Un grande campo. Zolle, stoppie. Ma le macchine, ben condotte dagli archeologi in questi mesi, hanno colto i reticoli di un passato remoto che è stato sepolto. Dalla forma rilevata dalle strumentazioni, sotto il terreno, è possibile stabilire che si tratta di una fondamentale testimonianza edilizia, politica e devozionale.
Un team di ricercatori dell’Istituto Archeologico Austriaco (ÖAI), parte dell’Accademia Austriaca delle Scienze (ÖAW), ha infatti identificato i resti di una basilica paleocristiana nei pressi della via Annia, un’antica arteria commerciale che collegava Aquileia a Milano e Roma. Utilizzando misurazioni geofisiche e sondaggi geoarcheologici (più sotto spieghiamo come si fanno), gli studiosi hanno individuato un edificio religioso risalente al IV secolo, successivamente ampliato in una basilica a tre navate con transetto e absidi.
Secondo il professor Stefan Groh, a capo delle indagini, questa scoperta rappresenta il primo grande edificio rilevato ad Aquileia dopo decenni di studi archeologici intensivi. La basilica, che raggiunse la sua forma monumentale durante il regno di Giustiniano I (527-565), si caratterizza per la sua architettura ispirata al modello bizantino, con significative analogie strutturali con edifici coevi presenti in Egitto, Asia Minore e nei Balcani.
Un simbolo del dominio bizantino
La basilica è molto più di un edificio religioso: è un emblema del dominio e della politica di restaurazione imperiale promossa da Giustiniano I. Dopo la vittoria contro i Goti e la riconquista dell’Italia settentrionale, il rinnovamento urbanistico e religioso di Aquileia divenne parte integrante della strategia bizantina di consolidamento del potere.
L’edificio, orientato a sud-est verso Costantinopoli e Gerusalemme, sottolinea la connessione ideologica e spirituale della città con il centro del mondo cristiano orientale. Inoltre, la basilica potrebbe essere stata progettata per celebrare la vittoria contro gli ariani, un gruppo cristiano eterodosso molto diffuso fra i Goti.
Un confronto con l’architettura bizantina
Le caratteristiche architettoniche della basilica la collocano in un contesto culturale più ampio. La struttura a tre absidi con transetto trova paralleli in diverse aree dell’Impero bizantino:
- Betlemme, in Palestina, sede di edifici religiosi simili.
- Durrës, in Albania, dove le basiliche mostrano una disposizione analoga.
- Licia, lungo la costa sud-occidentale della Turchia, nota per edifici a pianta basilicale.
La basilica di Aquileia rappresenta un caso eccezionale, che estende l’influenza architettonica bizantina fino alla costa adriatica settentrionale, dimostrando l’importanza geopolitica della città nella strategia di Giustiniano.
Aquileia sotto Giustiniano: una città fortificata
Oltre alla basilica, altre testimonianze archeologiche confermano il ruolo di Aquileia come baluardo strategico bizantino. Durante il regno di Giustiniano, la città fu dotata di una possente mura a zig-zag, un sistema difensivo che trova confronti significativi a Salonicco, in Grecia. Questo sistema, unico nel suo genere in Italia settentrionale, testimonia l’investimento militare e urbanistico operato dall’imperatore per proteggere il confine occidentale del suo impero.
Implicazioni storiche e archeologiche
La scoperta della basilica arricchisce la comprensione dello sviluppo urbano e religioso di Aquileia, rivelando l’intreccio tra fede e potere nel VI secolo. La collaborazione tra l’ÖAW e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia, con il supporto del Fondo Austriaco per la Scienza (FWF), ha permesso di inquadrare questa scoperta in una prospettiva più ampia, collegandola a edifici coevi come la chiesa episcopale di Teurnia, in Carinzia.
Questi dati non solo sottolineano il ruolo centrale di Aquileia nella politica imperiale bizantina, ma dimostrano anche come il patrimonio culturale della città continui a fornire spunti cruciali per comprendere le dinamiche di potere e religione nel Mediterraneo tardoantico.
Georadar: strumenti tecnologici per l’archeologia invisibile
I georadar, noti anche come Ground Penetrating Radar (GPR), sono strumenti avanzati di indagine geofisica che consentono di esplorare il sottosuolo senza effettuare scavi. Utilizzati in molti campi, tra cui l’archeologia, la geologia e l’ingegneria civile, i georadar hanno rivoluzionato il modo di studiare il terreno, permettendo di individuare strutture, reperti e anomalie sepolte.
Come funzionano i georadar?
Il georadar opera emettendo onde elettromagnetiche ad alta frequenza nel sottosuolo attraverso un’antenna. Queste onde si propagano nel terreno e vengono riflesse quando incontrano materiali con proprietà fisiche diverse, come il suolo, la roccia, i metalli, o resti archeologici.
Le onde riflesse ritornano all’antenna del georadar, dove vengono registrate e trasformate in dati. Questi dati vengono poi analizzati attraverso software specializzati per creare immagini tridimensionali o mappe bidimensionali del sottosuolo.
Aspetto e utilizzo: simili alle macchine per il taglio dell’erba
Visivamente, il georadar somiglia a una piccola macchina per lo sfalcio dell’erba, con una struttura compatta montata su ruote che facilita il trasporto e l’uso in terreni anche irregolari.
- Composizione:
- Unità principale: include il trasmettitore e il ricevitore di onde radar.
- Sistema di registrazione dati: memorizza e trasmette i segnali riflessi.
- Batteria: alimenta il dispositivo, permettendone l’uso anche in aree remote.
- Monitor di controllo: visualizza in tempo reale le letture e i dati raccolti.
- Modalità d’uso:
L’operatore spinge il georadar sul terreno da indagare, muovendosi lentamente per garantire una lettura accurata. Durante l’esplorazione, l’apparecchiatura registra una serie continua di dati, creando una scansione del sottosuolo.
Cosa permettono di vedere?
I georadar sono capaci di rilevare:
- Strutture artificiali: muri, pavimenti, strade antiche, tombe e fondamenta.
- Anomalie nel terreno: cambiamenti nella densità del suolo che potrebbero indicare la presenza di fosse o canali sotterranei.
- Oggetti sepolti: metalli, ceramiche, o resti organici (a seconda della frequenza utilizzata).
- Strati geologici: utili per mappare le caratteristiche naturali del terreno.
Perché i georadar sono così utili?
- Non invasivi: il loro uso evita di danneggiare il suolo o i potenziali reperti.
- Rapidi ed efficienti: consentono di coprire ampie aree in tempi relativamente brevi rispetto agli scavi tradizionali.
- Dettagliati: forniscono immagini del sottosuolo con una risoluzione elevata, permettendo di individuare anche piccole anomalie.
- Versatili: possono essere usati su superfici diverse, come terreni erbosi, pavimentazioni o strade.
Applicazioni nell’archeologia
Nel campo archeologico, il georadar ha un ruolo centrale nella pianificazione degli scavi:
- Mappatura preliminare: identifica i punti di interesse prima di iniziare un intervento.
- Documentazione: registra con precisione la posizione e la forma dei reperti senza doverli estrarre.
- Monitoraggio: verifica lo stato di strutture sotterranee, come tombe o mosaici, senza esporli.
Un esempio significativo è proprio la recente scoperta della basilica paleocristiana ad Aquileia, dove i georadar hanno consentito di individuare la struttura del IV secolo senza danneggiare le stratigrafie sovrastanti.
Limiti e considerazioni
Nonostante i numerosi vantaggi, i georadar presentano alcune limitazioni:
- Profondità limitata: l’efficacia diminuisce con l’aumentare della profondità (di solito tra 1 e 10 metri, a seconda del terreno).
- Sensibilità al tipo di suolo: terreni con alto contenuto d’acqua, argillosi o salini possono attenuare le onde radar.
- Interpretazione complessa: i dati raccolti richiedono competenze specialistiche per essere analizzati correttamente.