[T]re terrecotte grottesche risalenti alla fine del XV secolo – periodo nel quale Leonardo da Vinci visse e operò presso la corte del Ducato di Milano – ed esposte nella sezione veneta del Museo di Santa Giulia risultano di inequivocabile fonte leonardesca. Nella didascalia delle opere non si fa riferimento al grande maestro, ma Maurizio Bernardelli Curuz sostiene che le sculture risentirono certo l’eco del genio di quella stella di prima grandezza che, nel volgere di poco tempo, aveva cancellato di fatto ogni avversario, divenendo anche indiretta causa dell’allontanamento del bresciano Foppa, il quale per anni aveva dominato l’orizzonte milanese.
“Le tre terrecotte – afferma Bernardelli Curuz – dimostrano la rapidità con cui pure opere minori di Leonardo, quali i disegni sulle espressioni, si diffusero nella nostra regione, anche con finalità decorative. Bresciamusei e la direzione dei Civici musei stanno pensando ad un progetto di valorizzazione di queste decorazioni architettoniche, nell’ambito di un progressivo intervento di ampliamento degli apparati esplicativi e del sonoro in cuffia. Sarà un’occasione importante per aprire uno scenario sul cosiddetto ‘Leonardo psicologo’”.
Il rilievo compiuto da Bernardelli Curuz si basa sui riscontri dei tratti fisionomici delle sculture artigianali con i disegni contenuti nei codici leonardeschi. Sempre attento, secondo il dettato di Leon Battista Alberti, all’espressione umana quale “moto dell’anima”, Leonardo, nei disegni, arrivò a caricare i suoi personaggi sino all’esasperazione e alla deformazione comico-grottesca, evidentemente per poter disporre di una vasta gamma di elementi espressivi, dai più tenui e delicati ai più complessi.
“Poi moverà l’istoria l’animo quando gli uomini ivi dipinti molto porgeranno suo proprio movimento d’animo – scriveva nel 1436 l’Alberti nel De Pictura. – Interviene da natura, quale nulla più che lei si truova rapace di cose a sé simile, che piagniamo con chi piange, e ridiamo con chi ride, e doglianci con chi si duole. Ma questi movimenti d’animo si conoscono dai movimenti del corpo. E veggiamo quanto uno atristito, perché la cura estrigne e il pensiero l’assedia, stanno con sue forze e sentimenti quasi balordi, tenendo se stessi lenti e pigri in sue membra palide e malsostenute. Vedrai a chi sia malinconico il fronte premuto, la cervice languida, al tutto ogni suo membro quasi stracco e negletto cade. Vero, a chi sia irato, perché l’ira incita l’animo, però gonfia di stizza negli occhi e nel viso, e incendesi di colore, e ogni suo membro, quanto il furore, tanto ardito si getta. Agli uomini lieti e gioiosi sono i movimenti liberi e con certe inflessioni grati. Dicono che Aristide tebano equale ad Appelle molto conoscea questi movimenti, quali certo e noi conosceremo quando a conoscerli porremo studio e diligenza”.
Può sembrare strano che nasi adunchi e bocche sproporzionate abbiano colpito l’immaginazione di un genio come Leonardo, costantemente teso al raggiungimento della perfezione, con quell’amore nei confronti del volto umano che lo portava a consigliare agli artisti di lavorare ai ritratti in presenza di una luce non troppo forte, affinché le ombre non usassero violenza alla fisionomia. Eppure era così, come testimoniano i suoi innumerevoli disegni grotteschi.
Scrive Johannes Nathan in un saggio per la monografia leonardiana curata da Frank Zollner (Taschen) che la mole di schizzi del genere “documenta l’originale interesse di Leonardo per la fisiognomica”.
Ma c’è dell’altro: tale interesse è solo il punto di partenza di un’analisi ben più ampia che il toscano si era imposto di compiere. Leonardo sa che la figura umana occupa il primo posto e che la “resa del volto e della mimica facciale richiede una competenza tutta particolare”.
Non basta, secondo lui, saper riprodurre i caratteri somatici ideali; è dovere avvicinarsi alla realtà il più possibile, e per farlo serve un metro di comparazione attendibile. Se si paragonassero i tratti di un uomo con quelli di un dio il risultato sarebbe imperfetto, poiché il passaggio dall’ideale positivo al reale è arduo: si deve invece compiere il percorso inverso, partendo dal confronto con il grottesco.
Ecco allora che i visi sgraziati vengono posti vicino, in un’analisi diretta, a quelli di giovani prestanti, ed è proprio in questa contrapposizione che il pittore riesce a raggiungere un ideale di verità nei suoi personaggi “ufficiali”.
Afferma Leonardo che “si debbe mischiare insieme vicinamente i retti contrari, perché danno gran paragone l’uno e l’altro; e tanto più quanto saranno più propinqui, cioè il brutto vicino al bello, e ’l grande al piccolo e ’l vecchio al giovane, il forte al debole; e così si varia quanto si po’ e più vicino”.
Il pittore stesso suggerisce a chi volesse intraprendere la sua professione di scegliere e combinare i dettagli migliori scaturiti dall’analisi dei caratteri dei vari tipi umani. Si tratta insomma di una metodologia di lavoro innovativa che trova riscontro in alcuni disegni dell’artista, il quale accosta una fronte piatta o una fronte ricurva ad un naso adunco, camuso o aquilino, a sua volta abbinato ad un mento sfuggente o pronunciato.
Da queste analisi grafiche si giunge infine alla realizzazione del modello “ideale”.
I disegni grotteschi di Leonardo hanno avuto una funzione fondamentale anche per autori di epoche successive, come ad esempio Hieronymus Bosch, che nell’Incoronazione di spine trae ispirazione dal Foglio di studio con cinque teste del maestro toscano.
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