Animali da pregare, bestie da mangiare. Le differenze studiate dagli archeologi tra incisioni rupestri e resti di cibo

Vegetariani, frugivori, carnivori a metà, vegani. Esistono radici arcaiche a questo comportamento etico? E’ stupefacente osservare quanto in antico il senso di colpa verso il consumo dei mammiferi avesse originato strategie di accostamento culturale complesso al problema.

Nell’elogio dell’abbondanza del creato, gli uomini primitivi includevano animali sacri e, in misura minore, bestie da macello. Se tutti, componevano un fitto insieme di varietà, singolarmente, a livello di specie, erano oggetto di tabù o di libertà di consumo.

E gli animali più rappresentati non erano quelli che finivano sul fuoco, quanto quelli dominati da una sorta di fiato divino e di analogie con l’umano. I rapporti complessi con questo bestiario erano certamente regolati – come dimostrano popolazioni che nel Novecento, disponevano ancora di sciamani – dai sacerdoti stessi che evidentemente, consultando anche gli anziani, pianificavano le immagini delle pitture rupestri, quanto i teologi erano fonte delle rappresentazioni sacre nel mondo cristiano.

Uno studio, appena uscito, pubblicato sul Journal of Anthropological Archaeology, ha analizzato le immagini di arte rupestre del Cerro Azul – una serie di affioramenti rocciosi e gallerie che hanno costituito il fondo su cui sono state dipinte e incise opere d’arte rupestre per migliaia di anni – e i resti dei cibi animali che gli archeologi hanno trovato presso i luoghi in cui soggiornavano le popolazioni che hanno realizzato le pitture parietali stesse.

“Questi siti di arte rupestre includono le prime prove di esseri umani nell’Amazzonia occidentale, risalenti a 12.500 anni fa”, afferma il dott. Mark Robinson, professore associato di archeologia presso il Dipartimento di archeologia e storia di Exeter. “In quanto tale, l’arte è una straordinaria intuizione su come questi primi coloni comprendevano il loro posto nel mondo e come formavano relazioni con gli animali”.

Nell’ambito dello studio, i ricercatori hanno anche esaminato resti zooarcheologici provenienti da scavi condotti nelle vicinanze, che indicano che i primi coloni avevano una dieta varia a base di pesci, mammiferi e rettili. Tuttavia, le proporzioni delle ossa degli animali non corrispondono alla frequenza degli animali raffigurati nell’arte, il che implica che gli artisti antichi non raffigurassero gli animali di cui si nutrivano più frequentemente.

Prendiamo i pesci, i cui resti costituiscono la maggioranza degli scarti di consumo trovati dagli studiosi “Nonostante le lische di pesce rappresentino il 58,8% del NISP faunistico – scrivono gli studiosi – ii pesci sono raramente raffigurati nell’arte, apparendo solo in due pannelli e rappresentando solo il 2,5% delle immagini figurative. Questo numero si riduce (all’1,3% delle immagini figurative) se si considera che otto dei dieci pesci raffigurati a El Más Largo sono raggruppati insieme come parte di quella che sembra essere una scena singola ben definita”.

“I cervi sono gli animali più rappresentati nell’arte rupestre, rappresentando l’11,5% delle immagini di animali (questo numero è probabilmente più alto, poiché molti dei Quadrupedi sconosciuti potrebbero anche rappresentare cervi), ma rappresentano solo lo 0,62% del NISP zooarcheologico (i rifiuti, ndr). Nonostante gli armadilli siano i resti faunistici più presenti nei rifiuti dei pasti (30,4% del NISP) (in gran parte riflettendo la conservazione preferenziale e l’identificabilità degli osteodermi), le raffigurazioni nell’opera d’arte sono limitate a una singola identificazione provvisoria”.

Esisteva quindi un rapporto tra il mondo animale e uomini, rispetto al quale anche noi non siamo stati immuni, a livello di gerarchia valoriale. Gli animali – cioè i mammiferi dotati di un’anima – erano oggetto di ritualizzazione del sacrificio e inducevano una sorta di senso di colpa all’atto del consumo – rinverdito dalla stagione del vegetarianesimo etico – che i livelli bestiali meno affini con l’uomo – pesci, uccelli – suscitavano con meno intensità.

“Il contesto dimostra la complessità delle relazioni amazzoniche con gli animali, sia come fonte di cibo che come esseri venerati, che avevano connessioni soprannaturali e richiedevano complesse negoziazioni da parte degli specialisti dei rituali”, ha affermato il dott. Robinson.

Sono state catalogate complessivamente 3.223 immagini utilizzando la fotogrammetria dei droni e la fotografia tradizionale. Le immagini sono state categorizzate in base alla loro forma, con le immagini figurative che sono state le più comuni, contribuendo al 58% del totale. Più della metà di queste riguardavano animali. Sono stati identificati almeno 22 animali diversi, tra cui cervi, uccelli, pecari, lucertole, tartarughe e tapiri.

La varietà di animali rappresentati nell’arte e nei resti archeologici dimostra una profonda conoscenza e sfruttamento di una moltitudine di ambienti della regione, tra cui savana, foreste allagate e fiumi. “Avevano una conoscenza approfondita dei vari habitat della regione e possedevano le competenze necessarie per seguire e cacciare gli animali e raccogliere le piante da ognuno di essi, come parte di un’ampia strategia di sussistenza”, ha dichiarato il dott. Javier Aceituno della Universidad de Antioquia, Medellín.

Fonti: Animali della Serranía de la Lindosa: esplorazione della rappresentazione e della categorizzazione nell’arte rupestre e nei resti zooarcheologici dell’Amazzonia colombiana. https://doi.org/10.1016/j.jaa.2024.101613

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa