Firmata da Doménikos Theotokópoulos, meglio conosciuto come El Greco, e raffigurante San Demetrio, l’opera, acquistata da un collezionista tedesco da una piccola società d’asta francese come icona post-bizantina, si è rivelata autografa di El Greco grazie ad approfondite indagini diagnostiche, commissionate dal fortunato acquirente a Mariella Lobefaro, che ha subito coinvolto nel ritrovamento il prof. Lionello Puppi, considerato il più grande conoscitore del periodo italiano de El Greco ed uno dei maggiori storici dell’arte del Cinquecento, che ha il merito di fare ricerca e di non attardarsi a rivoltare vecchi concetti e pregiudizi. Uno studioso di straordinario valore.
“Sono onorato di aver contribuito all’incredibile scoperta di quest’opera, rivoluzionaria per il mondo della storia dell’arte – ha detto Puppi – Si tratta, infatti, della più integra delle uniche tre icone conosciute sino ad oggi a firma El Greco e che sarà anche una delle opere protagoniste della mostra di Treviso, “El Greco in Italia, Metamorfosi di un Genio”, in programma a Casa dei Carraresi dal 24 ottobre al 10 aprile prossimi, il più importante evento europeo sulla giovinezza del Greco. Nel San Demetrio si coglie inconfutabilmente il tratto introspettivo e spirituale de El Greco che dipinge con estrema precisione e attenzione maniacale per il dettaglio”.
Aggiunge Mariella Lobefaro, autrice della scoperta e uno dei massimi esperti di icone: “Il valore di quest’opera, il cui supporto in cipresso ci spinge ad ipotizzare la realizzazione a Creta prima del 1567, anno dello spostamento de El Greco a Venezia, è inestimabile per quanto riguarda la rarità: è l’unica icona di questo artista, genio del ‘500, giunta sino a noi in ottime condizioni e ho avuto l’onore di approfondire, grazie alle indagini diagnostiche che hanno anche decretato l’autenticità della firma coeva alla pittura, la raffinata tecnica esecutiva ammirabile nel finissimo assist d’oro e nei diversi metodi in cui è stata stesa la foglia d’oro sotto e sopra lo strato pittorico”.
PERCHE’ L’OPERA HA UNA GRANDE IMPORTANZA
El Greco nasce ed opera inizialmente a Creta, luogo nel quale, sotto il profilo linguistico, si utilizzano generalmente due stili, quello greco, legato ancora al mondo delle icone bizantine e quello occidentale, con influssi notevoli della cultura veneta. E’ un’isola bilingue sotto ogni profilo. El Greco pertanto utilizza entrambi i modi e li fonde. Sarà proprio dalla straordinaria sintesi delle due culture e dalle inquietudini manieriste, che egli assorbe dopo il trasferimento a Venezia, che nascerà il suo stile modernissimo, in grado di attraversare i secoli fino al Novecento offrendo un punto di vista non scontato agli artisti a noi temporalmente vicini, come a Picasso, che rimodula El Greco, in particolar modo nel Periodo blu. L’icona assume un notevole valore storico poichè traccia il Dna pittorico d’origine dell’artista, i suoi imprinting, gli elementi strutturali che resteranno nella sua pittura più matura, che sono frutto del rapporto tra sviluppo individuale e cultura d’origine. In particolare dobbiamo osservare il volto di San Demetrio, che si presenta come base di una costanza di El Greco nella costruzione dei visi, anche nella maturità.
COM’E’ AVVENUTO IL RITROVAMENTO
L’opera è stata di recente proposta sul mercato delle piccole aste internazionali che vendono contemporaneamente online. Viene acquistata da un collezionista tedesco, come icona post-bizantina, che la porta da una restauratrice di fiducia per una pulitura. Durante l’iniziale fase di rimozione della vernice, la restauratrice si accorge della firma che, dipinta con pigmento nero su colore verde scuro sotto vernice già ingiallita, è poco visibile. Il collezionista, informato della presenza di una firma, blocca la pulitura, fotografa la firma inviando l’immagine a un ex restauratore del Museo Benaki di Atene il quale risponde che vi è scritto ΧΕΙΡ ΔΟΜΗΝΙΚΟΥ cioè mano di Domenico, adducendone però la falsità e attribuendo l’opera alla mano di un “altro” Domenico.
Il collezionista, a conoscenza degli studi di Mariella Lobefaro sulle tavole del periodo veneziano di El Greco,la informa del ritrovamento telefonicamente. Mariella Lobefaro prende subito un aereo per vedere l’icona dal vero.Esaminata la firma con occhiali 6X,ne comprende l’autenticità – a seguito dei suoi decennali studi sul comportamento del cretto della pellicola pittorica –e decide di condurre una campagna diagnostica per provarne e certificarne l’autenticità.
Grazie a un’etichetta ingiallita presente sul supporto nel retro dell’icona, il collezionista risale anche all’ultima mostra, a Lione nel 1935, in cui questa opera è stata esibita come dipinto di anonimo e riesce a recuperarne il catalogo originale in cui è ritratta: “L’ART DES ICONES La Peinture religieuse grecque post-byzantine et néo-héllénistique. Ed. GALERIE SAINT FRANÇOIS. Lyon, 1935”.
ISTITUTI DIAGNOSTICI E INDAGINI SVOLTE SULL’OPERA
INOA Istituto Nazionale di Ottica Applicata, Firenze:
1) Esaminata integralmente con uno scanner per riflettografia VIS-NIR a 32 bande (16 per il visibile e 16 per l’infrarosso) con una risoluzione spaziale di 4 punti a mm. Dalle riflettografie risultanti è emerso il disegno preparatorio ed un unico pentimento: la posizione della lancia nella pittura risulta più inclinata verso sinistra rispetto al disegno preparatorio.
2)Esaminata l’area della firma con un sistema OCT (Optical CoherenceTomography) per valutare lo spessore delle vernici con una risoluzione di circa 5 micron, da cui è emerso che la firma è sotto vernice.
3)Esaminata integralmente con un sistema conoscopico per il rilievo 3D con una risoluzione di 20 micron laterali e 6 micron in quota. L’esame ha messo in evidenza la volontà del Theotocopouls di realizzare la doratura di fondo su due livelli della superficie.
Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Chimica. Prof. Angelo Agostino.
X-rayFluorescence Spectroscopy. L’indagine ha rilevato gli elementi presenti nelle mestiche per comprendere i pigmenti usati dall’autore.
Università di Evora, Laboratorio Hercules. Dott.ssa Irina Sandu.
Quattro campioni prelevati di cui tre analizzati al Microscopio ottico in Visibile e Ultra Violetto; SEM-EDX (Scanning electron microscopy/energy dispersive X-ray spectroscopy) da cui è emerso che entrambe le dorature hanno stessa composizione e spessore. L’altissimo titolo della foglia d’oro – 23,70 carati – conduce al titolo del ducato veneziano dell’epoca.
Laboratorio di diagnostica di ThierryRadelet, Torino.
Sono state eseguite due radiografie: una frontale ed una nel taglio trasversale della tavola.
Macrofotografia a luce visibile della firma. Macrofotografia in fluorescenza Ultra Violetto della firma e del generale. Infrarosso della firma. Falso-colore generale.
L’ICONA DI EL GRECO ESPOSTA A BELLAGIO
[box type=”note” ]L’eredita’ di Bisanzio
Torre delle Arti – Bellagio (Co)
Dall’8 al 23 agosto 2015
Ingresso gratuito
Aperta tutti i giorni dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 18,00.
Venerdì e sabato anche dalle 21,00 alle 23,00.[/box]
[googlemap src=”” align=”alignright” ][L]a mostra “L’Eredità di Bisanzio”, dall’8 al 23 agosto nella Torre delle Arti a Bellagio (Co), darà l’opportunità al pubblico di ammirare 100 icone bizantine e post-bizantine , tra cui l’attesissima icona firmata El Greco, di recente oggetto di un’incredibile scoperta scientifica
L’icona rimarrà, eccezionalmente esposta il weekend dell’8 agosto nella mostra curata, a Bellagio, da Lobefaro.
Tra le altre 100 opere in mostra, datate dalla metà del XIV agli inizi del XX secolo, provenienti da Italia, Grecia – Creta, Corfù, Isole Ionie -, Balcani, Bulgaria, Serbia, Romania – Valacchia, Transilvania, Moldavia -, Polonia, Ucraina, Bielorussia, Russia, Siria e Palestina, anche una monumentale icona del XVIII secolo, opera derivante dalla famosa “Madre di Dio della Tenerezza di Vladimir”, icona costantinopolitana del XII secolo, Palladio della Russia, e una delle più famose icone giunte sino a noi; la “Madre di Dio Odighitria” di Andrea Ritzos, uno dei più importanti iconografi della scuola di Creta, che nel 1453 fu coinvolto con il padre nelle vicende militari della caduta di Costantinopoli; o ancora la “Pentecoste”, una icona in argento di oltre 120 cm della metà del XIX sec. che reca fori di proiettili attribuibili alla rivoluzione bolscevica del 1917
L’evento, a entrata gratuita, è un progetto promosso dal Comune di Bellagio e dall’Associazione Torre delle Arti di Bellagio che si pone come obiettivo la promozione della conoscenza delle icone cristiane, contestualizzandole storicamente e geograficamente e ampliando, quindi, il ventaglio dei paesi di provenienza, i periodi storici di appartenenza e la meravigliosa varietà di tecniche e stilemi che le contraddistingue.
Un’occasione irripetibile che porterà il visitatore, in un viaggio spazio temporale, attraverso la scoperta dell’affascinante mondo delle icone, spiegando come Bisanzio, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, sia di fatto la “culla” dell’iconografia canonica stabilita nel VII Concilio Ecumenico quando la Chiesa era indivisa, e come il Sacco di Costantinopoli (nome assunto da Bisanzio nel 330 d.C. sotto il dominio dell’imperatore Costantino), il saccheggio della Capitale Bizantina da parte dei Crociati nel 1204, abbia portato non solo alla “diaspora” delle più importanti opere d’arte, ma anche alla successiva fusione della nascente arte figurativa medioevale con lo stile bizantino, preludio dell’arrivo del gotico in Europa.
Durante il percorso, il visitatore potrà usufruire di un catalogo multimediale, accessibile da smartphone e iPad, che, attraverso pillole di storia, di letteratura e di tecnica artistica, ci racconterà come, per esempio, anche il più piccolo dettaglio di una icona, se ingrandito di 10 volte, è perfetto come se fosse stato dipinto a grandezza naturale, oppure i segreti che si celano dietro le diverse tecniche di doratura.
Aneddoti che ci faranno comprendere, attraverso la straordinaria bellezza delle opere in mostra, perché il loro mito è ancora così vivo e il loro collezionismo è un fenomeno che non accenna a diminuire.
LA SCHEDA DEL DIPINTO DI EL GRECO
SAN DIMITRIOS
a firma ΧΕΙΡ ΔΟΜΗΝΙΚΟΥ (mano di Domenico).
Datazione presunta: 1563-1565
1)Supporto ligneo
Dimensioni 27,4 x 21,9 x 2,6 cm.
Tavola intera di cipresso con spessore di 2,2 cm di taglio radiale sub radiale visibile in radiografia.
L’Incavo è stato ricavato con l’incollaggio di quattro listelli modanati, con taglio a 45° negli angoli, formanti la cornicetta (spessore 0,4 cm.). Sul retro del supporto sono visibili i segni lasciati da due traverse inchiodate (tre chiodi superiormente e tre chiodi inferiormente).
2)Tela ammanita
è ben visibile nell’angolo in basso a sinistra. Presenta filato grosso e tramatura rada.
3) Preparazione
La preparazione è stata stesa su tutta la superficie, cornicetta compresa. Lo spessore è di circa 1mm, nelle aree di raccordo con la cornice aumenta considerevolmente sino a tre millimetri.
4) Doratura
La doratura risulta essere eseguita su due piani differenti delimitati da una precisa incisione. Tutte le campiture di colore, compresa quella sottile della lancia, risultano dipinte sulla doratura di livello superiore. Inizialmente si è supposto che questa “anomalia” fosse dovuta ad un intervento posteriore di ridoratura ma osservando le tonalità, sia della doratura che del bolo sottostante, non si notano differenze tonali tra le dorature dei due livelli; non vi è traccia di doratura dentro al cretto di movimento del supporto ligneo. A luce incidente e radente si riscontra l’assenza dei tipici accavallamenti della foglia creati dall’intervento di ridoratura. Va precisato che in unintervento di ridoratura è impossibile da raggiungere una tale identicità estetica. L’indagine con conoscopio per il rilievo 3D, eseguita dal prof. Pampaloni dell’Istituto Nazionale di Ottica Applicata, ospitato presso l’Opificio delle Pietre dure di Firenze, evidenzia che la pellicola pittorica si adatta morbidamente allo scalino dei due livelli. Un altro elemento che fa supporrei due livelli voluti dall’autore sta nel fatto che le campiture di colore poggiano sopra alla foglia sia nelle aree levigate sopra livello che in quelle con gibbosità sottolivello. Le zone meglio conservate, dove è possibile osservare lo strato integro di pellicola pittorica poggiante sulla foglia d’oro, sono lungo i due angoli retti costituiti dal trono e dal colore verde dello sfondo.
Sono anche stati prelevati4 campioni esaminati presso il laboratorio Hercules di Evora, dove la Dr. Irina Sandu, ha eseguito OM, Vis-UV; SEM-EDX da cui è emerso che entrambe le foglie d’oro dei due livelli hanno stesso identico titolo e composizione di oro a 23,70 carati, il restante 0,30 è composto da argento e rame.
5) Pellicola pittorica
E’ senza dubbio tempera all’uovo. Presenta consistenti rilievi nelle mestiche con bianco di piombo usate per gli schiarimenti e per gli incarnati. Il proplasma è identico a quello dell’Adorazione dei magi di Varese, anche il laghetto per le labbra, formalmente identico, risulta ottenuto con la stessa tecnica. Per quanto riguarda la tavolozza, dalle indagini al falso colore emerge chiaro l’uso dello smaltino, della lacca di garanza, della malachite e del bianco di piombo. Le indagini XRF (X-Ray Fluorescence Spectroscopy), eseguite dal prof. Angelo Agostino del Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino, ci illumineranno sugli altri pigmenti.
5.1)Firma
Osservando il colore nero usato per la firma si nota la coerenza con il comportamento del cretto sottostante. L’indagine ottica e le riprese in macro a luce visibile mostrano il colore nero crettato esattamente quanto il verde sottostante ed entrambi gli strati hanno cretto coerente con quello di essicazione della preparazione.
Alla lampada di Wood (Ultra Violetto) la firma risulta sotto ad una vernice di restauro sufficientemente ossidata presumibilmente risalente ad un restauro eseguito per l’esposizione di Lione del 1935.
La lampada evidenzia, soprattutto nel perimetro e sulla cornicetta, residui di vernice originale di natura oleosa (olifa).
6) Assist
Stesure precise e finissime di assist in foglia d’oro che ha la stessa tonalità di quella usata per il fondo.
7) Vernice finale
Sono presenti residui di vernice originale nelle zone poco accessibili al tampone. Residui consistenti ai lati in basso, verso gli angoli inferiori. La vernice di restauro, lievemente ingiallita, è già perfettamente indurita in quanto non rinviene con facilità (tempi di risposta con il DMF +5 minuti). A luce radente presenta striature, visibili sul volto e sulla doratura a fianco della foglia d’acanto a destra del trono, che testimoniano un’alta percentuale di resina.
8) Interventi posteriori
Si suppone che l’intervento di restauro sia stato eseguito poco prima della mostra del 1935 poiché la foto al catalogo presenta l’opera già pulita. La perdita di alcune lumeggiature a bianco di piombo ed assist è certamente dovuta alla fase di pulitura.
L’unica ridipintura evidente è l’aureola, si nota infatti il colore rosso (cinabro + bianco di piombo) entrare nel cretto sottostante. Si fa risalire al 1935 anche la vernice finale per i tempi di rinvenimento.
9) Cretti
– Cretto di movimento del supporto ligneo.
Si evidenzia con facilità ai lati della tavola in prossimità della cornice. Ha passo regolare di dimensioni corrispondenti all’epoca presunta. E’ visibile a luce radente sulla campitura del mantello verde.
– Cretto di essiccazione della preparazione.
Ha isole regolari che, incrociando il cretto di movimento del supporto ligneo, creano un pattern di circa 3-4 mm per lato.
– Cretto di Essiccazione della pellicola pittorica.
E’ presente su tutte le campiture ed ha comportamento in base al numero di strati e alla densità della mestica. I differenti comportamenti relativi agli strati sono visibili ad occhio nudo nella manica a sinistra.