I modi di dire dialettali, ascoltati in zone della penisola in cui non erano stati prodotti, portarono spesso a una sintesi e un accomodamento del suono assegnando ad essi un significato diverso da quello originale. E’ il caso del soprannome Sodoma, attribuito all’artista piemontese del Rinascimento dai suoi nuovi concittadini toscani e romani. Molti collegano il nome Sodoma a una dimensione di peccato biblico legato agli eccessi sessuali di natura omoerotica. Ma la spiegazione dell’origine del soprannome dell’ottimo pittore di matrice leonardesca pare non sia riconducibile a questo.
Prima di risolvere il piccolo ma interessante “mistero” del soprannome, percorriamo brevissimamente la storia di questo artista, Giovanni Antonio Bazzi, che era nato a Vercelli nel 1477 e che sarebbe morto a Siena, il 15 febbraio 1549.
Bazzi era figlio del calzolaio Giacomo e di Angela da Bergamo. A tredici anni, Giovanni Antonio aveva iniziato a lavorare, a Vercelli, nella bottega del pittore Giovanni Martino Spanzotti. Nel 1498 si era poi trasferito a Milano – città fortemente permeata dal fenomeno leonardesco – poi a Siena, nel 1501. Nel 1508, quando Bazzi aveva 31 anni, ricevette da Papa Giulio II la commissione delle decorazioni del soffitto della Stanza della Segnatura in Vaticano. Un ruolo importante, che il suo collega e amico Raffaello avrebbe sottolineato nell’affresco La scuola di Atene, (1509-1511), in cui Sodoma stesso – secondo la tradizione – venne raffigurato dall’Urbinate, proprio accanto a sé.
Dipinse anche il altri luoghi raffaelleschi e in particolare a Villa Farnesina, a Roma, dove affrescò le Nozze di Alessandro e Rossane, dipinto per il banchiere senese Agostino Chigi.
Bazzi si era separato presto dalla moglie, dalla quale aveva avuto una figlia che avrebbe poi sposato un allievo della sua bottega, Bartolomeo Neroni, detto anche Riccio Sanese o Maestro Riccio.
La prima volta in cui, nei documenti, appare il soprannome Sodoma – con il quale prese a firmarsi – era il 1512. Pare proprio che il bizzarro soprannome derivi da un intercalare piemontese e lombardo – ricordiamo che la madre del Sodoma era bergamasca – : su, ‘nduma, su andiamo! o sö, endom in bergamasco. La frase, in Lombardia, viene utilizzata sia come esortazione per affrettare il lavoro, che come circonlocuzione per intendere “suvvia”.
Quando qualcuno si lamenta in eccesso o argomenta in modo sbagliato, si usa sö ‘ndom per alleggerire il discorso e invitare l’interlocutore a non prendere le cose troppo sul serio. L’uso è attestato anche in italiano: Su, andiamo, non è una cosa così grave. Un’altra curiosità. Nel caso del Sodoma e di altri soprannomi la lingua italiana prevede che davanti ad essi sia eccezionalmente usato l’articolo ( il Sodoma, il Caravaggio, l’Orbetto) mentre l’articolo è errato davanti ai nomi propri (è sbagliato Il Buonarroti, il Merisi, il Raffaello). E’ invece tollerato quando si intende un libro indicato attraverso l’autore: “Ora prendiamo il Foscolo e iniziamo a leggere”.
E ORA RICORDIAMO, INVECE
PERCHE’ LA CITTA’ DI SODOMA
VENNE DISTRUTTA
La distruzione di Sodoma è narrata nel libro biblico della Genesi. E’ Dio a rivelare ad Abramo la propria decisione di cancellare la città dal mondo e con essa i cittadini perchè “il loro peccato era molto grave”. Abramo chiese a Dio che risparmiasse le persone giuste che abitavano anche Sodoma e il Creatore gli disse avrebbe fatto nulla nel caso in cui, in città, ci fossero almeno dieci persone giuste. Era la violenza che Dio voleva condannare.
A Sodoma abitava anche Lot, il figlio del fratello di Abramo stesso. Due angeli, dopo il colloquio di Dio e Abramo, bussarono alla porta di Lot che li accolse con la dedizione da offrire agli ospiti. Chiese loro di fermarsi la notte. Ma gli abitanti della città, avendoli visti, si assieparono attorno all’abitazione di Lot affinchè il padrone di casa consegnasse loro i due ospiti che avevano suscitato nella folla un violento desiderio erotico. La gente voleva usar loro violenza sessuale.
Lot rifiutò, offrendo al loro posto le sue due figlie vergini pur di non commettere un grave peccato agli occhi di Dio contro la legge dell’ospitalità, ma essi rifiutarono, insistendo nelle loro pretese. Gli abitanti di Sodoma cercarono così di sfondare la porta, ma i due ospiti angelici accecarono gli aggressori e invitarono Lot e la sua famiglia ad abbandonare la città, che sarebbe stata distrutta poco dopo. Nessuno di loro, durante la fuga avrebbe dovuto però voltarsi indietro. Dio mandò una terribile pioggia di fuoco e di zolfo, che iniziò a distruggere Sodoma. La moglie di Lot si voltò e fu trasformata in una statua di sale.