E’ dello stalliere di Filippo il Bello il primo, nobile ritratto di un uomo di colore

I fiori di giglio che decorano il cinturone e il distintivo posto sul cappello all’africana lo classificano come un convertito, caratteristica tipica dei servi che lavorano presso grandi casati. Ciò che rende particolare il quadro, però è che l’individuo è un uomo libero, come denota il look, che segue le regole del canone rinascimentale



PUOI RICEVERE GRATUITAMENTE, OGNI GIORNO, I NOSTRI SAGGI E I NOSTRI ARTICOLI D’ARTE SULLA TUA HOME DI FACEBOOK. BASTA CLICCARE “MI PIACE”, SUBITO QUI A DESTRA. STILE ARTE E’ UN QUOTIDIANO , OGGI ON LINE, FONDATO NEL 1995

JAN MOSTAERT, Ritratto di uomo africano, 1520-30 ca., olio su tavola, 30,8 x 21, 2 cm, Amsterdam, Rijksmuseum
JAN MOSTAERT, Ritratto di uomo africano, 1520-30 ca., olio su tavola, 30,8 x 21, 2 cm, Amsterdam, Rijksmuseum

Conosciamo il nome del primo uomo africano ritratto da un pittore europeo: si tratta di Cristoforo il Moro, stalliere di Filippo il Bello, poi guardia del corpo di Carlo V. E’ questa, perlomeno, la suggestiva ipotesi avanzata da Ernst Van den Boogaart, storico olandese, che ha raccolto i risultati della sua ricerca in un Bollettino del Rijksmuseum, il luogo dove attualmente è conservato il quadro – dovuto a Jan Mostaert -, in occasione della presentazione che ne ha seguito l’acquisto. In verità, persone di colore erano già apparse su tele e affreschi, ma si trattava sempre di casi isolati: per lo più schiavi o personaggi della tradizione cristiana (il magio Baldassarre per esempio), e comunque mai rappresentati da soli.
Questa volta invece una persona di colore viene raffigurata nella sua individualità. Perché? Van den Boogaart prova a spiegarcelo attraverso una teoria che, anche se non è l’unica formulata sull’identità della misteriosa effige, è però la più accreditata. Se per Kate J. Lowe, studiosa britannica, è un esempio dell’universalismo cristiano, per lo storico olandese dimostra, al contrario, l’imperialismo della cultura europea, pronta a prendere sotto la propria ala anche uno stalliere qualunque purché obbediente e fedele all’imperatore. Ma veniamo agli indizi che suffragano questa tesi. Il primo sospetto sulla non regalità del moro nasce dall’analisi dei suoi indumenti: è vestito bene, non benissimo: è demodé. Mai un nobile avrebbe posato in questo modo, senza nemmeno un gioiello ad impreziosirne l’aspetto. Inoltre i fiori di giglio che decorano il cinturone e il distintivo posto sul cappello all’africana lo classificano come un convertito, caratteristica tipica dei servi che lavorano presso grandi casati. Ciò che rende particolare il quadro, però è che l’individuo è un uomo libero, come denota il look, che segue le regole del canone rinascimentale. Sapendo inoltre che l’opera è databile tra il 1520 e il 1530, e che a quell’epoca l’autore, Jan Mostaert (1475-1555), dipingeva presso la corte di Margherita d’Austria, sembra naturale pensare che si possa trattare dell’unica persona africana presente allora a Malines, residenza imperiale. E’ Cristoforo, prima stalliere di Filippo il Bello, poi pretoriano del figlio Carlo. L’attribuzione è confermata dal cromatismo degli abiti: rosso, bianco, dorato, i colori dell’imperatore.

Condividi l'articolo su:
Redazione
Redazione

Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa