giardini delle case di Pepi dove residui e tracce di installazioni testimoniano trascorsi splendori e, in un’aiuola due teste alla maniera di Modigliani, ma non di Modigliani. La burla dell’84 era passata anche dalla sua di testa, ma le sue di sculture, all’ultimo minuto, rimasero in giardino e così le ripescate nel fosso furono tre e non cinque. Meglio così Carlo che le tue erano progettate con una qualche cognizione di causa e non ti sarebbe riuscito poi di dire e sostenere che erano false neanche con prove schiaccianti. Incredibile ma vero, mi sarebbe toccato, forse, supporti falsario!
Carlo Pepi… un gigante!