Cesare Bertolotti nasce a Brescia il 19 settembre 1854. Il padre Giuseppe, originario di Capriano, e la madre Teresa Silvestri sono pizzicagnoli in via del Beveratore.
Poco più che ventenne, Cesare è a scuola di disegno presso Roberto Venturi, con il quale studia fino ai ventidue anni d’età, pur frequentandolo, forse, sporadicamente anche in seguito. Il magistero di Venturi si rivela fondamentale, se si considera il fatto che la sua lezione può essere individuata persino nelle opere più tarde della produzione bertolottiana, nei paesaggi ed in particolar modo nei ritratti. Di questo sodalizio è testimonianza un grazioso ritratto a matita nel quale è raffigurato il giovane artista. L’opera, realizzata da Venturi intorno al 1875, costituisce forse lo studio preparatorio di un olio di cui, però, si sono perdute le tracce.
Nel 1876, una borsa di studio permette a Cesare di recarsi a Firenze per seguire i corsi di Giuseppe Ciaranfi. Questa esperienza, pur aprendogli gli occhi sul nuovo gusto e sulla nuova maniera di dipingere che caratterizza i Macchiaioli, lo influenza solo marginalmente.
Nel 1879 vince il concorso che gli apre le porte di Brera; nel 1880-81 è a Roma, sotto la guida di Cesare Maccari, e poi a Monaco di Baviera, alla scuola del Lembach. Proprio a Monaco si trova oggi uno dei quadri maggiori del Nostro: Bosco di castagni.
A Brescia, Bertolotti è uno dei soci più attivi di “Arte in Famiglia”, società fondata sul finire del 1876 (va ricordato che, proprio nell’ambito di “Arte in Famiglia”, nel 1924 avrà luogo una sua significativa antologica); al tempo stesso, prende parte a numerose mostre in diverse città italiane.
Cesare si dedica con assiduità al tema del paesaggio: anche con il genere del ritratto e del nudo, però, risulta perfettamente a suo agio. Nel 1889 sposa Teresina Lancellotti, ma rimane vedovo solo tre anni dopo e cresce così da solo l’amatissimo figlio Giuseppe. Negli anni Novanta si occupa della decorazione di edifici religiosi (il santuario delle Grazie in città) e civili (palazzo Reggio a Genova, villa Zanardelli a Fasano).
Nel 1914 riceve l’ambito premio “Principe Umberto” (unico bresciano ad aver ottenuto questo riconoscimento). Sono molti i successi che il pittore raggiunge nella sua lunga e operosa esistenza, anche se non mancheranno pesanti critiche ed alcune incomprensioni.
La morte, in guerra, del figlio sembra però arrestare l’attiva produzione dell’artista, che si isola quasi completamente, vivendo tra Paspardo, Sopraponte di Gavardo e la città. Quando riprende in mano i pennelli, il suo stile è mutato in modo profondo. Continua a lavorare, lontano da tutti, fino alla morte, sopraggiunta nel 1932.
1874-1884
La formazione
L’esordio artistico di Cesare Bertolotti risente della lezione di Roberto Venturi, sia nei ritratti che nei paesaggi. E’ esemplare, a tal proposito, il ricorso a luci forti sui piani e sui profili, ma anche la costruzione solida dell’immagine, il tutto riflesso degli insegnamenti del maestro.
Il periodo fiorentino e quello milanese sembrano invece averlo poco segnato. Solo alcune opere, infatti, tra le quali Fantecolo (1891-92), ricordano lontanamente la lezione dei Macchiaioli toscani. Se alla permanenza a Roma si potrebbe ricondurre l’utilizzo di ombre contrastanti, la pennellata compatta rimanda piuttosto a Lembach, frequentato durante il soggiorno a Monaco.
Le prime produzioni pittoriche di Bertolotti non sono inoltre del tutto indifferenti ai modi della tradizione paesaggistica bresciana, appresi nel periodo di contatti quotidiani con Carlo Manziana, al quale è unito da una profonda amicizia. Di quest’ultimo Cesare trattiene, infatti, alcuni elementi stilistici.
Nonostante tali riconoscibili fonti di ispirazione, non va dimenticato che Bertolotti, nell’intero arco della sua esistenza, rimane fermamente fedele solo a se stesso.
Anni Novanta
Le importanti commissioni
e le marine
Questo artista ha sempre goduto di una clientela vastissima e qualificata. Sono inoltre molte le commissioni di alto livello da lui ricevute nel corso della sua fervida attività.
Nel 1893 Cesare Viazzi lo invita a collaborare alla decorazione del palazzo genovese del conte Reggio. Accanto a questa impresa, Bertolotti produce numerose opere da cavalletto. La Liguria esercita infatti un forte fascino su di lui, che vi tornerà in più occasioni a dipingere. Sono svariate le sue tele a tema marino, testimonianza ulteriore della ricerca dell’artista tesa a motivi e linguaggi sempre nuovi.
A seguito dell’esperienza genovese, i bresciani gli affidano l’importante incarico del compimento del ciclo del santuario delle Grazie, avviato da Modesto Faustini. Vi si dedicherà tra il 1895 e il 1900.
Giuseppe Zanardelli gli commissiona gli affreschi della villa a Fasano, tra i quali spicca, sul soffitto della camera, una figura femminile in una nuvola di veli. Intanto, Bertolotti ha iniziato ad insegnare alla scuola Moretto.
1905-1916
Gli anni Liberty
e i paesaggi “ondeggianti”
Dal 1905 comincia a manifestarsi nella sua produzione una spiccata propensione per il Liberty: in quadri come Uliveto sul lago (1905), Passaggio montano e Cascata nel bosco di betulle (1915), fino a La raccolta delle foglie nel castagneto (1921-22), è ben evidente l’attenzione del pittore per le movenze ondeggianti e sinuose degli alberi. Il tutto impreziosito da sapienti studi di luci ed ombre, dai vibranti raggi di sole che penetrano tra i rami e le foglie e dai suoi tanto celebrati verdi, talvolta brillanti, talaltra teneri e delicati. Ciò viene affrontato dall’artista percorrendo il filone paesaggistico della scuola bresciana, ma conservando, ancora, un fortissimo accento personale.
Le opere che Bertolotti espone tra Milano (1911-12), Torino (1912-13) e la città natale sono da considerarsi la summa delle inclinazioni liberty che hanno attraversato una parte della sua produzione, e che, a dire il vero, possono essere ritrovate pure nelle ultime creazioni, benché questa fase venga bruscamente interrotta dalla guerra e dalla conseguente morte del figlio Giuseppe.
1917-1932
L’ultimo periodo. Pittura forte
dopo la morte del figlio
La scomparsa di Giuseppe, l’adorato “Peppino”, getta Bertolotti nella più profonda disperazione. Dopo una pausa, il “fatale arresto”, egli riprende l’attività, in un drastico isolamento, pur dedicandosi con grande fervore alla sua vocazione.
Le opere tarde sono dunque ancora più numerose, caratterizzate da una pittura virile e decisa, basata sulle impressioni, sulle luci forti e sullo strettissimo rapporto con la natura, che spinge l’artista a individuare come soggetto prediletto la montagna e a rimanere estraneo agli “intrighi cittadini”. Domina inoltre in queste creazioni un gusto più meditativo ed aristocratico nelle scelte cromatiche e compositive.
Tra le sue ultime prove vanno per lo meno ricordate Cespugli di biancospino (1921), Barche sul Garda (1921), Veduta della costa ligure (1926), Veduta di castagneti a Paspardo (1927) e Bosco (1930).
Il problema dei quadri
della scuola
attribuibili al maestro
Cesare Bertolotti ha tenuto a Brescia una frequentatissima scuola. Nessuno degli allievi, neppure dopo la sua morte, si allontanò mai dalla sua lezione e dal suo stile. E’ essenzialmente per questa ragione che, ancora oggi, circolano svariati quadri in piena sintonia con il gusto del maestro.
E’ inoltre interessante illustrare il metodo di insegnamento, del tutto particolare, dell’artista. Egli spingeva a dipingere direttamente ad olio; di tanto in tanto faceva scegliere agli allievi lo stesso soggetto da lui affrontato in quel momento, intervenendo poi di persona per correggerne e completare il lavoro.
Non risulta quindi difficile immaginare che esistano opere attribuite a Bertolotti, ma che in realtà sono state eseguite da pittori o pittrici del suo entourage. E neppure la presenza della firma sul quadro ne garantisce l’autenticità: se è vero infatti che, a differenza di molti altri artisti bresciani dell’epoca, egli aveva l’abitudine di firmare e datare le sue creazioni, è anche vero che proprio le firme sono state frequentemente imitate.