di Tonino Zana
Secondo me, il Professore-Ministro, siederà alla tavola del Signore, invisibile fisicamente e visibile ai visionari, in quel dipinto del Romanino su un altare del Duomo di Montichiari – in provincia di Brescia – il suo Duomo dalla nascita, a cento metri dalla sua villa appartata nel cuore del paese, eppure discosta.
In questo Duomo di Montichiari, sabato 8 luglio, alle 18,30, a 20 anni esatti dalla sua morte, l’Abate Cesare Cancarini celebrerà la Messa in ricordo di una straordinaria personalità del mondo culturale, civile e politico, una fisionomia pulita, profetica, con un progetto di vita sparso in Europa, da Montichiari a Roma a Bruxelles, con una missione in Africa, da Montichiari a Roma, in Guinea, in Somalia, in Biafra, in Nigeria, ovunque il canto dei disperati si elevasse fino alla captazione della sua anima, da Montichiari a Roma, in quella piscina della Canottieri Aniene in cui si rinfrescava per rimettersi in forma a sera e festeggiare la laurea della nipote. Se ne andò lì, a 84 anni e mezzo, 20 anni fa, poche ore prima che l’Abate ci possa dire a braccia larghe, “Il Signore sia con Voi”.
I figli Enrico e Maria Teresa in prima fila, dietro gli amici e noi che gli fummo immeritatamente amici dopo averlo tormentato all’interno di una grande Dc convinti che lui fosse troppo moderato. E invece, in quella ottima misura di sé, lui fu più rivoluzionario, cristianamente rivoluzionario di noi, maldestri e generosamente ignoranti giovani di un Sessantotto di cui eravamo parte generazionale e non conoscevamo niente, come chi sta controvento e pensa che ci sia, subito di là, l’approdo della pace.
Mario Pedini era nato a Montichiari nel 1918 e nella seconda guerra mondiale, dentro e fuori, si era conquistato due lauree, una in Lettere e Filosofia e l’altra in Giurisprudenza, per passione, per dovere, per coprire due strade anziché una in tempi in cui la barca dell’Italia era in mezzo al mare e non sapeva bene dove puntare le vele per cui due rotte erano meglio di una.
Prese subito sotto braccio, nella sua tesi di laurea, Erasmo da Rotterdam, padre dell’umanesimo nordico e lo affidò agli approfondimenti di un cattolicesimo montiniano e degasperiano, alle non sempre morbide critiche di una cultura laica e laicista da cui si era circondati.
Mario Pedini fu presto parlamentare e a Roma fu meglio avvistato che non a Brescia e nel Bresciano per via di un provincialismo rovesciato per cui è difficile ammettere una genialità sulla porta di casa. A Roma, Mario Pedini fu subito “annusato” da Aldo Moro con il quale lavorò 8 anni e pianse, compostamente, il suo assassinio da parte delle Brigate Rosse, il partico comunista combattente, proprio dai banchi del ministero in cui il magnifico tessitore democristiano l’aveva voluto, su quella impossibile cattedra di ministro della Pubblica Istruzione; una cattedra così ostruita dagli assalti senza senso di una corporazione sindacale e di un’ideologia comunista prima e subito dopo fascista, implacabilmente prive di una natura culturale dei diritti e dei doveri.
Il prof. Mario Pedini, appena prima, aveva coltivato un’esperienza applaudita da Ministro della Ricerca Scientifica e dell’Università, proponendo riforme che poi furono comodamente portate in porto da chi sbrodolava, con molto sussiego, accenti grassi e toscani.
E ci voleva proprio un presidente della repubblica laico, un tale Azeglio Ciampi a ricordarsi, nei primi anni duemila che c’era una medaglia d’oro al valore civile, lì, nell’anima di tante coscienza smorte, la quale reclamava di uscire dall’astuccio per mettersi al posto sicuro, nel cuore proprio delle mani bresciane e padane del ministro Mario Pedini. Il presidente Ciampi consegnava al già ministro Pedini, settembre 2004, questa medaglia d’oro per via del suo coraggio e della sua lungimiranza nel partecipare personalmente alla missione di salvataggio di 14 italiani e 3 tedeschi nel mezzo di una carneficina causata da un’eterna guerra civile. Lui, il Professorino di Montichiari, figlio di due maestri, caparbio e del coraggio di chi ama i fratelli europei e africani, i fratelli della sua strategia ecumenica e politica, entrò nell’Africa del sangue e dell’odio e strappò dalla morte 17 persone.
Ci farà bene, per il senso della storia e della buona coscienza della memoria, recuperare i suoi “cinquanta” libri e diari da cui conoscere la storia vissuta di un’epoca e il profilo di migliaia di donne e uomini persi nel desiderio di ricostruire un’Italia a pezzi e degna di rinascere.
Del Professore-Ministro Mario Pedini seguiamo le tracce del suo ultimo giorno nella classe della nostra esistenza: è l’8 luglio 2003, martedì, Roma è la stupenda fornace in cui l’estasi della bellezza rende sopportabile una caotica mattinata di luce e di estate arresa alle brezze dei colli; il Prof. Pedini è insieme al suo inseparabile segretario e amico, il prof. Castellano. Entrano in un ufficio, saltano dentro un ministero, escono ad ammirare l’ora e pranzano in un ristorante amico. L’accordo è per la sera, per la festa di Laurea della nipote. Una rinfrescata al circolo Aniene, di cui è socio da sempre, una spa nettata in piscina e la sera è già davanti. Pedini ha 85 anni e mezzo, viaggia serenamente verso gli 86. La notizia del suo andarsene giunge inattesa come la missione di salvataggio di quei diciassette in Biafra. La morte e la vita, la salvezza e la pace si ricongiungono ai suoi cari. Le prime ad accoglierlo sono le ombre amate della prima moglie Amalia coi figli Enrico e Maria Teresa, subito insieme la seconda moglie dopo la vedovanza del ministro, la signora Carla. Una bella famiglia, una storia indimenticabile. La ricorderemo sabato 8 luglio, alle 18,30, nel Duomo di Montichiari. Presiede l’Abate Cancarini e memores gli amici che hanno memoria.