di Roberto Manescalchi
“La sua (quella della Gioconda, fot.1) è la testa sulla quale confluiscono tutte le fini del mondo e le sue palpebre sono un po’ stanche. […] Tutti i pensieri e le esperienze del mondo sono state concepite e nutrite lì, in quanto hanno avuto il potere di raffinare e di rendere espressiva la forma esteriore, l’animalità della Grecia, la sensualità di Roma, il misticismo del Medioevo con le ambizioni spirituali e gli amori dell’immaginazione, il ritorno al mondo pagano, i peccati dei Borgia. Essa è più antica delle rocce tra le quali siede; come il vampiro è morta molte volte e ha appreso i segreti della tomba; e si è tuffata in mari profondi”.
Così l’esteta, decadente e preraffaellita Walter Pater dona alla Gioconda di Leonardo il sembiante di “femme fatale”. Fu dipinta da Leonardo nel 1501 all’Annunziata in prossimità del ‘Chiostro dei Morti’ con sullo sfondo la necropoli di Arezzo (“è morta mille volte e ha appreso i segreti della tomba”). Dopo l’epistolario Ciceroniano postillato da Agostino Vespucci (gli studiosi di Leonardo sanno di cosa parlo. Qui è troppo lungo da raccontare), dopo gli studi puntuali di Carlo Starnazzi sul ponte a Buriano e le balze del Valdarno che a Lisa fanno da sfondo… dopo, dopo mi occorreva la scoperta precisa e puntuale della necropoli di Arezzo di Giovanni Nocentini per comprendere appieno il capolavoro assoluto della donna più bella del mondo. Colei che viene e va dalla via Lattea ad ogni apertura delle sacre porte… l’etrusca per antonomasia!
Leggo poi (24-2-2022) un titolo sul Corriere di Arezzo: “La Soprintendenza frena sulla necropoli”. Allora, stante che il freno pare sia tirato ci corre l’obbligo di una qualche aggiunta al nostro precedente articolo qui su questo giornale teso principalmente alla notizia:
https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/arezzo-individuata-la-citta-etrusca-dei-morti-centinaia-di-tombe-da-scavare-potrebbe-rivelarsi-la-scoperta-del-secolo/
Giovanni Nocentini rileva nel suo libro (fot.2) almeno 5/6 tombe (non fatemele contare – in fot. 3 due portali di ingresso-) e le documenta -in fot 4 – l’iscrizione presente all’interno di una di esse-; gli allineamenti astronomici della necropoli; la via di andata e di ritorno dalla città dei vivi (Arezzo) con numerosi riscontri toponomastici come vedremo in dettaglio; un sito con numerosi tumuli da scavare (fot. 5), almeno un pinnacolo di segnalazione e riferimento visivo (fot.6) ecc. ecc. e a me pare proprio che abbia tolto ogni dubbio comunque.
Un veloce ripasso e scopro – scopro è un eufemismo – anche Quarata… Uno dei nuclei medioevali più importanti nel comune di Arezzo e il suo castello (fot.7). Carlo Starnazzi (non fatemi cercare il suo “Dalle Chiane alla Loira” e o “Leonardo e la terra di Arezzo” che scrivo da letto e figuratevi se ho voglia di alzarmi per un soprintendente che non conosco. Ormai dovreste sapere che sono insofferente cronico a qualsivoglia ingessatura burocratica e o verità precostituita) ci dice che da li (Quarata) il genio assoluto ha osservato il paesaggio raffigurato dietro al dipinto e l’ipotesi ha trovato supporto e conferma di altri studiosi.
Sappiamo, ovviamente – Giovanni Nocentini puntuale e rigoroso ci spiega – del perché da Quarata passava il percorso per la città etrusca dei morti. Troppo lontana da Arezzo la necropoli? Neanche per idea! Non c’era Facebook l’americanata che reputo, personalissimo pensiero, altamente incivile di Mark Zuchemberg che oggi nel migliore dei casi e ai colti permette di cavarsela con un: ‘che la terra ti sia lieve’ digitato in una frazione di secondo. Già solo pochi anni fa toccava infatti uscire di casa, andare in posta, dettare come minimo un telegramma di condoglianze e perdere almeno un quarto d’ora (le poste funzionavano e non c’erano code). Ci fu un tempo ancor prima, ma di poco e che ben ricordo che dietro ad un carro funebre era buona educazione accompagnare a passo d’uomo il caro estinto e dedicargli poco poco circa un paio d’ore tra funzione religiosa e trasporto.
Gli etruschi, più civili, dedicavano alle onoranze del defunto come minimo nove giorni e avevano anche loro il carro funebre (fot.8) non era a motore ed i buoi erano più rispettosi e “green”. Giovanni Nocentini puntuale ha trovato riscontro nella toponomastica: Fonte del carro (ad esempio) e li il carro veniva lavato e purificato e anche i congiunti lo facevano al ritorno dal corteo funebre e poi ancora: ‘Buon riposo’ il punto in cui per l’ultima volta i parenti, ormai in vista della città dei vivi nel percorso di ritorno, sempre ben identificato, si volgevano verso la necropoli per l’ultimo saluto. Dalla città dei vivi si doveva sempre vedere la città dei morti e viceversa e questo certamente avviene nel caso in esame. Ancora…: Caronte e li da tempo immemore c’era un traghetto e il traghettatore che periodicamente per questioni anagrafiche e per causa della umana condizione di mortale era soggetto a doversi dare il cambio, pur tuttavia si continuava a chiamare Caronte (il traghettatore perdeva infatti il suo nome e cognome per essere identificato con il Dio e la sua funzione).
Nella mitologia etrusca, Charun (o Charu) era uno psicopompo o necropompo del mondo sotterraneo chiamato Ade. L’assonanza identitaria del Charun etrusco con il Caronte di Dante ci parrebbe dover essere comprensibile anche per il/la soprintendente che certamente non ignorano le principali divinità etrusche. Per l’importanza della toponomastica in un certo tipo di studi invece consigliamo la lettura di quel mostro sacro di Giulio Schmiedt, vari contributi di studio e del suo monumentale “ Atlante delle sedi umane in Italia” (certo bisogna alzare il culo e andare in Nazionale che è purtroppo ormai introvabile… altamente consigliabile!). Che per andare alla città dei morti gli etruschi dovessero scendere lungo un fiume e o attraversarlo e che il fiume fungesse da ‘soglia’ simbolica tra le due città lo sanno ormai tutti. Gioconda con sullo sfondo la necropoli?
Suggestivo certamente il pezzo di Pater… suggestiva la coincidenza? Direi proprio di no! Ci sarebbe infatti anche da leggere Demetrio Mareshkosky e il suo celeberrimo “La Resurrezione degli Dei“ che tratta della vita romanzata di Leonardo. Non vi incomodate che questa volta la citazione l’ho a portata di mano che il libro l’ho riguardato ieri ed è ancora sul mio comodino: “La sera stessa egli (Leonardo) apprese il triste vero (la notizia): di ritorno dalla Calabria, dove Messer Francesco aveva concluso ottimi affari, e fra gli altri l’acquisto d’una grossa partita di pelli di montone da smerciarsi a Firenze, la povera Lisa era morta nella piccola ed oscura città di Lagonegro*, vittima chi diceva d’una febbre infettiva toccata nell’attraversare la campagna romana, chi d’un dolorosissimo morbo alla gola“. Che Lisa non mori durante il viaggio lo ha recentemente scoperto per noi Giovanni Pallanti che a Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo, ha dedicato anni di studio e per lei si è trasformato in prezioso ‘topo di archivio’. A me tuttavia piace più la suggestione del romanziere russo che non la storia, sicuramente reale, certificata dai documenti, dello studioso fiorentino, ma io sono un inguaribile romantico.
Comunque credo seriamente che in Firenze la notizia della morte di Lisa sia effettivamente circolata. Magari il Giocondo – di nome e di fatto – per sottrarre la moglie alle voglie del più affascinante Leonardo di cui si narra la grande bellezza, segregò la donna e nell’immaginario collettivo dei fiorentini del tempo la sua morte si sostanziò? Di sicuro Leonardo non la rivide, il ritratto non fu mai consegnato e l’idea che la potesse aver idealizzata sullo sfondo della necropoli credendola morta è affascinante. Voi pensate certamente che io sia facile preda di suggestioni e confonda storia e fantasia e potrebbe anche essere che di certo quest’ultima non mi difetta. Sicuro è che nel 2004 ho diretto un gruppo di lavoro che ha scoperto le celebri e fino ad allora sconosciute grottesche (fot. 9/10) di Morto da Feltre ** che fu allievo di Leonardo e di cui ci racconta Giorgio Vasari. Nelle due grottesche affrescate in un muro del convento della Santissima Annunziata Lisa è ritratta due volte in entrambi i casi al centro di apparati funerari.
Anche per Morto da Feltre (uno degli allievi più significativi di Leonardo) Lisa era deceduta quindi proprio nei primissimi anni del Cinquecento e non molto più tardi come risulta invece dai documenti di Pallanti. Sembrerebbe proprio che il credo comune, fosse quello e che possa aver cozzato con la realtà dei fatti. Certamente Leonardo conosceva bene il territorio della necropoli appena scoperta per averlo ben rappresentato in margine alla sua carta della Val di Chiana (fot.11 -particolare-).
Le sue famose cartografie a “volo d’uccello” necessitavano che egli salisse sulle alture, percorresse vie di crinale e usasse torri di avvistamento come punti di osservazione che i droni (anche se Leonardo di alianti in quel periodo si occupava) ancora non c’erano. Ora sono perfettamente in grado di poter affermare che in aggiunta al castello di Quarata usò certamente la torre di Pieve San Giovanni per la sua realizzazione cartografica appena citata (in fot.12) la vista come si doveva presentare al tempo di Lonardo dalla torre di Pieve San Giovanni -la torre non c’è più- ma oggi per noi si è alzato in volo il drone di Fabrizio Volpi che ha anche cerchiato in giallo la posizione del ponte a Buriano.
Realizzazione cartografica non così ricca di particolari da poter evidenziare le tombe della necropoli (la riteniamo, infatti, eseguita a beneficio del Duca Valentino ed in funzione dei presunti o reali spostamenti dell’esercito pontificio il periodo di realizzazione e gli anni in cui Leonardo fu ingegnere militare del Borgia coincidono ), ma cartografia certamente preziosa. Di questo parlerò la prossima volta. Lo scopo è quello di tener vivo un po’ più a lungo l’interesse sulla scoperta del secolo che tale considero la scoperta della necropoli di Nocentini.
A me, per ora non resta che testimoniare in modo ulteriore l’interesse di Leonardo verso il mondo degli etruschi. Ho una qualche approssimata conoscenza dei suoi disegni e mi pare proprio che la planimetria del mausoleo ideato da Leonardo nel suo disegno al Louvre invent. 20386 (fot. 13) ripeta e riprenda la pianta dell’ipogeo etrusco della tomba di Montecalvario di Castellina in Chianti (fot. 14) cosa per altro già rilevata da Starnazzi in uno dei suoi libri sopra citati. Ci pare di ricordare che la scoperta dell’importante architettura funeraria di Castellina sia del 1507 tempi compatibili con il completamento del paesaggio sfondo della Gioconda e del rinnovato interesse archeologico che certamente il Vinci nutrì.
Nella collezione reale di Windsor Castle inventario (RL 12278) a margine della carta della Val di Chiana già citata (fot. 15) sono rappresentate anche le colline del Chianti tra Arbia, Pesa e Staggia… la terra etrusca sede della scoperta di Montecalvario.
Perché se provocati (tali ci sentiamo) siamo di natura irriverente e dispettosa, supponenti e spocchiosi chiosiamo giocando al gatto con il topo in modo ermetico. Citiamo un passo di Claude Roy, ma non il titolo del suo saggio: “… nella ricerca di uno stile (lui e il nome non lo cito) non si riferisce né all’arcaismo greco, né all’Africa, né all’Oriente, né al Medioevo, ma a quel sesto continente della geografia dell’arte che è l’Arcadia. L’arcadia è quell’Età dell’Oro quel passato ideale nel quale la nostra sensibilità confonde, con una cecità volontaria e feconda, tentativi e felici soluzioni di cui tuttavia lo specialista sa che non è possibile assimilarli senza abuso, né confrontarli senza pericolo.
L’Arcadia è senza dubbio solo un illusione ottica. Ma abbiamo imparato che non esistono illusioni dell’occhio che non si fondino su un esigenza dello spirito, e che prima di vedere ciò che è, vediamo ciò che abbiamo bisogno di vedere. I progressi nell’esplorazione del pianeta, le scoperte archeologiche che si sono susseguite, il rinvenimento di oggetti scomparsi da secoli nelle viscere della terra possono spiegare che un certo numero di opere o di scuole del passato riaffiorino all’improvviso e che l’interesse degli amatori converga immediatamente verso di esse. È evidente che quando gli esploratori e i conquistatori ci riportano dalle terre incognite le spoglie delle civiltà che ignoriamo totalmente, queste “rinascite” non hanno nulla di soggettivo. Resta tuttavia il fatto che il bagaglio delle tradizioni non ci si presenta mai come un unicum perfettamente equilibrato, che lo sguardo possa abbracciare con serena oggettività. Le opere del passato talora son già sotto i nostri occhi, e il nostro spirito ancora se ne disinteressa. Le si guardano senza vedere, ci si rifiuta addirittura di vederle”. Questione di sensibilità e Giovanni Nocentini nel corso di decenni di studi ne ha acquisita da vendere… a presto e con ulteriori carte alla mano!
* Lagonegro sembra significante per una sepoltura e la peste ad esempio è nota anche con l’epiteto di morte nera (dal latino mors nigra). Credo che lo stesso colore possa essere attribuito a qualsivoglia morte e non a caso il nero è simbolo di lutto. Certo il romanziere russo non avrebbe mai scritto Lagoazzurro se anche uno ve ne fosse stato in prossimità dell’ipotetico luogo di decesso di Lisa, ma non è questo il punto. Il punto è che nel luogo rappresentato da Leonardo e che fa da cornice a Lisa c’è anche una collina denominata Croce Nera e mi pare che il toponimo sia significante come e quanto quelli già citati. In ultimo rammentiamo Venere altro toponimo e l’unico rilevato negli appunti per la realizzazione della sua carta (fot.16 particolare dell’area su cui insiste la necropoli) dallo scolopio Giovanni Inghirami. Certo e non casuale è che la chiesa ha sempre occultato e o messo il sigillo su preesistenze pagane. Inghirami ha tollerato la sola memoria di un tempio etrusco dedicato all’amore e comunque, anche alla luce delle novità recenti, residuo plausibile di paganesimo antecedente e pregnante… il tempio di Venere. Io un occhiata alle carte di suo fratello Francesco (archelogo insigne che di sicuro si è occupato del territorio aretino e parente di archeologi per parte di madre -tre se non erro tra i fondatori dell’Accademia Etrusca di Cortona e più precisamente Ridolfino, Marcello e Filippo Venuti-) la darei, sai mal possa aver accompagnato il fratello geografo? Di sicuro se la carta della Toscana avesse avuto come realizzatore Giovanni Antonio Bartolomeo Rizzi Zannoni (nello stesso tempo artefice della cartografia del regno delle due Sicilia) la necropoli di Arezzo sarebbe stata correttamente segnata fin dalla fine del Settecento.
** si chiamava Morto da Feltre a detta di Vasari perché passava molto del suo tempo nei cunicoli della Domus Aurea appena scoperta. Sappiamo che fu a Tivoli e studiò per conto del Borgia le rovine della villa Adrianea visitò gli allora recentissimi scavi. Fu con Leonardo agli inizi del cinquecento e probabilmente anche collaboratore allievo (stava con lui) durante le operazioni per la realizzazione della carta della Val di Chiana, ma vi dovete fidare che la descrizione del perché è troppo lunga. Certissimi sono il suo interesse per la Morte (testimoniato anche dal nome) e la rappresentazione in almeno un paio dei suoi dipinti del Sacro monte della Verna che non è troppo lontano da Arezzo. Insomma stava con Leonardo da queste parti intanto che lui cartografava il territorio e ha dipinto la Gioconda in due monocromi affrescati intanto che, nello stesso luogo, la continuava a ritoccare anche Leonardo. Leonardo l’ha posta sullo sfondo della Necropoli e lui al centro di due apparati funebri. C’entra poco, ma infine proprio perché richiesti e sollecitati da più parti: sotto a sx Lisa del Giocondo e a dx Lisa dei giocondi recentemente restaurata e di cui tanto si parla in ambienti romani. Mi pare di aver ben esplicitato il mio pensiero.