di Francesca Baboni
[L]e grandi battaglie di Giovanni Fattori nascono assieme alle sperimentazioni stilistiche dell’autore, intorno ai primi anni sessanta dell’Ottocento, come un nuovo modo possibile di rapportarsi al vero.
Osservando i soldati di Napoleone III accampati, nel giugno ’59, al Pratone delle Cascine, il giovane pittore, affascinato da una visione che lo entusiasma, realizza il suo primo grande quadro militare, oggi conservato alla Galleria nazionale d’Arte moderna di Firenze, Il campo italiano durante la battaglia di Magenta, datato appunto 1859, con il quale partecipa al celebre concorso Ricasoli dando il via alle celebri composizioni sul tema che lo impegneranno fino all’inizio del Novecento.
Nell’opera, messa a punto con l’osservazione analitica, dal “vero”, della scena, già traspare il senso fortemente “antieroico” e “antiretorico” che anche successivamente Fattori rivelerà nell’affrontare l’argomento. L’attenzione difatti si concentra interamente nel dopo battaglia, sul carro dell’ambulanza e sulle Suore della Carità giunte a soccorrere i feriti; si fissa dunque su aspetti periferici e apparentemente marginali con un nuovo modo d’intendere la vita militare, con la rappresentazione di uomini calati pienamente nella loro realtà, protagonisti di una vicenda quotidiana.
Fin dalle prime opere Fattori osserva dunque giornalmente quel che accade intorno; in presa diretta e munito di taccuino – alla sua morte ne avrà riempiti più di sessanta – documenta con accuratezza ciò che vede per rielaborarlo in seguito, anche a distanza di tempo, in nome di quel “vero” che avrà tanto a cuore durante la sua ricerca pittorica, caratterizzando “ le figure nelle campiture racchiuse dal disegno sicuro e forte, quali protagoniste in un proprio spazio parte di più ampi spazi che palpitano autonomamente” (Andrea Baboni in Giovanni Fattori, catalogo della mostra a Verona, Palazzo Forti, edito da Electa).
L’esaltazione eroica risorgimentale è dunque del tutto assente in questo nuovo linguaggio stilistico, che non ha volutamente nulla di celebrativo e che si esprime sia nei numerosi studi che nelle opere più importanti: nella Carica di cavalleria a Montebello del 1862, ad esempio, il modo di concepire l’immagine tra spazio e resa atmosferica è del tutto originale. L’assalto alla Madonna della Scoperta del 1868 è invece l’ultima delle tre grandi tele sulle battaglie del ’59 che siglano il periodo giovanile del pittore, culmine dei suoi studi negli anni sessanta. La narrazione viene qui spezzata ma risulta irrimediabilmente “vera” nella scena di vita militare maggiormente articolata, mentre lo spazio è scardinato da qualsiasi valenza prospettica, nell’ampiezza del paesaggio che sembra prevalere sull’evento stesso.
Nell’Episodio della battaglia di Custoza, dipinto che ottenne la medaglia d’argento all’Esposizione Nazionale di Parma del 1870, privilegia la messa a fuoco di un momento di sosta quotidiana rispetto allo scontro, tra feriti zoppicanti e soldati affaticati, delineando oltremodo un orizzonte molto alto che contribuisce a compattare le molteplici situazioni rappresentate nel saldo impianto compositivo. In Carica di cavalleria del 1873, di cui esegue anche un’incisione, l’unica su commissione, approfondisce le sue riflessioni formali con ben più vigore, con la scelta di un soggetto in movimento, drammatico, un groviglio di uomini e cavalli impennati che giocano insieme per una resa dinamica dell’azione turbinosa.
Il colore si fraziona su più piani, e le forme si sfaldano nel turbinio della polvere del campo di battaglia. Il tema della carica della cavalleria avrà molto successo nella produzione dell’autore e verrà reiterato anche nelle famose incisioni e nei disegni. Ne Lo scoppio del cassone della Galleria d’Arte moderna di Venezia, del 1879-1880, si accentua il movimento dinamico che prende la forza di una centrifuga nello scatto compositivo, mentre ne Il Quadrato di Villafranca, realizzato dal 1876 al 1880, ora alla Galleria d’Arte moderna di Roma, una delle sue poche commissioni governative, il “vero” viene raccontato con disincanto e malinconia.
Si fa strada in Fattori, dopo l’entusiasmo iniziale, e si accentuerà soprattutto negli ultimi anni di vita, una trasformazione, un sentimento di sconforto e sfiducia negli ideali risorgimentali che lo porta ben presto a considerare la guerra con amarezza, come un sacrificio dovuto, un’avversità della vita a cui semplicemente dover far fronte. Discorso che prosegue nel resto della sua produzione fino all’opera Grandi manovre del 1904, che rappresenta una sosta militare resa per scorci ravvicinati e partiture molto calibrate, immersa quasi in una sorta di sospensione che rende l’idea di una stanchezza morale del pittore ormai anziano, unita ad una sensazione di smarrimento delle proprie azioni e dei propri intenti, nel segno della fine di una grande utopia.
PUOI RICEVERE GRATUITAMENTE, OGNI GIORNO, I NOSTRI SAGGI E I NOSTRI ARTICOLI D’ARTE SULLA TUA HOME DI FACEBOOK. BASTA CLICCARE “MI PIACE” ALL’INIZIO DI QUESTA PAGINA. STILE ARTE E’ UN QUOTIDIANO , OGGI ON LINE, FONDATO NEL 1995