Stendhal a Brescia, dalla profezia di San Giovita ai Martinengo, da Bagnolo Mella alle case della città

La Certosa di Parma contiene alcuni riferimenti a Brescia, città nella quale Stendhal abitò per alcuni mesi. Era giunto in Italia con l’Armata napoleonica, all’’età di diciassette anni. Nel primo capito del romanzo egli allude, non senza certa ironia, alla cosiddetta profezia di “San Giovita, il primo patrono di Brescia (sic)”. Secondo questa voce che circolò negli ambienti aristocratici contrari all’invasione, il rientro dei francesi in Lombardia era temporaneo. “A giudicare da quel sacro oracolo – scrive Stendhal – la fortuna dei francesi e di Napoleone sarebbe finita esattamente tredici settimane dopo Marengo. Per scusare, almeno in parte, il marchese Del Dongo e tutti quei musoni di nobili campagnoli, bisogna dire che loro, alla profezia, ci credevano davvero, in buona fede”.

La Certosa di Parma contiene alcuni riferimenti a Brescia, città nella quale Stendhal abitò per alcuni mesi. Era giunto in Italia con l’Armata napoleonica, all’’età di diciassette anni. Nel primo capito del romanzo egli allude, non senza certa ironia, alla cosiddetta profezia di “San Giovita, il primo patrono di Brescia (sic)”. Secondo questa voce che circolò negli ambienti aristocratici contrari all’invasione, il rientro dei francesi in Lombardia era temporaneo. “A giudicare da quel sacro oracolo – scrive Stendhal – la fortuna dei francesi e di Napoleone sarebbe finita esattamente tredici settimane dopo Marengo.

Per scusare, almeno in parte, il marchese Del Dongo e tutti quei musoni di nobili campagnoli, bisogna dire che loro, alla profezia, ci credevano davvero, in buona fede”. Un altro riferimento bresciano è relativo al conte M. “Fabrizio – scrive il francese – vide passare il conte per le vie di Bologna, e fu molto irritato dall’aria di superiorità con cui quello occupava la strada e si degnava di mostrare le sue grazie al pubblico. Il conte M. ricchissimo, era convinto che tutto gli fosse permesso e, dato che le sue prepotenze gli avevano attirato molte minacce, non andava mai in giro senza portarsi dietro una ventina di guardie del corpo in livrea, gente che aveva fatto venire dai suoi possedimenti nei dintorni di Brescia”.


Il conte M. sarà uno degli avversari più temibili di Fabrizio. Evidentemente Stendhal pensava a un Martinengo, poiché, al di là dell’eloquente iniziale, mette in bocca al nobile le seguenti parole: “e non sono tipo da cedergli, accidenti! Se non fosse stato per la Repubblica di Venezia, sarei anch’io un principe regnante”. Stendhal conobbe molto bene Brescia e non solo per qui vide il “paese dai begli occhi”. Dopo essere stato acquartierato, nel dicembre 1800 a Bagnolo, “un petit mauvais village cisalpin”, lo scrittore torna temporaneamente a Milano quindi, divenuto ufficiale, si stabilisce a Brescia, a partire dal giugno 1801, prima a palazzo Avogadro, in via Moretto 84 – ora Bettoni Cazzago, poi in casa Conter – attualmente palazzo Sigismondi – in via Tosio 28.  Durante il periodo bresciano frequentò numerose splendide signore dell’alta società (mbc)

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