Il critico d’arte Gianni Mercurio ha dedicato studi e mostre al fenomeno Basquiat. L’abbiamo incontrato chiedendo di porre in luce per i lettori di Stile Arte snodi e cause del processo creativo dell’artista.
“Uso le parole come fossero pennellate” disse nel 1985 Basquiat. Fu proprio la sua misteriosa poesia a catturare inizialmente l’attenzione su di lui. Vuole commentare questa affermazione dell’artista e tracciare un profilo sintetico del breve ma intensissimo arco dell’esperienza di colui che è considerato uno dei grandi protagonisti della storia dell’arte americana del ’900?
La pittura di Jean-Michel Basquiat si basa sull’utilizzo di un lessico fatto di parole, immagini, colori e segni, composti in un’armonia ritmica, che svela un’assonanza tra l’espressione visiva e quella musicale. Egli condivise con i graffitisti lo stile di vita, trasgressivo e rivoluzionario, e la tecnica, pur giungendo a risultati espressivi molto distanti dai loro. Inizialmente le sue preoccupazioni sono prevalentemente letterarie: Basquiat scrive, compone vere e proprie frasi, utilizzando la logica degli aforismi. Il suo linguaggio, apparentemente privo di contenuto narrativo, ma ridondante di allusioni e richiami oscuri, esercita un grande fascino sulla comunità degli artisti di New York, che ne sono rapidamente sedotti. Basquiat denota da subito un “istinto artistico” allo stato puro. Nel 1981 si tiene la prima mostra di opere in cui alle parole vengono accostate immagini: egli elabora suggestioni provenienti dal mondo delle “leggende”, colte dalla storia, dalla medicina, dalla musica, dai riti vudù, dalla televisione, dai fumetti… in particolare ha a cuore la questione dei neri d’America, ne abbraccia le rivendicazioni contro la cultura bianca.
Basquiat è stato il primo e probabilmente l’unico artista di colore affermatosi a livelli così alti di mercato e critica. Che peso ebbe per lui essere un artista “diverso”, diverso appunto perché nero?
In verità, molti dei detrattori lo hanno accusato di avere deliberatamente “sfruttato” il suo essere nero. Gli anni Ottanta sono stati un periodo molto particolare, in cui per la prima volta si osserva una grande aggressività comunicativa. Il mondo scopre il potere della pubblicità, della comunicazione che si nutre di idee trasgressive, destabilizzanti, che ha successo quando propone modelli geniali, stimolanti, nuovi… Per questo motivo si può pensare che una delle ragioni del successo di Basquiat sia rintracciabile anche nel suo essere “diverso”.
Cosa si può rispondere a chi punta il dito accusatore verso un mercato che sull’onda di un’economia opulenta, come è stata quella degli anni Ottanta, produce simili “fenomeni” nella storia dell’arte?
E’ vero che in certi periodi, in cui vi è una grande liquidità, dove magari la Borsa altalenante produce disorientamento, gli investitori possono dare un grande impulso al mercato dell’arte. L’economia esuberante degli anni Ottanta ebbe in New York il suo fulcro, gli artisti americani in quel periodo iperproducevano, per soddisfare un mercato molto avido. Tuttavia l’andamento economico fluttuante tende nel tempo a ridimensionare ogni cosa: e così, come nel mondo dell’alta finanza solo le azioni più forti resistono agli sbalzi e alle crisi della Borsa (basti pensare al declino a cui si è assistito negli anni Novanta), in quello dell’arte restano al vertice solo i migliori. Nel caso di Basquiat ci troviamo evidentemente di fronte a una conferma indiscutibile, una “blue chip” del settore.
Il numero delle opere di Basquiat non è elevato. Quali sono le ragioni?
Basquiat produsse molto, è altrettanto vero che molto distruggeva, come ci si può aspettare da un carattere fragile e ribelle come il suo, oltretutto alterato dalla droga. Oggi ritengo che non ci siano in circolazione molto più di 250 dipinti e 200 disegni, una produzione realizzata in soli sette anni di folgorante carriera. (Stile Arte, o1-03-2002
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