Continuano il restauro e lo studio del busto di epoca romana acquisito dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia nel dicembre del 2021. Posizionato su un piedistallo, progettato e realizzato per assicurarne la stabilità, permetterne la lavorazione e garantirne l’esposizione, il busto è stato oggetto di una prima fase di analisi per documentarne lo stato di conservazione e analizzarne la tecnica esecutiva.
Inoltre, i risultati di successive indagini permetteranno di ottenere informazioni sulla provenienza geografica del marmo e la natura chimica della patina e delle macchie di colore rosso presenti in vari punti. Francesco Lia e Anna Arcudi i restauratori della Soprintendenza, coordinati dal funzionario archeologo Andrea Gennaro, hanno effettuato saggi di pulitura per testare i corretti materiali e metodi per la rimozione di tutte le sostanze di deposito. “Ciò che colpisce è la profonda discrasia che c’è nello stato di conservazione dei due lati del busto. – dicono gli studiosi della Soprintendenza ABAP per la città di Reggio Calabria – Infatti, se parte del viso è coperta da uno spesso strato di sporco di colore nero e numerosi fenomeni di degrado contraddistinguono soprattutto le parti intorno al seno, la capigliatura posteriore, ad eccezione di una piccola abrasione, risulta pressoché intatta e perfettamente conservata. È possibile desumere che tale caratteristica sia dovuta al posizionamento del manufatto all’interno di uno spazio espositivo interno o esterno che ne ha provocato il degrado evidenziato quasi esclusivamente su uno dei due lati”.
“Da un punto di vista storico-artistico, l’opera, intagliata su un unico blocco di marmo, è confrontabile con i ritratti del secondo tipo di Crispina (180-187 ca. d.C.) per la peculiare acconciatura “a calotta” portata dalla moglie dell’imperatore Commodo, con la folta chioma spartita al centro della fronte, le ciocche ondulate pettinate all’indietro e il voluminoso chignon sulla nuca. – proseguono gli studiosi della Soprintendenza – Il busto, probabilmente in origine una statua, colpisce per l’intensità dello sguardo, determinato dalla posizione a tre quarti del volto e dalla grandezza e profondità delle pupille, un tratto tipico dell’età tardo-antoniniana. Assai interessante risulta l’identificazione della donna raffigurata, oggetto di damnatio memoriae. La riproposizione di capigliature chiaramente collegate a donne della famiglia imperiale non implica automaticamente l’identificazione della figura ritratta con una di esse. Le rappresentanti femminili della casa imperiale, in maniera non troppo dissimile dalle moderne influencer, veicolavano attraverso la loro immagine e in particolare con le pettinature di moda non soltanto virtù tipicamente romane ma anche il gusto personale, l’eleganza nonché il rango sociale e la ricchezza”.
“Rispetto ai tipi ufficiali, le acconciature delle donne private mostrano naturalmente una volontà di imitazione delle donne al potere a cui si possono aggiungere poi personali variazioni sul tema. La scelta dell’acconciatura in ambito privato denota, quindi, la volontà di adesione ai modelli ufficiali soprattutto da parte delle donne appartenenti agli strati sociali più elevati. In questo caso inoltre le fattezze fisiognomiche (zigomi molto alti e ovale del viso allungato) non corrispondono ai tratti noti dai ritratti ufficiali di Crispina e quindi è da escludere che la donna raffigurata sia la moglie di Commodo. Il prossimo obiettivo degli archeologi della Soprintendenza sarà proprio cercare di fare luce sulla misteriosa e sfuggente figura femminile, probabilmente cercandone l’identità tra le dame vissute tra Commodo e la prima età severiana”.
Durante la presentazione del busto, che avverrà nei prossimi mesi , saranno comunicati i risultati dell’intervento di restauro ed esposti i piani futuri legati alla sua esposizione.