L’alternanza tra festa e malinconia è ben dosata dalla civiltà, che colloca isolotti artificiali di gioia potenziale e di negozi nelle lagune dell’inverno. E i Romani che facevano? C’erano Venerdì neri? Quali erano i giorni più tristi da invertire, nel segno, con libagioni e doni? Leggete. Troverete qui infinite curiosità del passato che illuminano il presente.
Il Black Friday, celebrato l’ultimo venerdì di novembre, è un evento ormai globale nato negli Stati Uniti. Nato come il giorno successivo al Ringraziamento – che un po’, come Santo Stefano, è fiacchissimo e triste – è diventato simbolo di sconti e promozioni che danno il via alla stagione natalizia. Il nome, secondo alcune interpretazioni, deriverebbe dai registri contabili, che quel giorno passavano dal rosso (perdite) al nero (profitti). In verità è probabile che i commercianti americani abbiano utilizzato il termine “venerdì nero” alludendo ai “prezzi bassi” e ai crolli della borsa, quando le azioni perdono prezzo, spesso in concomitanza con il fine settimana. E’ anche probabile che dopo la Festa del Ringraziamento i commerci crollassero e pertanto fossero giorni neri, per i commercianti, Sotto il profilo commerciale questa giornata ha la funzione di dare un impulso spaventoso al commercio ponendosi come pilone in attesa del Natale. Venerdì era anche considerato un giorno potenzialmente triste e sfortunato – morte di Gesù sulla Croce – e di magro e penitenza. Il Venerdì nero viene trasformato, consumisticamente, in una data in cui ci si consola e si gioisce, attraverso l’atto consumistico dell’acquisto.
I giorni sfortunati e fiacchi dei Romani
Sì, gli antichi Romani consideravano alcuni giorni della settimana più propizi o più nefasti rispetto ad altri, e questo valeva anche per i giorni considerati “tristi” o “fiacchi”. Nella mentalità romana, molto influenzata da riti e superstizioni, il calendario e le giornate della settimana erano spesso scanditi da presagi, festività religiose e attività pubbliche.
Il giorno più “triste” della settimana: il dies Saturni
Il dies Saturni, corrispondente al sabato, era spesso visto come un giorno dedicato al dio Saturno, simbolo di fine e di ciclicità, ma anche associato al passato, all’inattività e alla malinconia. Sebbene Saturno fosse onorato durante i Saturnalia (una festa gioiosa di dicembre), il giorno a lui dedicato aveva anche una connotazione riflessiva e austera. Era un giorno in cui i Romani tendevano a evitare decisioni importanti o nuove imprese.
Giorni di cattivo auspicio
In generale, i giorni considerati nefasti (dies nefasti) erano quelli durante i quali non era consentito condurre attività pubbliche ufficiali, come riunioni del senato o processi legali. Non sempre coincidevano con giorni “tristi”, ma la loro percezione variava anche in base agli eventi accaduti in quei giorni.
Ad esempio:
- Martedì (dies Martis), dedicato a Marte, era spesso visto come un giorno turbolento, propenso ai conflitti. Anche se non triste in senso emotivo, era un giorno associato a battaglie e tensioni.
- I giorni che seguivano eventi drammatici, come sconfitte militari o calamità naturali, acquisivano una reputazione negativa, diventando giorni di lutto collettivo.
Come i Romani affrontavano la tristezza?
Per contrastare la tristezza o la malinconia di certi giorni:
- Riti e purificazioni: si eseguivano sacrifici o rituali per propiziarsi gli dèi e allontanare l’influenza negativa.
- Feste e banchetti: l’organizzazione di cene o incontri sociali aiutava a migliorare l’umore. I Saturnalia, ad esempio, erano proprio pensati per “capovolgere” l’ordine sociale e portare gioia.
- Contatto con la natura: molti Romani si rifugiavano nelle campagne o nei giardini per ritrovare serenità.
Il giorno più triste:
I Romani consideravano il dies ater, o “giorno nero”, come particolarmente nefasto. Uno degli esempi più celebri era il 18 luglio, anniversario della disastrosa sconfitta nella Battaglia del Lago Trasimeno nel 217 a.C., quando Annibale inflisse gravi perdite a Roma. Questo giorno veniva spesso evitato per attività importanti.
Il giorno più fiacco:
Il periodo dei saturnali, pur essendo festoso, aveva giornate che lasciavano i romani senza molte energie: le grandi abbuffate e i festeggiamenti portavano spesso a un senso di stanchezza generale. Alcuni giorni del Februarius (febbraio), mese dedicato alla purificazione, erano considerati lenti e privi di entusiasmo.
Il giorno più sfortunato:
Il dies Alliensis, il 18 luglio del 390 a.C., commemorava la sconfitta contro i Galli di Brenno presso il fiume Allia. Questo giorno, considerato estremamente funesto, era evitato anche dai superstiziosi Romani più moderati.
Il 536 d.C.: l’anno peggiore per l’umanità
Gli storici definiscono il 536 d.C. come uno degli anni più bui della storia umana, e non solo in senso figurato. Un cataclisma naturale, unito a conseguenze devastanti, trasformò il mondo in un luogo ostile:
- Un clima stravolto:
Una misteriosa eruzione vulcanica, probabilmente in Islanda, proiettò nell’atmosfera enormi quantità di cenere e zolfo, oscurando il sole. Le cronache raccontano di un “sole pallido” che non scaldava e di giornate perennemente grigie, che durarono circa 18 mesi. Le temperature globali scesero drasticamente, innescando una delle peggiori carestie della storia. - Raccolti distrutti:
Il gelo in estate compromise i raccolti in Europa, Medio Oriente e Cina. La fame dilagò e le società agricole, basate sul cibo prodotto localmente, si trovarono impreparate ad affrontare una crisi così diffusa. - Epidemie:
La fame indebolì le popolazioni, rendendole più vulnerabili a malattie. Nel 541, pochi anni dopo, la peste di Giustiniano colpì duramente l’impero bizantino, mietendo milioni di vittime. - Conseguenze politiche:
Il caos climatico ed economico destabilizzò intere nazioni. I regni barbarici in Europa e l’Impero Romano d’Oriente dovettero affrontare ribellioni e declino demografico.
Sopravvivere all’anno più difficile:
In assenza di soluzioni immediate, le popolazioni si aggrapparono alla fede e ai riti religiosi, sperando nell’intervento divino. Gli studiosi vedono in questo periodo una delle cause dell’accelerazione della transizione verso il Medioevo: il crollo delle strutture statali romane e la necessità di riorganizzare la vita su scala locale.
Il 536 d.C. ci ricorda quanto l’umanità sia vulnerabile agli eventi climatici e naturali, ma anche la sua capacità di adattarsi e sopravvivere nonostante le avversità.
Il giorno più triste dell’anno, secondo una teoria pseudoscientifica, è noto come il Blue Monday. Viene generalmente identificato come il terzo lunedì di gennaio. Questo concetto è stato introdotto nel 2005 da un’agenzia di viaggi britannica, che citava uno studio attribuito a Cliff Arnall, uno psicologo dell’Università di Cardiff. La scelta di questo giorno si baserebbe su una formula che include vari fattori psicologici e ambientali:
- Condizioni meteorologiche: gennaio è freddo e spesso grigio nell’emisfero settentrionale.
- Fine delle festività natalizie: l’euforia delle vacanze è svanita, lasciando un vuoto emotivo.
- Problemi finanziari: molti affrontano le conseguenze delle spese natalizie.
- Motivazione calante: i buoni propositi per il nuovo anno iniziano a fallire.
È davvero il giorno più triste?
Dal punto di vista scientifico, la teoria non ha fondamento. La formula proposta da Arnall è considerata una trovata di marketing più che una reale analisi psicologica. Tuttavia, l’idea è diventata popolare, portando discussioni sul benessere mentale in un periodo dell’anno effettivamente impegnativo per molte persone.
Altri periodi tristi secondo la scienza
Studi sul benessere soggettivo indicano che novembre e gennaio sono i mesi più difficili per molti, soprattutto nelle aree con meno luce solare. La SAD (Seasonal Affective Disorder), un disturbo affettivo stagionale, può colpire persone predisposte, causando cali di umore legati alla riduzione della luce naturale.
Sebbene non ci sia un giorno scientificamente confermato come il più triste, il Blue Monday ha almeno il merito di richiamare l’attenzione sull’importanza della salute mentale.