Mille brocche medievali e rinascimentali, un sigillo del re e tanti utensili antichi recuperati dal fondo del Pozzo delle meraviglie

La cisterna, che ancora oggi raccoglie l’acqua proveniente dalla falda sotterranea, rappresentava la riserva idrica del convento medievale di San Pietro in Vetere e fu utilizzata anche dopo l’abbandono del complesso ecclesiastico, nel corso dei mercati stagionali che, come ricordano le fonti, si svolgevano accanto alla chiesa nel XV e XVI secolo

Sono stati presentati questa mattina, mercoledì 11 ottobre 2023, i risultati della campagna di scavi condotta nel sito archeologico di Campo della Fiera, sotto la rocca d’Orvieto, dove l’Università di Foggia è impegnata nelle indagini di un pozzo medievale. Le attività, condotte dal prof. Danilo Leone, hanno portato, nel corso degli anni, a notevoli scoperte. Tanti, infatti, i preziosi reperti che sono stati mostrati durante la conferenza stampa: dal sigillo di Filippo il Bello, alle straordinarie ceramiche policrome.


Nel corso della campagna di scavi che si svolge annualmente presso il sito archeologico di Campo della Fiera, a Orvieto, l’équipe di archeologi dell’Università di Foggia, diretta dal prof. Danilo Leone e dal dott. Vincenzo Valenzano, ha riportato, infatti, alla luce un pozzo, profondo 11 metri, che custodiva circa mille brocche in perfetto stato di conservazione, utilizzate tra il XIII e il XVII secolo. La cisterna, che ancora oggi raccoglie l’acqua proveniente dalla falda sotterranea, rappresentava la riserva idrica del convento medievale di San Pietro in Vetere e fu utilizzata anche dopo l’abbandono del complesso ecclesiastico, nel corso dei mercati stagionali che, come ricordano le fonti, si svolgevano accanto alla chiesa nel XV e XVI secolo.

“I numerosi e splendidi reperti che oggi abbiamo potuto ammirare sono la testimonianza viva e tangibile di quanto siano stati sorprendenti i risultati di questa campagna scavi nel sito archeologico di Campo della Fiera. Grazie all’eccellente lavoro dei nostri ricercatori, coordinati sul campo dal prof. Leone, questo sito archeologico caratterizzato da uno straordinario connubio tra storia e natura si sta rivelando di una bellezza e di un’importanza che accrescono ad ogni campagna di scavi. Un progetto di valorizzazione che ci riempie di orgoglio non solo sotto il profilo della ricerca scientifica ma anche didattico. Alla campagna scavi, infatti, hanno partecipato i nostri studenti che hanno svolto attività di studio e ricerca direttamente sul campo a completamento della loro formazione maturando un’esperienza di alto profilo, che ha offerto loro la possibilità di utilizzare i più moderni strumenti messi a disposizione dalla tecnologia nonchè diverse competenze scientifiche che solo una sede universitaria di eccellenza come quella di Foggia è in grado di offrire.” – ha affermato il prof. Lorenzo Lo Muzio, Rettore dell’Università di Foggia. Alla Conferenza stampa sono intervenuti: il prof. Sebastiano Valerio, Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici; il prof. Danilo Leone, Coordinatore della campagna di scavo e Delegato del Rettore alla Terza Missione; Gianna Ferrara – Studentessa del corso di laurea magistrale interateneo in Archeologia.

“La campagna di scavo presentata stamattina rappresenta un fiore all’occhiello per questo Dipartimento e per l’Università intera – ha dichiarato il prof. Sebastiano Valerio, Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici -. È l’ennesima riprova dell’eccellenza raggiunta in questo campo dai nostri ricercatori, impegnati per altro su più fronti di ricerca. In questo caso specifico l’importanza e la bellezza dei reperti ritrovati è davvero straordinaria ed è un contributo importante che questa Università offre all’avanzamento degli studi”. “L’eccezionalità del rinvenimento – sostiene il prof. Danilo Leone, Coordinatore della campagna di scavo e Delegato del Rettore alla Terza Missione -, consiste non solo nello straordinario stato di conservazione dei reperti, già in fase di restauro, che serbano ancora le decorazioni e i colori intensi degli smalti, ma anche perché si tratterebbe di uno dei pochi contesti ceramici di età medievale e moderna rinvenuti in un complesso extraurbano, indagati secondo le moderne tecniche dell’archeologia stratigrafica”. Alla conferenza stampa è intervenuta altresì Gianna Ferrara – Studentessa del corso di laurea magistrale interateneo in Archeologia che ha così dichiarato: “A pochi giorni dal conseguimento della laurea in Archeologia, sono molto contenta oggi di avere l’opportunità di condividere con voi l’esperienza straordinaria che ho vissuto partecipando a questo scavo archeologico. Questa avventura ha senza dubbio lasciato un’impronta profonda nella mia formazione accademica ma ha soprattutto arricchito la mia comprensione del passato e alimentato ancor di più questa mia passione per l’archeologia. Lavorare a stretto contatto con archeologi esperti, ricercatori e colleghi mi ha insegnato i valori dell’attesa e della scoperta, della metodologia e del lavoro di squadra. Insieme ad altri studenti, abbiamo setacciato la terra con pazienza e attenzione, abbiamo documentato ogni ritrovamento, confrontato le nuove conoscenze sul sito con quelle già esistenti e abbiamo esultato nel riportare alla luce dei reperti di una bellezza straordinaria che oggi possono essere ammirati da tutti. Reperti che sono l’invito rivolto a ciascuno di noi a difendere e preservare il nostro patrimonio culturale che deve essere valorizzato e reso fruibile alla collettività. Ringrazio il prof. Leone e tutti i docenti che mi hanno accompagnato nel mio percorso di studio offrendomi l’opportunità di maturare esperienze sul campo di altissimo profilo scientifico ma anche sul piano personale. ”

I risultati della campagna di scavi


La consistente quantità di brocche e forme chiuse per contenere liquidi, conferma la peculiarità della formazione del deposito, esito di una perdita dei vasi nell’atto di attingere l’acqua, azione quest’ultima prolungata nel tempo fino al suo abbandono. Questa ipotesi suggestiva è confermata dal rinvenimento di ganci, rampini e anelli di catena, uno dei quali ancora inanellato nell’ansa del vaso, spezzatosi nel tentativo di recupero del recipiente. Solo nel caso dello strato della prima metà del XIV secolo, si può ipotizzare uno scarico volontario, avvenuto in concomitanza con la peste del 1348-1349, quando il pozzo fu abbandonato e smantellato e al suo interno gettati la vera e i blocchi della struttura oltre a oggetti considerati evidentemente contaminati.

Tra i ritrovamenti in particolare spicca la fiaschetta di un pellegrino della seconda metà del Duecento che, raggiunto il convento, deve aver perso il contenitore nel pozzo nel tentativo di riempirlo d’acqua. Non mancano poi le raffigurazioni legate al bestiario mitologico, come grifoni e sirene. Straordinaria, dal punto di vista storico, la scoperta, sul fondo del pozzo, di una matrice di sigillo in bronzo, volutamente frammentata in quattro pezzi. Il reperto rappresenta un sovrano seduto in trono, fiancheggiato da due leoni; indossa una corona con tre gigli ed è vestito con mantello e dalmatica con maniche bordate di treccia di gigli. Nella mano destra tiene un giglio e nella sinistra uno scettro terminante con lo stesso fiore.

La testa copre parte dell’esergo. Si tratta di una matrice di sigillo della cancelleria regia di Filippo IV il Bello (1285-1314). Al momento non sono noti i motivi della presenza del prezioso reperto nel pozzo, tuttavia è verosimile che la sua rottura volontaria e il successivo occultamento sia avvenuto all’indomani della morte del sovrano (1314). Tra i numerosi reperti raccolti si segnalano una rara ciotola in legno relativa al lotto di stoviglie usate dai Francescani, reperti faunistici e resti botanici, tra i quali semi di zucca, gherigli di noci, noccioli di pesca ed altri semi non identificati, resti probabilmente di vite. Gli oggetti in metallo tra cui roncole, accette, falcetti e rasoi per la concia delle pelli, posate, coltelli, ganci e catene ci raccontano la vita quotidiana del convento e della comunità dei contadini della pieve. “La lunga vita del pozzo di Campo della Fiera – afferma il prof. Danilo Leone -, per cinque secoli luogo di confluenza di religiosi, contadini, pastori, mercanti, pellegrini e soldati, oggi permette di annodare la storia del territorio con i grandi eventi di età medievale e moderna”.

L’indagine del pozzo, inoltre, resa difficile dalla profondità e dalla presenza di sei metri di acqua, è stata possibile grazie al contributo degli speleologi A.S.S.O. (Archeologia Subacquea Speleologia Organizzazione) di Roma. Le ricerche ormai ventennali del sito sono condotte su concessione ministeriale dall’Associazione Campo della Fiera e dirette dalla prof.ssa Simonetta Stopponi, in collaborazione con il prof. Danilo Leone dell’Università di Foggia, con il supporto finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. I risultati finora ottenuti sono del massimo interesse e documentano l’importanza storica di un luogo che dal VI secolo a.C. fu dapprima sede del santuario federale etrusco, noto come il Fanum Voltumnae, venne poi ristrutturato in epoca romana e continuò a vivere in epoca cristiana e medievale. I risultati dello scavo del pozzo saranno, inoltre, presentati a fine ottobre a Roma dove, presso la Fondazione Marco Besso, sarà inaugurata la mostra LA STORIA NELL’ACQUA. Il pozzo medievale di Campo della Fiera a Orvieto.

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Maurizio Bernardelli Curuz
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