Ritratto di un uomo africano è un dipinto del pittore rinascimentale olandese Jan Mostaert, realizzato tra il 1525 e il 1530. E’ considerato il primo ritratto di un uomo di colore nella pittura occidentale. Pure se le opinioni divergono – qualche studioso ritiene che sia una trasposizione della figura del moro San Maurizio – non può sfuggire una vibrazione contemporanea, un’attenzione al dettaglio reale che consente di riportare il modello alla ritrattistica. Secondo alcuni, l’uomo Cristoforo il Moro, stalliere di Filippo il Bello, poi guardia del corpo di Carlo V, divenuto, di fatto, un importante dignitario.
STILETTATE
di Tonino Zana
In mezzo al mercato di una cittadina radente il mare, un povero disgraziato di colore chiede l’acquisto di una cianfrusaglia e in seconda buttata una piccola elemosina per sostentare la famiglia con due figli. E’ un uomo buono, dicono tutti, dimostra 20 anni di più, ha un peso e un passo lento di stanchezza e di malattia. Ne ha girati mille di mercati, in Italia da tanto tempo, uno di noi, come noi, metti nel dopoguerra. Fatto sta che un’anziana si lascia andare a una lamentazione e gli punta il bastone. E fino a qui, sapete, in tempi di disagio e date le età anziane, tutto passi.
Arriva il trentenne del di più e della finzione, adesso metto io le cose a posto: lo picchia a sangue, gli sale sul ventre, lo uccide. Gli ruba il telefono e si allontana. Il corpo del povero amico nero rimane lì fino alle 20 di sera, coperto da uno di quei materiali riflettenti alla luce del mare.
Veramente non troviamo la mediazione tra il rispetto assoluto della vita e l’assurdità di una marea di immigrati il cui numero e spesso la qualità delle biografie sono insopportabili? E’ così difficile fermare i flussi eccessivi – lo ha dichiarato Draghi ai colleghi europei – e a fermare la mano ignorante e violenta di un biscaro, anche lui venuto da lontano alla città del mare? Possiamo amare quel signore ucciso e disprezzare la politica dell’immigrazione, senza senso nella misura in cui si deve tenerne conto e non oltre?
Ora piangiamo quel povero nero e dedichiamoci la canzone e la preghiera di Fausto Leali, “…Non sono che un povero negro, ma nel Signore io credo…”. Amen.