400 tombe romane portate alla luce nella roccia a strapiombo. Dipinti parietali legati alla vite e all’uva. I gioielli

Alcune tombe avevano ancora corredi che includevano specchi, diademi, anelli, braccialetti, forcine per capelli, strumenti medici, cinture, coppe e lucerne, tutti elementi che fanno luce sulle persone sepolte nelle tombe, come il loro sesso, occupazione, abitudini ed epoca di sepoltura. Le testimonianze del culto cristiano

Una necropoli con 400 tombe di cultura romana, scavate nella roccia – molte delle quali dipinte – è stata portata alla luce da un’indagine archeologica estesa e sistematica, che si è conclusa nei giorni scorsi, a Blaundos – o Blaundus secondo la glossa antica – in Turchia. Secondo gli studiosi ci si troverebbe al cospetto di una delle più grandi necropoli del mondo con tombe a camera scavate nella roccia.

“Le tombe sono piene di sarcofagi, molti dei quali contengono i resti di più persone. Un indizio, questo, che fa pensare che le famiglie abbiano usato queste tombe per diverse generazioni – ha detto Birol Can, archeologo dell’Università di Uşak in Turchia e capo del progetto di scavo di Blaundos – Alcune tombe avevano ancora corredi che includevano specchi, diademi, anelli, braccialetti, forcine per capelli, strumenti medici, cinture, coppe e lucerne, tutti elementi che fanno luce sulle persone sepolte nelle tombe, come il loro sesso, occupazione, abitudini e l’epoca della sepoltura”.

Il nucleo cospicuo della città dei morti risale al III secolo dopo Cristo. Particolarmente interessanti le opere parietali, realizzate con colori vivaci, che creano l’immagine di una pergola ombrosa sotto alla quale riposavano le defunti, in tombe a camera che comunicavano tra loro, come abitazioni nelle quali le famiglie proseguivano la propria vita, in un’Aldilà configurato come un luogo di unione con chi si era perso. Gli archeologi hanno evidenziato il fatto che molte tombe familiari venivano ampliate, nel tempo, con gli scavi, attorno alla prima cavità realizzata per la tomba del “capostipite”.

La parete del canyon con gli accessi al sistema tombale. Un luogo che ha esposto gli archeologi a molti rischi di caduta

Le sepolture ad inumazione – che superano l’incinerazione – e il motivo dell’uva come fonte di Resurrezione e i richiami evangelici al tralcio e alla vite potrebbero portare a focalizzare elementi culturalmente importanti legati alla precoce interazione, in Anatolia – regione nella quale sorgeva Blaundos – del mondo cristiano con quello romano.

L’Anatolia, regione che – come dicevamo comprende Blaundos – è stata infatti una delle prime aree di diffusione del Cristianesimo. San Paolo, uno dei più grandi apostoli della Chiesa, era nato in Anatolia; tra le sue lettere alcune sono dirette a chiese anatoliche quali Efeso e Colosse. San Giovanni Apostolo nel suo libro dell’Apocalisse scrive a sette chiese al tempo esistenti – Efeso, Pergamo, Tiatira, Filadelfia, Sardi, Laodicea e Smirne – che rivelano una forte concentrazione di cristiani nell’area. Nell’antichità la regione fu sede dei primi, decisivi, concili ecumenici. Secondo un’antica tradizione, la Madre di Gesù avrebbe abitato negli ultimi anni di vita in una casa a nove chilometri a sud di Efeso. Siamo quindi in una regione fondamentale per lo sviluppo del Cristianesimo.

L’antica città di Blaundos è situata a 180 chilometri dal Mar Egeo in quella che oggi è la Turchia. La città, come hanno dimostrato gli scavi, venne fondata all’epoca di Carlo Magno e si sviluppò durante i periodi romano e bizantino.

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Maurizio Bernardelli Curuz
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