Sale complessivamente a 35 il numero delle tombe portate alla luce dagli archeologi nell’ambito delle campagne di scavo 2021/2022 condotte nella riserva di Torre Guaceto. I reperti della necropoli a cremazione rinvenuta sotto la sabbia della spiaggia delle conchiglie sono già stati in parte restaurati e ora si pensa alla creazione di un museo.
Sono 20 le tombe rinvenute grazie agli scavi archeologici condotti nell’area protetta da giugno, fino a pochi giorni addietro. Altre 15 erano state scoperte con la campagna 2021 che, oltre a portare alla luce per la prima volta la necropoli a cremazione di Torre Guaceto, L’indagine archeologica ha permesso di iniziare a ricostruire i costumi funerari della popolazione che nella tarda età del Bronzo (XIII-XII sec. a C) risiedeva sul promontorio della torre aragonese ed aveva allestito il proprio cimitero, poco distante, nell’area dell’attuale spiaggia delle conchiglie.
La Riserva naturale statale Torre Guaceto è un’area naturale protetta situata sulla costa adriatica dell’alto Salento, a pochi chilometri dai centri di Carovigno e San Vito dei Normanni e 17 km a nord di Brindisi.
Le importanti scoperte che si devono all’impegno profuso sul campo dal team di archeologi diretti dal professore Teodoro Scarano del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, al supporto della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Provincie di Brindisi e Lecce che ha permesso di aprire gli scavi in regime di concessione ministeriale, e del Consorzio di Gestione di Torre Guaceto, da sempre molto attento e pronto ad investire per la ricostruzione del volto antico della riserva, tanto da essere l’unico Ente Parco italiano ad aver realizzato un proprio laboratorio archeologico.
Il progetto di ricerca, ripreso in mano nel 2019 con la scoperta fortuita delle prime quattro tombe a cremazione affioranti subito sotto la sabbia, vanta diverse collaborazioni sia nazionali, sia internazionali e vede soprattutto una consolidata partnership con l’Università di #Bologna sia per quanto riguarda il settore dell’antropologia fisica e della mobility, il cui referente scientifico è il professore Claudio Cavazzuti del Dipartimento Storia Culture e Civiltà, sia per quanto attiene il restauro archeologico. A partire proprio quest’anno, infatti, ha visto le docenti Florence Caillaud e Cristina Leoni del Dipartimento di Beni Culturali di Ravenna impegnate nelle sale del laboratorio di Torre Guaceto per ricomporre i reperti appena rinvenuti.
“La scoperta della necropoli – ha spiegato Scarano -, rientra in un più ampio progetto di archeologia dei paesaggi costieri che il gruppo di ricerca archeologica dell’Università del Salento conduce dal 2008 nel territorio della riserva in collaborazione con il professore #GiuseppeMastronuzzi del Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università di Bari. L’individuazione delle tombe e la mappatura di un’ampia serie di evidenze presenti nella stessa area, sul banco di roccia anche al di sotto dell’attuale livello del mare, testimoniano infatti con inusuale chiarezza di come nell’età del Bronzo, la linea di costa e la geografia di questo luogo fossero differenti da oggi, offrendoci dunque l’opportunità di ricostruirne l’aspetto di oltre 3mila anni fa”.
Tanto è stato scoperto e tanto ancora si vuole fare per arrivare a conoscere in profondità la Torre Guaceto della tarda età del Bronzo e rendere le scoperte fruibili a tutti, così come fatto nell’ambito delle due campagne, con gli archeologi impegnati a raccontare i lavori in corso a tutti gli utenti della riserva.
“Nel prossimo triennio il progetto di ricerca – ha dichiarato #RockyMalatesta, presidente del Consorzio di Gestione della riserva-, avrà come obiettivi la prosecuzione delle campagne di scavo, ma anche e soprattutto il restauro di tutti i materiali già rinvenuti. Questo consentirà lo studio e la pubblicazione di questo eccezionale contesto e, al tempo stesso, il concreto avvio della progettazione di un futuro spazio museale della riserva di Torre Guaceto nel quale illustrare e raccontare la storia più antica della nostra area protetta”.