1500 dipinti di “pittori degenerati”, divenuti i maggiori del Novecento, furono recuperati, nel 2011, dalla polizia doganale tedesca in un appartamento della periferia di Monaco di Baviera, dietro scatolette di verdure impilate e cassette di frutta. In quei giorni si stabilì, orientativamente, che le tele di Picasso, Chagalle, Matisse, Emil Nolde, Franz Marc, Otto Dix, Max Beckmann, Paul Klee, Oskar Kokoschka, Ernst Ludwig Kirchner e Max Liebermann avrebbero avuto il valore di oltre un miliardo di euro. L’operazione fu resa nota soltanto due anni dopo, ad indagini concluse. Le opere erano state raccolte, in massima parte, durante il periodo nazista da un collezionista. mercante d’arte e critico che si era avvicinato al mondo hitleriano. Per questo si ritenne che i dipinti fossero legati alla depredazione degli ebrei. Ma la verità non era questa. Gurlitt, il mercante-collezionista, aveva raccolto indipendentemente le opere dell’arte degenerate, in buona parte con criteri di mercato. Criteri di mercato ai tempi di una dittatura. Certo.
Il Museo d’arte di Berna, che ha ereditato l’imponente e controversa collezione di Cornelius Gurlitt nel 2014, ha dichiarato nei giorni scorsi di voler rinunciare a quasi 40 opere forse saccheggiate dai nazisti o la cui origine è considerata sospetta. Il collezionista austro-tedesco Cornelius Gurlitt, il cui padre era un mercante d’arte al servizio del regime hitleriano, è morto nel maggio 2014 designando il museo svizzero come suo unico erede testamentario, decisione che aveva “sorpreso” l’istituzione culturale. Lo stesso Gurlitt – che risultava proprietario acclarato di tutti i dipinti, secondo le indagini condotte dalla Procura tedesca – inserì una clausola testamentaria in base alla quale se qualche opera fosse risultata acquisita in seguito a qualche saccheggio da parte di nazisti essa sarebbe stata destinata alla famiglia alla quale era stata sottratta, nonostante ogni possibile legge di prescrizione.
Nel novembre 2014 il museo aveva deciso di accettare questa eredità, rinunciando al diritto di proprietà su opere d’arte che potessero essere identificate come appartenute a proprietari ebrei depredati dai nazisti, in virtù di un accordo concluso con la Germania. Ha quindi avviato valutazioni approfondite di questi lavori coinvolgendo esperti internazionali indipendenti.
Il caso Gurlitt è molto complesso, anche sotto il profilo etico. Ma particolarmente interessante. Da ciò che risulta, la maggior parte del fondo fu costituito non tanto da razzie, quanto – anche – da acquisti di opere che venivano offerte al mercante da parte di ebrei in fuga. Evidentemente il mercato era crollato, in Germania, attorno a quei dipinti. Pochi sarebbero stati disposti a comprare quelle opere. Gurlitt lo fece certo speculando – sperando cioè che i quadri potessero riacquistare valore, soprattutto se piazzati al di là dei confini tedeschi – ma – raccontarono i suoi familiari – anche per andare incontro alle esigenze di chi fuggiva. Ora dovremmo porci una domanda: quale sarebbe stato il comportamento migliore, sotto il profilo etico, per un mercante? Rifiutare l’acquisto? Comprare tutte le opere possibili e prezzo pieno, quando il mercato era crollato? Questi interrogativi che solleviamo non vogliono sottrarre Gurlitt da alcuna responsabilità storica, ma intendono aprire un caso nelle nostre coscienze. Quale sarebbe stato il comportamento migliore? Il disinteresse? Il no a chi fuggiva? Che avremmo fatto, noi, in quella situazione? Avremmo finto di nulla? Avremmo detto al venditore: non ci interessano, i tuoi quadri?
Facciamo un passo avanti, rispetto ad interrogativi complessi, attorno ai quali ognuno di noi deve lavorare. E procediamo attorno al 2011, anno in cui il figlio di Gurlitt venne fermato con la borsa contenente un notevole cifra in contanti e ai successivi controlli che permisero di trovare un tesoro d’arte accatastato nel suo appartamento.
Gli inquirenti cercarono ricostruire le diverse linee di proprietà originali delle opere, che, in buona parte conducevano, a livello indiziario, a famiglie ebraiche, che erano le principali collezioniste di autori moderni. Le 1500 opere erano state acquisite per pochi soldi o in cambio della salvezza da parte di un gallerista e storico dell’arte, Hildebrand Gurlitt, prima perseguitato dal nazismo perchè aveva una nonna ebrea e per la sua netta propensione nei confronti della proibita arte moderna, poi stretto collaboratore del regime che gli aveva promesso, in cambio del rastrellamento di dipinti dell’arte degenerata e per l’avallo della “vera pittura tedesca”, la direzione del grande museo d’arte germanica. Lo storico-gallerista aveva accumulato migliaia di tele e le aveva conservate. Conclusa la guerra, egli aveva detto agli americani – che lo avevano interrogato- che i quadri erano andati distrutti nel corso del bombardamento di Dresda. Gli americani gli credettero, considerate le sue origini ebraiche e i problemi avuti inizialmente con il regime.
Al caso di Hilebrand Gurlitt è stato dedicato un importante libro- inchiesta, da parte di Catherine Hickley, giornalista, è esperta di opere d’arte razziate dai nazisti. Il libro è intitolato The Munich Art Hoard: Hitler’s Dealer and His Secret Legacy (Il tesoro d’arte di Monaco: il mercante di Hitler e la sua eredità segreta) ed è stato scritto anche in seguito al fatto che il misterioso, sconosciuto figlio del gallerista che mise insieme quel tesoro, dopo essere stato inquisito, ha deciso di lasciare, dopo la sua morte, i quadri che aveva ereditato al museo di Berna.
Facciamo un passo indietro alle cronache del 2013, quando tv e giornali annunciarono il ritrovamento, in un anonimo appartamento di Monaco di Baviera, di quello definito, in iperbole, il “Tesoro di Hitler”
In realtà Gurlitt visse di rendita, vendendo i pezzi minori e mantenendo il grosso della collezione, che avrebbe permesso alla famiglia ricchezza per generazioni. Nel 1956, Hildebrand Gurlitt, il padre, era morto in un incidente stradale e il museo segreto era passato al figlio Cornelius, che l’aveva trasferito in una palazzina anni Sessanta, alla periferia di Monaco. Le tele erano così numerose che erano state accatastate dal pavimento al soffitto, in almeno tre stanze. Il lato evidente era stato poi coperto con cassette di frutta, casse di bottiglie d’acqua e di vino, verdure in scatola, come se l’appartamento fosse una cantina.
La scoperta del tesoro perduto era avvenuta per puro caso, nello sviluppo delle indagini seguite a un controllo della polizia doganale tedesca su un treno che giungeva dalla Svizzera.
Il figlio del critico d’arte Gurlitt, che sedeva in uno scompartimento di quel convoglio, fu notato per segni di evidente imbarazzo e nervosismo. Il controllo da parte della polizia permise di trovare 9mila euro in una delle borse che l’uomo aveva con sé.. Ulteriori accertamenti consentirono alla polizia di stabilire che Cornelius Gurlitt praticamente non esisteva per lo Stato tedesco. Non percepiva una pensione e non era mai stato, per questo motivo, segnalato ai servizi sociali. Peraltro non risultava che avesse lavorato per tutta la vita e non aveva nemmeno l’assicurazione sanitaria. Non fu pertanto difficile immaginare che il viaggio in Svizzera, i 9mila euro e la sua posizione inesistente per fisco e welfare fossero da collegare a risorse nascoste accumulate dal padre ai tempi del Reich. Gli inquirenti rimasero attoniti quando, entrati nell’appartamento di Cornelius e rimosso il ciarpame che fungeva da cortina visiva, trovarono i 1500, preziosissimi dipinti, che sono poi stati lasciati in ereditò al museo di Berna.
Nel suo libro, The Munich Art Hoard: Hitler’s Dealer and His Secret Legacy (Il tesoro d’arte di Monaco: il mercante di Hitler e la sua eredità segreta), la giornalista Catherine Hickley ricostruisce la storia della collezione ed esamina gli aspetti legali ed etici della gestione di opere d’arte razziate. L’autrice ripercorre anche la storia della famiglia, partendo appunto da Cornelius, l’uomo che si era trovato nei guai con la polizia doganale. Cornelius era nato ad Amburgo il 28 dicembre del 1932 da Hildebrand Gurlitt (1895-1956), uno dei quattro mercanti d’arte ufficiali dei nazisti, e Helene Gurlitt, una ballerina. La sorella del padre di Cornelius, Cornelia (1890-1919) era un’artista; il nonno, del quale portava il nome, era un architetto e storico dell’arte. Il bisnonno, Louis Gurlitt (1812-1897), era un pittore di paesaggi danese-tedesco. E il fratello del pittore, Cornelius (1820-1901), era un compositore.
Ho posto particolare attenzione alla figura di Hildebrand Gurlitt – dice la studiosa Catherine Hickley – Per me è stato subito chiaro che era lui la figura più interessante di tutta questa vicenda. Quella del figlio Cornelius era la figura più tragica. Visse in modo estremamente solitario, sempre chiuso in casa ed ereditò dal padre un’enorme responsabilità, a cui non seppe far fronte, soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Hildebrand, il padre, era molto contradditorio: era contrario al nazismo, forse aveva idee comuniste, per un quarto era ebreo e amava l’arte odiata dai nazisti. Nonostante questo riuscì a a lavorare per Hitler e acquistare opere d’arte per il museo del Führer a Linz”.
L’autrice mette in luce l’ambizione sfrenata del critico; il suo desiderio di accumulo e la volontà di non essere travolto dagli eventi, ma di mantenere la propria linea di galleggiamento. Acquistò quadri dagli ebrei; comprò anche opere che erano state oggetto di sequestro.Si mantenne probabilmente a un livello non di abiezione, ma approfittò del momento politico, culturale, sociale come un uomo d’affari al quale interessava fare commercio. I prezzi dei “degenerati” in Germania erano crollati e lui comprava i dipinti dagli ebrei che, in buona parte, li collezionavano. Ebrei costretti a vendere per fuggire. Ora anche la valutazione del comportamento morale del critico d’arte risulta estremamente complessa. E ci interroga.. Cavalcò semplicemente le condizioni di mercato – pur con cinismo – acquistando peraltro regolarmente i dipinti? Non ebbe una ribellione morale? Fu schiacciato dal clima di una dittatura perversa. Certo non è facile giudicare totalmente l’uomo.
A giudizio dell’autrice del libro, Hildebrand Gurlitt è uno dei tanti tedeschi che fecero compromessi piuttosto che assumere il rischio di opporsi pubblicamente al regime.” Ma non credo fosse uno dei più malvagi – dice la studiosa – Rinunciò, semplicemente, alla sua bussola morale perché voleva far carriera in un regime malvagio”. Lui i quadri li aveva comprati. Per poco, ma li aveva comprati. Così quando, finita la guerra, alcuni ebrei tornarono trovarlo per sapere dove fossero finite le opere, lui si rifiutò di fornire loro informazioni. Solo due quadri della collezione Gurlitt sono stati restituiti ai primi proprietari. Un anno fa il Museo d’arte di Berna ha deciso di accettare la collezione Gurlitt assegnatagli dal testamento di Cornelius. Attualmente l’istituto è coinvolto in molte questioni legali – alcuni parenti dicono che Cornelius non era sano di mente quando ha redatto il testamento – e neppure un dipinto è stato finora esibito.
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