Balla e le chiocciole, il manifesto della cucina futurista

Corre l’anno 1922. Al termine di una visita allo studio di Giacomo Balla, Alberto Cappa, futuro cognato di Marinetti, così descrive l’atelier su “Rassegna dell’Arte e del Lavoro”: “E’ la fucina di un mago del colore: quadri, paraventi, lampade pendono da ogni dove in una mischia di toni.



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di Gualtiero Marchesi

[C]orre l’anno 1922. Al termine di una visita allo studio di Giacomo Balla, Alberto Cappa, futuro cognato di Marinetti, così descrive l’atelier su “Rassegna dell’Arte e del Lavoro”: “E’ la fucina di un mago del colore: quadri, paraventi, lampade pendono da ogni dove in una mischia di toni. Balla ha strappato alla natura il segreto della luce e del colore. Luce e colore: cioè il segreto della vita… E ci ha dato e ci dà modelli originalissimi e geniali di nuove lampade, sedie, tavoli, scialli, cuscini; quanto insomma serve per l’arredamento della casa e della persona”. Risale con ogni probabilità allo stesso anno il “Motivo per stoffa con linee andamentali”, tempera e matita nera su carta oggi di proprietà della Fondazione Biagiotti-Cigna. A confermarci ancora una volta lo straordinario interesse di questo maestro del Futurismo per le potenzialità creative insite nelle espressioni del quotidiano. Come – è il caso in questione – la moda. Ma anche nell’ambito della gastronomia il suo movimento si rivelò tutt’altro che distratto o supponente. Già nel maggio 1920 fu pubblicato a Roma un primo manifesto di “culinaria futurista”, precedente di ben dieci anni il celebre “Manifesto della cucina futurista” di Marinetti, apparso il 28 dicembre 1930 sulla “Gazzetta del Popolo” di Torino. E frequenti erano, al tempo, le “cene futuriste”, dove – tra gli Zang Tumb Tuuum dei poeti improvvisatori ed i concerti a base dei componenti di una o più delle sei “famiglie di rumori” elencate da Luigi Russolo nel suo scritto del 1913 – si sperimentavano sapori nuovi e nuovi profumi, vivande giocate su accostamenti talvolta vertiginosamente improbabili, sognando un mondo retto da spiriti bellicosamente tesi al superamento d’ogni tradizionalismo, non fosse che quello contenuto in una forchettata di maccheroni. Anche il “Motivo per stoffa” di Balla si inserisce in tale contesto rinnovatore. Ma lo fa all’insegna della carica di brillante, vivida giocosità che è propria dell’artista (come non pensare, ad esempio, alle costruzioni per masse e volumi delle “Compenetrazioni”?). Il ritmo, il dinamismo delle linee che si rincorrono secandosi s’incontra con la fantasia estrosa degli accostamenti di colore, dando corpo a un tripudio di gusci policromi.

Mi sono ispirato a questo dipinto per il piatto. Il riso, mantecato al burro d’aglio, si fa culla verde per le lumache: il cui brodo di cottura, ridotto e riversato sul riso stesso, riverbera quel verde di lampi bruniti. Loro – le lumache -, in compagnia di spicchi d’aglio bollito e tartufi neri tagliati ad olivella vanno a popolare la campitura smeraldina, arricchendola di microsculture dalle tinte contrastanti. L’omaggio è ad un futurismo ilare e leggero. Fatto di chiaroscuri, e di onde armoniose. Il futurismo di Giacomo Balla, appunto.

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