di Chiara Seghezzi
[D]opo la signoria di Pandolfo Malatesta (1404-1421) e la concessione a Venezia (1426), Brescia conosce tra il 1454 (anno della pace di Lodi) e il 1512 (invasione francese) un periodo di benessere economico e di risveglio culturale.
Le opportunità di lavoro dettate da un incremento delle commissioni pubbliche e le immunità, che gli statuti cittadini riservavano, provocano l’affluenza di numerosi artisti da Bergamo, Cremona, Milano e dal Veneto.
I Bembo, importante famiglia di pittori cremonesi della Lombardia della metà del Quattrocento, sono presenti a Brescia già nei primi decenni del secolo. Il capostipite Giovanni (ponte fondamentale tra il cantiere gentiliano del Broletto e l’attività di Testorino, di Prandino e di Foppa) è in città dal 1421, raggiunto dal primogenito Andrea, che ottiene la cittadinanza bresciana nel 1431. Nel 1446 arriva anche Bonifacio, e nel 1465 Benedetto viene qualificato “bressano”.
Alla bottega dei Bembo sono da attribuire alcuni importanti affreschi all’interno della chiesa di Santa Maria del Carmine: la Storia di Sant’Eligio nell’area presbiteriale (1430-1432), di cui rimangono leggibili le figure dei Santi Cosma e Damiano, e la Madonna in trono col Bambino e i Santi Antonio Abate e Francesco in atto di offrire l’offerente inginocchiato, sulla cui cornice compare la data 1431. Quest’ultimo è stato assegnato, per l’eleganza del dettato e i forti accenti grafici, a Giovanni, morto nel 1444 ma attivo ancora nel 1433 nella realizzazione delle insegne del Leone marciano, del podestà veneto e della città di Brescia, su commissione del Comune. Il Morassi inserisce nel “catalogo” di quest’artista anche il vicino San Giorgio. Al medesimo ambito stilistico appartengono l’affresco, caratterizzato da minuziosi tratti fisiognomici e da un equilibrio cromatico e compositivo, della Madonna in trono allattante il Bambino con Sant’Anna e le Sante Apollonia e Caterina d’Alessandria (1435-1440) nella chiesa di San Francesco e alcuni cicli decorativi profani, come le Storie degli Argonauti da un palazzo di Maderno o il ciclo degli Uomini d’arme di Palazzo Colleoni alla Pace. Un secondo importante nucleo di dipinti decora le tre pareti terminali della navata sinistra di Santa Maria del Carmine, disposto come a riprodurre un polittico su tavola, la cui cornice monocroma rappresenta strutture architettoniche ricche di modanature. Il caponavata sinistro della chiesa risulta essere tra il 1432 e il 1444 interessato da un totale ammodernamento decorativo a causa dell’accorpamento della cappella esterna dell’edificio conventuale: in questa fase interviene probabilmente la bottega bembesca.
La parete di fondo ospita un polittico (smembrato da un’apertura postuma) con al centro una Madonna in trono, Sant’Agata e San Cristoforo, affiancati da un Santo vescovo e da un’altra Madonna in trono che compare una terza volta nel registro inferiore, in pendant con una Trinità: gli elementi compositivi sono più semplificati rispetto alle opere sopra citate, ma i moduli anatomici e somatici ripropongono l’autografia bembesca. Tale paternità risulta confermata da una quarta Maestà che si trova nel registro superiore della parete orientale dell’ambiente, datata 1444, sovrapposta ad un affresco alquanto rovinato ma di notevole qualità effigiante San Cristoforo (le cui architetture sullo sfondo ricordano la sintassi miniatoria, mentre le figure di grandi dimensioni del santo e del Bambino che emergono nel paesaggio sono vicine agli esiti dei pittori veronesi).
Meno studiato è il ciclo delle Storie di San Domenico nell’oratorio della chiesa di Tavernole sul Mella, databile intorno alla metà del secolo. Il ciclo, attribuito ad Andrea, illustra su due pareti quindici episodi della vita del santo, senza un ordine cronologico. La dotta iconografia del Cristo con le tre frecce fa supporre una committenza alta (forse una confraternita laicale domenicana) attiva nel 1436 a Tavernole (importante centro giuridico e amministrativo della Val Trompia). Interessante è la compresenza dei Santi Domenico e Francesco, annunciati a Cristo da una Madonna tutta bembesca, come diffusori di obbedienza, castità e povertà. L’unione dei due ordini è sancita a Brescia dalla fondazione del monastero domenicano di San Francesco (oggi distrutto).
Di Andrea Bembo, che dipinge per decreto municipale un perduto monumento equestre a Francesco Sforza da porre su una delle porte della città, non restano opere firmate, dopo la scomparsa di un affresco datato 1480 nel chiostro di San Domenico. A complicare il problema delle attribuzioni è la presenza in città del fratello Bonifacio, a cui va assegnato per l’alta qualità disegnativa il già citato affresco di San Cristoforo, il Bambino, un offerente e un Santo, nella chiesa del Carmine.
All’ambito bembesco (forse Andrea) appartiene la decorazione del perduto convento di Santa Caterina, restaurato nel 1455, e di cui rimangono, conservate nella Pinacoteca Tosio Martinengo, due lunette: un’Incoronazione della Vergine con corone di angeli e un’Assunzione di Maria con angeli musicanti. A queste viene avvicinata una terza lunetta frammentaria, proveniente dalla dismessa chiesa di San Barnaba, con un’Annunciazione.