di Federico Bernardelli Curuz
[I]ntellettuale e poliedrico studioso di alchimia e teosofia, August Strindberg (1849‑1912) pose le fondamenta, grazie ai suoi particolari ed eccentrici esperimenti pittorici e fotografici, all’Astrattismo, che avrebbe trovato in Vasilij Kandinskij uno dei principali interpreti e propugnatori. Di fatto, il drammaturgo cercò materiale psichico e la voce luminosa dell’universo ‑ secondo i principi della teosofia ‑, divenendo un antesignano di un orientamento fondamentale nello sviluppo dell’arte novecentesca.
Nato a Stoccolma da un commerciante e da una cameriera, Strindberg insegnò dapprima in una scuola elementare. Nel 1870 si iscrisse all’università di Uppsala, che abbandonò però dopo due anni per gravi problemi finanziari. Tornato nella città natale, trovò collocazione come giornalista nel quotidiano Dagens Nyeter e riuscì inoltre ad ottenere l’incarico di assistente della Biblioteca reale, attività che svolse fino al 1882 e che gli permise di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze letterarie.
Iniziò a dipingere quadri che puntavano su fusioni cromatiche e su un’innovativa ricerca materica: il colore si rilevava con voluminosi grumi di tempera che andavano a contrastare con il fondale liscio. Opere che sembravano trarre vigore dal mondo onirico, dall’anima mundi e dalle energie invisibili dell’universo, soggetti che lasciarono attoniti i suoi contemporanei, legatissimi alla compiutezza dell’espressione figurativa. Nel frattempo, Strindberg si era sposato ed aveva avuto tre figli. Nel ’79 andò in bancarotta e, nello stesso anno, pubblicò il suo primo romanzo, La camera rossa.
Nel 1883 lasciò il proprio Paese per visitare l’Europa. Tornerà definitivamente a Stoccolma solo nel 1899, gravato da una complicata situazione familiare ‑ sarà presto lasciato dalla moglie e nel futuro affronterà altri due matrimoni ‑. In questo periodo si concentrò ‑ oltre che sulla scrittura e sulla pittura ‑ sulla fotografia, una tecnica di rappresentazione che lo affascinava, soprattutto nell’ambito dell’individuazione di elementi extracorporei e metafisici.
Effettuò, in tal senso, esperimenti fotochimici realizzando ritratti attraverso una macchina fotografica, di sua concezione, con obiettivo non levigato, per poter assorbire sulla lastra l’anima più vera del soggetto da effigiare. Pure di straordinario interesse furono i lavori dedicati al cielo stellato, ottenuti mediante lastre di incisione immerse nel liquido di sviluppo, lasciate poi impressionare per tutta la notte, così da catturare ‑ questa era la sua intenzione ‑ tracce di luce causate dalle onde elettromagnetiche generate dagli astri.
Il piano di impressione risultava dunque tempestato da piccoli punti e da linee curve dagli intensi colori blu, arancio e giallo. Erano le Celestografie. Per Strindberg, la conferma di una teoria secondo la quale “gli spiriti sono diventati come noi realisti e mortali, […] perché in certi giorni sul guanciale si disegnano terrificanti mostri, draghi gotici, idre. […] Ecco una nuova arte secondo natura! Chiaroveggenza naturalistica! Perché imprecare contro il naturalismo, se questo, gravido di possibilità di crescita e di sviluppo, introduce una nuova arte? Ritornano gli dei”.