Archeologia. Questo è d’oro! Scoperto nel fango di un sarcofago dell’epoca romana, privo di resti umani. Preziosissima. Come fu prodotta? Chi la indossava? E dov’è finito il proprietario? Viaggio nel mistero

Certo resta il mistero. Quando gli archeologi, nella necropoli, aprono il sarcofago, lo trovano pieno di terra. Ma qualcosa, in esso riluce.

Sono tratti, linee luminose. Alcune, intrecciate, ricordano forme di favolosi disegni. Il sole riflette la propria luce nel materiale incorrotto. Eccolo, lo vediamo lì sotto, alla nostra sinistra. “Dobbiamo fare un microscavo, portare tutta la terra in laboratorio. E delicatamente recuperare questa stoffa d’oro” dice il direttore del cantiere archeologico.

Nel cuore della Francia, ad Autun (Saona e Loira), un’importante scoperta archeologica ha riportato alla luce un manufatto eccezionale: un mantello o una coperta di tessuto purpureo intessuto con fili d’oro, rinvenuto in una delle tombe della necropoli paleocristiana di Saint-Pierre-l’Estrier. Per intenderci, siamo ai tempi dei romani, al IV secolo. Ora una piccola parte di questo tessuto viene mostrato in anteprima, in una mostra. E’ oro e viola.

Questo straordinario reperto, tra i più grandi tessuti aurei mai scoperti, viene presentato in anteprima in forma frammentaria al pubblico nella mostra Da un mondo all’altro, Augustodunum dall’Antichità al Medioevo, e sarà esposto nella sua interezza presso il Musée du Quai Branly, nell’ambito della rassegna Au fil de l’or, fino al 6 luglio 2025. “Gravemente degradato dalle ripetute infiltrazioni all’interno della bara, ora non contiene quasi più materia organica e sono conservati solo i fili d’oro. – dicono gli archeologi dell’Inrap – Alcuni campioni sono estremamente fini, con 100 fili per centimetro (vale a dire un diametro di 100 micron per filo) e scaglie d’oro larghe circa 300 micron. Questi fili d’oro sono la prova di un tessuto lussuoso, realizzato con precisione e attenzione ai dettagli”. A chi apparteneva? Esattamente non si sa. Quel che è certo è il fatto che, lì dentro, non sono stati trovati resti umani. Forse degradati fino a scomparire, affermano gli archeologi. Ma le ricerche sono ancora in corso. Il defunto potrebbe essere stato recuperato e traslato in una chiesa. Era forse un personaggio in odore di santità e così le sue spoglie furono recuperate, senza che l’avidità portasse al recupero della stoffa? Non ci sono certo prove. Ma ciò che pare non totalmente consueto è che si siano conservate ampie tracce di porpora e che un corpo sia invece letteralmente scomparso. Ma lo vedremo, successivamente.

Un ritrovamento di eccezionale valore

Tomba 47 e il suo sarcofago di piombo riempito con circa quindici centimetri di terra prima della rimozione delle zolle contenenti il ​​tessuto d’oro. © Carole Fossurier, Inrap

Nel corso di una campagna di scavi condotta dall’Inrap (Institut national de recherches archéologiques préventives) in collaborazione con il servizio archeologico della città di Autun, sono state esplorate oltre 230 tombe appartenenti a un’antica necropoli cristiana. Tra i vari reperti rinvenuti- gioielli in oro, spille in giaietto e ambra, un raffinato vaso diatrete, capolavoro dell’arte vetraria romana – uno dei più sorprendenti è stato proprio il grande tessuto dorato. Questo giaceva all’interno di una bara di piombo risalente al IV secolo, testimonianza di un sepolcro destinato a un individuo di alto rango.

Resti di una trama impregnata di una tinta viola (probabilmente porpora) composta da fili d’oro e fibre intrecciate. © Fabienne Médard / Anatex
Resti di un intricato intreccio di fili d’oro intrappolati in sedimenti impregnati di colore viola (resti di tintura tassellata diluita) dalla sepoltura 43 © Fabienne Médard / Anatex

La necropoli delle élite di Autun

La necropoli di Saint-Pierre-l’Estrier, oggetto dello scavo da parte dell’Inrap, fu attiva tra il III e il V secolo, rappresentando un importante luogo di sepoltura per i primi cristiani della città. Le fonti storiche suggeriscono che alcuni dei primi vescovi di Autun vi abbiano trovato riposo eterno, ma accanto alle tombe cristiane si trovano anche sepolture appartenenti ad altre tradizioni religiose. Le caratteristiche delle tombe scavate indicano con chiarezza la loro appartenenza alle élite della società gallo-romana: sarcofagi in pietra e bare di piombo, manufatti di lusso e, in particolare, la presenza di fili d’oro in sei sepolture – cinque in casse di piombo e una in bara di legno.

Autun, situata nel cuore della Borgogna, è una delle più antiche città di Francia. Fondata al tempo dell’imperatore Augusto con il nome di Augustodunum, serviva come capitale romana per il popolo gallico degli Edui, che avevano precedentemente Bibracte come centro politico. Durante l’epoca romana, la città poteva ospitare tra i 30.000 e i 100.000 abitanti, secondo diverse stime.

Oggi, Autun è un comune francese di 15.853 abitanti situato nel dipartimento della Saona e Loira nella regione della Borgogna-Franca Contea.

La città conserva ancora importanti reliquie dell’epoca romana, tra le quali spicca il teatro, la cui cavea ha un diametro di circa 150 metri.

Inoltre, appunto, la necropoli di Saint-Pierre-l’Estrier ad Autun ospita alcune delle più antiche sepolture cristiane presenti nella Gallia settentrionale, risalenti al IV secolo. Questi elementi testimoniano l’importanza storica di Autun sia in epoca romana che paleocristiana.

Un tessuto prezioso e resistente

Intreccio di fili d’oro dalla tomba 47 © Fabienne Médard / Anatex

La bara di piombo che conteneva il tessuto si era riempita di terra fino a una profondità di circa quindici centimetri. Sebbene non siano stati ritrovati resti ossei – probabilmente dissoltisi nel tempo? – i frammenti di stoffa recuperati hanno rivelato tratti di straordinaria conservazione e una qualità di tessuto elevatissima. Gli esami hanno confermato l’uso del colore porpora, una tinta rara e costosa, tradizionalmente associata alla nobiltà e all’alta aristocrazia dell’epoca romana.

Tessuto dorato attaccato a un pezzo di terra. © Denis Gliksman, Lucie Marquat, Inrap

Il tessuto, che originariamente ricopriva quasi interamente la superficie interna della bara, si è conservato in modo frammentario a causa delle infiltrazioni di acqua che nel corso dei secoli hanno deteriorato le componenti organiche, lasciando intatti i sottilissimi fili d’oro. Grazie all’impiego di tecniche avanzate di conservazione, i ricercatori hanno potuto recuperare dettagli sorprendenti: i fili dorati, ottenuti avvolgendo lamelle d’oro attorno a un’anima tessile, presentano una straordinaria finezza con una densità – come dicevamo all’inizio – di 100 fili per centimetro e una larghezza media delle lamine auree di circa 300 micron.

Nel periodo romano e tardo antico, la produzione di fili d’oro per i tessuti era un’arte raffinata che combinava conoscenze metallurgiche avanzate con straordinarie abilità artigianali. I tessuti d’oro erano appannaggio delle élite, utilizzati per abiti imperiali, vesti ecclesiastiche e decorazioni sontuose.

Le tecniche per ottenere fili d’oro

  1. Battiloro e la laminazione dell’oro
    L’oro, già fuso in spessori finissimi, in uno stampo, veniva ridotto in sottilissime lamine attraverso un processo di martellatura. Questa tecnica, nota fin dall’epoca egizia, era affinata dai Romani, che riuscivano a ottenere foglie d’oro dello spessore di pochi micron. L’oro era spesso legato con argento o rame per aumentarne la resistenza e ridurre la malleabilità eccessiva.
  2. La filatura dell’oro su anima di altro materiale
    Poiché un filo d’oro puro sarebbe stato troppo morbido e fragile, gli artigiani ricorrevano a un metodo ingegnoso:
    • Sottilissime strisce di foglia d’oro venivano avvolte a spirale intorno a un filo di seta o lino, creando un effetto dorato senza usare grandi quantità di metallo prezioso.
    • Questo processo, noto come filatura a spirale, era comune nel mondo romano e tardo antico e permise la produzione di tessuti scintillanti senza il peso e il costo di un filo d’oro pieno.
  3. L’uso del filo d’oro fuso e trafilato
    Un’altra tecnica prevedeva la produzione di fili metallici sottili tramite la trafila, un utensile con fori progressivamente più piccoli attraverso i quali veniva passato l’oro fuso, ottenendo così fili di diametro sempre minore. Tuttavia, per i tessuti si preferiva l’oro laminato e avvolto su seta, poiché garantiva maggiore flessibilità.

Applicazioni e utilizzo nei tessuti

I tessuti con fili d’oro venivano impiegati per:

  • Abiti imperiali: L’oro nei tessuti era un simbolo del potere divino dell’imperatore. Le vesti porpora con decorazioni dorate erano riservate alla famiglia imperiale.
  • Paramenti ecclesiastici: Dal IV secolo, con l’ascesa del cristianesimo, i tessuti dorati iniziarono a essere usati per vesti liturgiche, esaltando la sacralità dei celebranti.
  • Decorazioni funerarie e reliquie: Spesso i tessuti con fili d’oro erano usati per avvolgere reliquie o per corredi funebri aristocratici.

Eredità della tecnica

Queste tecniche rimasero in uso per tutto il Medioevo e oltre, influenzando l’arte tessile bizantina e islamica, che le portarono a livelli di eccellenza ancora maggiori. Oggi, gli antichi fili d’oro sono ancora studiati nei resti di tessuti conservati in sepolture e reliquiari, testimoniando la straordinaria maestria degli artigiani romani e tardo antichi.

Tecnologie per la conservazione

Per garantire la salvaguardia di un reperto tanto prezioso, gli archeologi hanno adottato un protocollo di intervento innovativo. Dopo l’estrazione dal terreno, le zolle contenenti il tessuto sono state immediatamente refrigerate per prevenire la proliferazione di muffe. Successivamente, sono state sottoposte a esami tramite tomografia computerizzata presso il laboratorio Cetso di Rennes, permettendo di ottenere immagini tridimensionali dettagliate prima della fase di scavo vero e proprio. Il processo di asciugatura, durato un anno, ha consentito di preservare le fibre residue ed evitare danni derivanti da sbalzi termici improvvisi.

Un capolavoro tessile: lusso e raffinatezza

Il tessuto dorato di Autun rappresenta un manufatto di straordinaria raffinatezza artistica e tecnica. Le analisi indicano che esso era decorato con motivi geometrici e curvilinei, probabilmente ispirati a elementi vegetali e floreali, ottenuti attraverso la tecnica dell’arazzo. La qualità e la complessità della lavorazione suggeriscono che il tessuto appartenesse a un personaggio di altissimo rango, forse un dignitario o un ecclesiastico di spicco.

Un patrimonio da ammirare

Grazie al supporto del gruppo HANES (Dim) e al finanziamento della Fondation Solidarités by Crédit Agricole Centre-est e della fondazione Crédit Agricole Pays de France, è stato possibile proseguire le operazioni di restauro e studio del tessuto. Dopo essere stato esposto parzialmente nel 2022 presso il Museo Rolin di Autun e nel 2024 al Museo Nazionale di Archeologia, il tessuto sarà visibile nella sua interezza nella mostra Au fil de l’or presso il Musée du Quai Branly, offrendo al pubblico un’occasione unica per ammirare uno dei più affascinanti tesori tessili dell’epoca tardo-antica.

Questa scoperta non solo arricchisce il panorama della ricerca archeologica, ma getta anche nuova luce sulle pratiche funerarie, le gerarchie sociali e le tecniche tessili dell’antichità, sottolineando ancora una volta l’importanza di Autun come centro di cultura e potere tra il mondo romano e il Medioevo.

Perché il corpo è scomparso?

Studi generali su resti umani antichi hanno evidenziato processi di alterazione microbica e ricristallizzazione del tessuto osseo. È quindi possibile che, nel corso di 1700 anni, le ossa si siano decomposte al punto da non lasciare tracce visibili. Possibile, ma da verificare, come stanno facendo gli archeologi francesi. Ci si può domandare se un corpo possa volatilizzarsi e possano rimanere tracce di tessuto e di colore che hanno un’origine organica.

Conservazione del colore porpora del mantello

La porpora, specialmente quella ottenuta dal murice, era una tintura pregiata nell’antichità, nota per la sua resistenza e stabilità nel tempo. Il processo di tintura prevedeva l’uso di mordenti come l’allume di rocca, che fissavano il colore alle fibre tessili, rendendolo particolarmente durevole

In condizioni anaerobiche, come quelle all’interno di una bara di piombo coperta da terreno fangoso, la degradazione delle fibre tessili può essere rallentata, permettendo al colore di conservarsi per periodi prolungati. Pertanto, è plausibile che il mantello abbia mantenuto tracce del suo colore originale.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa