di Maurizio Bernardelli Curuz
Direttore di Stile arte, storico e critico d’arte, è autore di un cospicuo numero di studi e di pubblicazioni. E’ stato direttore di Brescia Musei, tra i 2009 e il 2014. E’ stato curatore nell’ambito delle grandi mostre. E’ iscritto all’Ordine dei giornalisti, elenco professionisti.
Claude Monet (1840-1926) dipinse circa 140 paesaggi innevati, ma il più noto ed amato – che presenta pure le dimensioni maggiori – è La gazza realizzato agli inizi della sua carriera (1868-1869), cioè circa sei anni prima della mostra del gruppo da Nadar, con una tecnica non ancora apertamente impressionista.L’opera, infatti, si presenta ancora piuttosto analitica; le pennellate sono contenute e diffuse. L’effetto globale è quello di un’atmosfera ovattata – che introduce lo spettatore in una dimensione di assoluto silenzio – perlacea, luminosa, ma non segmentata dalla luce, o da rapidi colpi di colore, come avverrà nella pittura successiva. Ciò che prelude all’impressionismo è l’uso di ombre colorate, contro la tradizione accademica che tendeva, pur in un certo tonalismo, a realizzarle in grigio lievemente permeato da altri colori. L’opera è stata realizzata en plein air ma non in una sola seduta, come vedremo nell’analisi ravvicinata della tela. Del resto non sono numerosissimi, nonostante si ritenga il contrario, i dipinti impressionisti realizzati “alla prima”, di getto, in una sola seduta.
Le opere venivano impostate, lasciate parzialmente asciugare, dotate di una seconda o terza stesura e, infine, generalmente rifinite in studio per adattare la pittura ad un ambiente chiuso, in cui il quadro sarebbe stato fruito. La finitura in studio è sempre indispensabile perchè, in alcuni casi, è necessario alzare lievemente la luminossità del dipinto, poichè esso è destinato a restare in ambienti chiusi.
La tela che stiamo esaminando presenta, in particolare, tutte le accortezze e le procedure tecniche di finitura che non troveremo così perfettamente definite nei dipinti precedenti e in quelli successsivi. Non siamo cioè di fronte a un effet (simile a un rapido bozzetto), ma a un’opera curata, che rappresenta un momento di profonda meditazione, in Monet, tra effetto-impressione e quadro finito, tra le vibrazioni del momentaneo e dell’istante e le sensazioni più stabili e luministicamente compensate di una pittura più vicina a quella della tradizione.
La Gazza (francese: La Pie) è stata dipinta nel circondario del Comune di Étretat, in Normandia, quando Monet aveva 28 anni.. Louis Joachim Gaudibert, amico e protettore di Monet, aveva aiutato il pittore a sistemare una casa che avrebbe accolto l’artista stesso,la compagna, Camille Doncieux, e il loro figlio appena nato, permettendo a Claude di dipingere in un relativo benessere, circondato dalla sua famiglia.
Tra il 1867 e il 1893, Monet, Alfred Sisley e Camille Pissarro avrebbero dipinto centinaia di paesaggi che illustrano l’effetto naturale della neve (effet de neige). Simili dipinti invernali sono stati realizzati, ma con minor interesse e in un numero di tele più limitato, da Pierre-Auguste Renoir, Gustave Caillebotte, e Paul Gauguin.
Il primo paesaggio innevato di Monet, del quale si abbia notizia, rappresenta un carro sulla strada di Honfleur (qui sotto), e fu realizzato nel 1865 o 1867.
L’ANALISI TECNICA DELL’OPERA “LA GAZZA” DI CLAUDE MONET
Particolare 1: il cielo, alla nostra sinistra, nel dipinto. La tela, prima d’essere dipinta, è stata preparata dal pittore con una stesura di colore in una gamma cromatica compresa tra la terra di Siena schiarita e il rosa, con un effetto simile a quello di una sabbia lievemente rosata. E’ molto probabile che la colorazione della preparazione di base, che traspare sulla destra, qi sopra, conferendo una particolare luminosità al cielo, non sia stata data in modo uniforme su tutto il primo livello del dipinto, ma che essa sia più chiara nella parte del cielo e che viri verso un melange di terra e vinaccia nella parte di terra. Un effetto cromatico, quello a livello della terra, vicino al colore di una macchia di vino su una tovaglia beige. Questa preparazione, molto liquida perchè diluita in essenza di trementina o acquaragia, asciuga in qualche ora.
Dopo aver steso la preparazione, Monet ha atteso che asciugasse, prima di recarsi all’esterno per dipingere. Dalla craquelure che vediamo in alto, alla nostra destra, possiamo capire che l’artista sovrappose al color sabbia rosata del fondale uno strato finissimo di grigio azzurro, tirato con un pennello ampio. Quindi dipinse, mescolando marron, grigio e azzurro, i rami degli alberi. In un passaggio successivo pose gli strati di neve. Poi lasciò che il quadro asciugasse e sfocò con un passaggio di pennello largo in grigio-azzurro, per ottenere l’effetto della prospettiva aerea.
Particolare 2: isoliamo visivamente le ombre. Esse sono colorate. Alla nostra destra esse sono formate da grigio – bianco più una punta di nero -, blu, con minimo apporto di rosso. Alla nostra sinistra, l’ombra più chiara presenta una percentuale leggermente maggiore di azzurro e una diminuzione del nero nella composizione del grigio.
Da notare è il montante, alla nostra sinistra, del cancelletto che presenta al centro il color sabbia della stesura primaria del fondo. Osserviamo attentamente la neve illuminata, tra i gradini del cancello. Per la massima luminosità, il pittore inserisce un bianco con un minimo apporto di arancione, che contrasta con l’azzurro perlaceo delle ombre causate dalla compressione del calpestio.
Particolare 3: il muro della casa mostra il color sabbia rosata e vinaccia della preparazione basica del dipinto. Tutti gli altri colori sono stati stesi in sovrapposizione. Da evidenziare, alla nostra sinistra, le pennellate discontinue che definiscono, con il bianco, i rami più sottili. La discontinuità del tratto rivela che questi particolari sono stati aggiunti quando la tela era già asciutta in tutti gli strati sottostanti. Quest’effetto di segmentazione si verifica quando un colore poco diluito viene tirato su uno strato asciutto di colore sottostante.
Particolare 4: il legname è stato dipinto con colori bruni sulla preparazione sabbia-rosa-vinaccia. Il pittore ha poi tirato il grigio azzurro della neve, offrendo un effetto di nuovo impasto, parzialmente coprente. Rispetto ad altri dipinti della maturità, il pennello evita ogni stenografia, per procedere in stesure a impasto o parzialmente tese e lisce. Gli effetti luministici sono contenuti in un numero limitato di chiazze di luce di forma tondeggiate o rettangolare.
Particolare 5: nei punti di massima luninosità la neve, come dimostra Monet, è composta da numerosi colori: i tre primari (rosso, giallo, blu) che si moltiplicano, mescolandosi tra loro e unendosi al bianco. Il pittore segna punte e linee colorate sulla preparazione di base, che poi lascia asciugare. Procede quindi tirando una mano rapida e leggera di bianco-azzurro traslucido. E’ in questo punto, caratterizzato dalla massima intensità della luce, che iniziamo ad osservare la vibrazione fremente, qui lievemente sotto pelle, dell’impressionismo più aperto.
L’opera, per quanto sia stata realizzata in più fasi, dimostra l’osservazione diretta degli effetti naturali della luce. Alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento, il paesaggista francese Eugène Boudin (1824-1898) introdusse Monet alla tecnica della arte en plein air. La pittura dal vero era stata facilitata dall’invenzione dei tubetti in metallo che contenevano i colori (1841) e della commercializzazione del cavalletto portatile. Boudin e Monet avevano trascorso l’estate del 1858 dipingendo insieme, sur le motiv, cioè con il soggetto, in questi casi naturale, di fronte. “Se sono diventato un pittore”, avrebbe detto Monet, lo devo a Boudin.” Anche nell’ambito dei paesaggi di neve, Monet non si sottraeva dal confronto diretto con la realtà. Un giornalista scrisse: “Lo abbiamo visto solo una volta. Era inverno, nel corso di diversi giorni di neve, quando le comunicazioni erano praticamente a un punto morto. Il freddo era tale da spezzare le pietre. Abbiamo notato un piede, poi un cavalletto, poi un uomo, avvolto in tre giri di stoffa, le mani nei guanti, la faccia metà congelata. Era M. Monet, che stava studiando un effetto neve”.
Ora osserviamo nuovamente La gazza, comparando l’opera con il dipinto sottostante, realizzato da Monet nel 1875, un decennio dopo. Ecco, chiara, la sintesi e il percorso compiuto dall’artista in quel periodo, in direzione di un’impressione più rapida e stenografica della rappresentazione della realtà.