De Luca esamina le inquietanti analogie tra creativi e assassini. Ma il creativo ossessionato, riesce a liberarsi dalla prigionia di un’immagine ricorrente. L’ammalato di mente no,
di Luca Turelli
[A]rtisti figurativi e serial killer. Un binomio audace, che non si rivela, comunque, così sorprendente agli occhi dello psicologo e criminologo – è esperto di assassini seriali – Ruben De Luca, autore del libro Omicida e artista. Le due facce del serial killer (Edizioni Magi, 336 pagine). La tesi sostenuta dallo specialista poggia sullo studio delle analogie che si possono riscontrare analizzando la psiche di pittori e scultori (ma anche, seppur in modo minore, di scrittori, cineasti e musicisti) e, appunto, di assassini, che alimentano la propria follia in un percorso di reiterati omicidi. Ma cosa unisce, a giudizio del criminologo, chi vive di creatività a chi spegne nel sangue, con freddezza, la vita di altri uomini?
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Omicida e artista. Le due facce del serial killer
di Ruben De Luca
Prezzo: € 25.00
Editore: Magi Edizioni
Collana: Lecturae
ISBN: 8874872844
ISBN-13: 9788874872848
Pagine: 329
Reparto: Psicologia > Psicologia criminale e legale
Formato: illustrato, brossura[/box]
Cominciamo dal lato comportamentale. E’ ben noto che, generalmente, gli artisti vivono un’esistenza non perfettamente in linea con la quotidianità, seguendo ciò che Ingmar Bergman definiva come “costante ossessione” che costituisce il motore principale della creazione. Si riscontrano, allora, secondo lo studioso, alcuni punti di contatto tra le due linee fondamentali delle personalità.
Entrambe hanno la necessità di compiere uno percorso introspettivo, che porta a sondare la psiche, nell’intimo più profondo; guardare dentro di sé può accrescere il lato narcisistico e sottende la necessità dell’isolamento, a causa del quale ci si allontana dalla realtà quotidiana. Gli artisti, dal canto loro, possiedono la consapevolezza dell’unicità di ciò che viene creato (e in questo atto risulta molto importante il rito dell’apposizione della firma) e dell’immortalità che può essere raggiunta attraverso un’elaborazione in grado di parlare all’uomo, al di là della dimensione del tempo. Artisti e serial killer, inoltre, tendono a infrangere le regole per creare qualcosa di innovativo. Maurice de Vlaminck dice, a questo proposito: “Così ho soddisfatto il mio desiderio di disobbedire alle regole e di distruggere qualcosa, ho distrutto le vecchie convenzioni”.
Non deve fuorviare, argomenta l’autore, il fatto che gli artisti danno “vita” (all’opera) mentre gli assassini la tolgono (alle vittime); entrambi creano ma, per giungere all’obiettivo, debbono passare attraverso un percorso di distruzione. Breton, con tono certamente provocatorio, affermava che “il gesto surrealista più semplice consiste nell’uscire in strada con una pistola in mano e sparare a casaccio sulla gente”. Il pittore viola la tela bianca con i fendenti del pennello (si arriva alla massima violenza con i tagli di Lucio Fontana), prima pura e immacolata, lo scultore sbriciola il blocco di pietra, il killer uccide le vittime predestinate per creare una sua composizione, che esso intende come nascita.
Attraverso uno schema presentato da De Luca nella pubblicazione possiamo comprendere i principali punti di contatto tra le due categorie umane. Fase aurorale: “entrambi si ritirano nel loro mondo interiore (…) la fantasia ha il predominio sulla realtà”. Fase di puntamento-eccitamento: “rientrano nel mondo reale per realizzare le loro fantasie”. Fase seduttiva: “il serial killer avvicina la vittima (…) l’artista accarezza l’idea creativa”. Fase di cattura-preparatoria: riti simbolici, scelta dell’arma e cattura della vittima, scelta del materiale e cattura dell’ispirazione per l’artista. Fase omicidiaria-creativa: omicidio, creazione dell’opera. Fase totemica: il feticcio, corpo o opera, è osservato e, in seguito, ricordato per rievocare le sensazioni di piacere e soddisfazione vissute. Fase depressiva: il ricordo non è più molto vivo e si ricomincia il ciclo che porta alla creazione di una nuova opera o di un altro omicidio.
La soddisfazione che nasce nel momento della contemplazione è elevata, ma prima o poi finisce. Allora è necessario ricreare in modo frenetico altri quadri simili o uccidere altre persone con le stesse modalità, da cui la serialità. Un gesto che tende ad essere rinnovato, quindi, secondo il sistema che De Luca, con un lessico psicanalitico, definisce coazione a ripetere, “una forza interna che costringe il soggetto, sotto la minaccia di un aumento dell’angoscia, a compiere una determinata azione”.
Certamente entrambi utilizzano un pensiero per immagini, le quali entrano nella mente, si concretizzano e perfezionano per divenire da progetto ad atto nel momento in cui si trasferiscono sulla tela o su un corpo. Mutilazioni, posizione del cadavere, luogo del “sacrificio”, sono tutti aspetti calcolati ad arte e ricercati dal serial-killer, così come il pittore progetta con un attento studio ogni aspetto della composizione.
Ruben De Luca trova quattro modalità in cui la figura dell’artista incontra in modo più o meno devastante quella del serial killer.Gli artisti-serial killer potenziali,innanzitutto. Tra di essi lo studioso annovera Bosch, Brueghel, Goya e Dalí: “non hanno alcun legame diretto con gli assassini seriali, ma il loro mondo fantastico è alimentato da visioni allucinate molto simili a quelle dei serial killer” dice il criminologo; eppure l’arte consente di portare ossessioni e figure fantasmatiche al compimento positivo. Infatti, “le fantasie distorte sono canalizzate nell’ambito creativo, accettato da tutta la società”. Secondo l’autore del volume, infatti, la pittura può essere un ottimo modo per prevenire l’evoluzione di problemi psichici in soggetti a rischio, con la liberazione creativa delle pulsioni negative.
L’arte diviene quindi un’attività terapeutica. Afferma, ancora, De Vlaminck: “Quello che avrei potuto fare semplicemente lanciando una bomba – azione che mi avrebbe condotto al patibolo – ho cercato di realizzarlo attraverso l’arte”. Lo spettro del sex appeal di Salvador Dalí è un’opera sommamente rivelatrice della psicologia del suo autore. La scena rappresenta un bambino intento ad osservare il corpo mutilato di una donna anziana. Si trasmettono in questo modo le idee di morte, di impotenza, le fobie nei confronti della sessualità di cui Dalí è sempre stato affetto fin dalla giovinezza, come lo stesso affermava, rivelando di essere un deviato sessuale o, ancora, raccontando di quella volta in cui, a sei anni, prese a calci la sorella di tre senza ragione alcuna.
Dal 1995 a oggi a Perpignan, località francese molto amata dall’artista – ricordiamo il quadro La stazione ferroviaria a Perpignan -, sono scomparse quattro ragazze i cui corpi, ritrovati in seguito, hanno mostrato somiglianze sorprendenti con le mutilazioni inferte nei soggetti su tela di Dalí, tanto da far pensare ai media francesi un possibile collegamento tra la dinamica delle esecuzioni e l’osservazione del dipinto di taglio surrealista.
Nonostante uno dei massimi esperti di omicidi seriali d’oltralpe, Stéphane Bourgoin, non sia d’accordo, De Luca afferma che “le mutilazioni inferte alle vittime ricordano in modo impressionante alcuni dipinti e disegni di corpi smembrati realizzati dal pittore”, lasciando ipotizzare che si possa trattare di uno dei primi casi in cui vi sia un contatto tra “la rappresentazione simbolica messa in atto da un assassino seriale attraverso l’omicidio e quella realizzata da un pittore attraverso un quadro”.
Il secondo gruppo individuato dal criminologo è composto da pittori affascinati dai “geni del male” al punto da trasformarli in oggetto di numerose opere oppure così colpiti dagli psicotici con desideri di morte da “riprodurre scene di omicidio sessuale e cadaveri mutilati, come nel caso degli artisti di Weimar”. Anche qui “le fantasie sono canalizzate in ambito creativo, accettato da una parte della società”.
La situazione sociale è dura. La Germania è sconfitta nella prima Guerra mondiale, l’uomo si sente umiliato. Sfoga la rabbia contro le donne, soprattutto le prostitute, viste come l’incarnazione del peccato, della corruzione. Per queste ragioni, in quegli anni, si assiste ad un contestuale proliferare di omicidi sessuali e di dipinti dedicati a tale tema.
A ciò si aggiunga l’esposizione quotidiana, negli anni del conflitto, dei corpi mutilati dei soldati, che costituiscono un profondo elemento di dolore e di disturbo. E’ su queste basi che nasce l’opera di Dix. Quadri come Assassinio, Lo stupratore omicida (Autoritratto) – e dal sostantivo “autoritratto” capiamo che l’artista assume, con modalità immaginarie, il ruolo dell’assassino, in un ammissione del desiderio di sangue -, Omicidio con stupro, Sogno della sadica, farebbero infatti comprendere un percorso di sublimazione di pulsioni violentissime. “Sono stato costretto a farlo; questa cosa era dentro di me” ammette l’autore. E ancora: “Se queste cose non avessi potuto dipingerle avrei dovuto farle”. Oltre alla scelta di collezionare, come molti facevano, immagini prese direttamente dalle scene del delitto, è emblematica la decisione di Otto Dix di firmare un quadro con le impronte digitali sporche di vernice rossa a simboleggiare il sangue. Un caso analogo è quello di George Grosz, contemporaneo di Dix, i cui soggetti rappresentano crimini e esecuzioni. L’odio per le donne è testimoniato dal fatto che il corpo maschile, anche nei soggetti di guerra, è sempre vestito e integro mentre quello femminile è nudo e mutilato, corrotto. Ricordiamo in particolare i dipinti John, il Lady killer e Il piccolo assassino di donne.
Il terzo gruppo è costituito dai serial killer artisti. Il serial killer incarcerato scopre la passione per il disegno, attraverso la quale, non potendo più uccidere, sfoga le proprie fantasie interiori. De Luca divide queste personalità in tre sottogruppi.
Il primo annovera serial killer che dipingono scene di violenza come compensazione all’impossibilità di uccidere; il secondo riunisce assassini che dipingono scene non legate a temi aggressivi; il terzo è costituito da autori che producono opere inseribili in entrambe le tipologie. Ecco alcuni esempi paradigmatici. Charles Manson, secondo gruppo, ha avuto come principale obiettivo quello di diventare un artista, non quello di uccidere. Arte limpida, dai caratteri naif, una progressione “sulla strada indicata dai primi hippies”. Una carriera che inizia prima del carcere e che continua senza fini commerciali. Il deserto, che ricorda da vicino i lavori di Miró, il volto di Cristo, trasfigurato fino a diventare un autoritratto, sono i temi principali.
I dipinti di Nicholas Claux (primo gruppo), sono nettamente superiori a quelli dei “colleghi” in quanto a tecnica. Ama dipingere i volti dei serial killer. E’ autodidatta. Il tema delle sue opere è costituito dalla violenza e dall’omicidio. Si dimostra anche acuto conoscitore della psicologia criminale. Afferma in una citazione contenuta nel volume che “l’arte consiste nel dare realtà alle proprie visioni interiori. (…) Prendo le mie visioni sconvolgenti dai lavori di Goya, Brueghel il vecchio, Bosch, Dürer, Munch. (…) Saturno che divora i suoi figli di Goya, Il Trionfo della morte di Brueghel, sono alcune delle opere che turbano la mia mente”. E ancora: “Tanti assassini diventano artisti instancabili quando sono in prigione. Cercano di compensare il desiderio di uccidere con la potenza della creazione”.
Infine ci sono gli artisti assassini e serial killer, un gruppo che comprende quei soggetti i quali diventano assassini dopo aver intrapreso una carriera artistica. E’ il caso di Caravaggio. “Sembra quasi che Caravaggio – afferma il criminologo – abbia un bisogno incontrollabile di manifestare il proprio sadismo nei confronti della donna, rappresentandola in preda alle sofferenze più atroci”. Tra il 1600 e il 1606 trapassa con una spada il braccio di un nobile, colpisce un notaio in testa con un’accetta e uccide per motivi banali Ranuccio Tomassoni.
John Douglas, uno dei più noti cacciatori di assassini seriali, afferma che “i serial killer pianificano il loro lavoro con la stessa accuratezza di un pittore”, mentre per Theodore Adorno “ogni creazione artistica è un crimine non commesso”.