Non tutto ciò che chiamiamo comunemente affresco è tale. L’evoluzione delle conoscenze rispetto alle tecniche e alle consuetudini antiche pone in luce, con sempre maggior frequenza, dipinti parietali realizzati a secco -cioè su intonaco già ampiamente solido – piuttosto che con la tecnica dell’affresco che, per essere tale, prevede la realizzazione su intonaco appena gettato. Tecnicamente l’affresco rientra nella categoria più ampia dei dipinti murali o parietali, che possono però essere di diversa natura. Numerose opere furono realizzate sul muro secco con tempere, con tecniche miste – come il cenacolo di Leonardo – o ad olio o attraverso l’encausto. Studi approfonditi su presunti affreschi, realizzati soprattutto in Lombardia e nell’Italia settentrionale, pongono in luce una presenza rilevante di opere murali realizzate con tecniche estranee all’affresco.
Una bella mostra, curata da Claudio Spadoni, direttore scientifico del Mar, e da Luca Ciancabilla, ricercatore del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Bologna (sede di Ravenna), ebbe il merito di mettere in luce, nel 2014, storia e tecnica dello strappo d’affresco dai primi masselli cinque-seicenteschi, ai trasporti settecenteschi, compresi quelli provenienti da Pompei ed Ercolano, agli strappi ottocenteschi, fino alle sinopie staccate negli anni Settanta del Novecento.
Più di cinquant’anni or sono Roberto Longhi sentì per primo, anche sull’onda del successo della prima “Mostra di affreschi staccati” che si tenne al forte Belvedere di Firenze (1957), la necessità di allestire un’esposizione che potesse ripercorrere la secolare storia e fortuna della pratica del distacco delle pitture murali, una storia del gusto, del collezionismo, del restauro, e tutela di quella parte fondamentale dell’antico patrimonio pittorico italiano.
Risalgono ai tempi di Vitruvio e di Plinio le prime operazioni di distacco, secondo una tecnica che prevedeva la rimozione delle opere insieme a tutto l’intonaco e il muro che le ospitava. Il cosiddetto “massello”, che favorì il trasporto a Roma di dipinti provenienti dalle terre conquistate altrimenti inamovibili, dopo secoli di oblio trovò nuova fortuna a partire dal Rinascimento – nel nord come nel centro della Penisola – favorendo la conservazione ai posteri di porzioni di affreschi che altrimenti sarebbero andati perduti per sempre. Così, in un arco temporale compreso fra il XVI e il XVIII secolo, vennero traslate, tra le altre opere, la Maddalena piangente di Ercole de Roberti della Pinacoteca Nazionale di Bologna, Il gruppo di angioletti di Melozzo da Forli dei Musei Vaticani, La Madonna della Mani del Pinturicchio: opere che furono mostrate alla mostra ravennate.
Un modus operandi difficile e dispendioso, quello della rimozione del massello, che a partire dal secondo quarto del Secolo dei Lumi venne affiancato, e piano piano sostituito, dalla più innovativa e pratica tecnica dello strappo, prassi che tramite uno speciale collante permetteva di strappare gli affreschi e quindi portarli su di una tela. Una vera rivoluzione nel campo del restauro, della conservazione, ma anche del collezionismo del patrimonio murale italiano. Così mentre nelle appena riscoperte Ercolano e Pompei si trasportavano su nuovo supporto e quindi al Museo di Portici le più belle pitture murali dell’antichità, nel resto d’Italia si diffondeva la rivoluzione dello strappo.
Nulla sarebbe stato più come prima. Da quel momento in poi e fino a tutto il XIX secolo un numero cospicuo di capolavori della pittura italiana furono strappati, staccati dalle volte delle chiese, delle cappelle, dalle pareti dei palazzi pubblici e privati che le accoglievano da secoli, per essere trasportati in luoghi più sicuri, nelle quadrerie e nelle gallerie nobiliari e principesche d’Italia e di mezza Europa. Spesso infatti, dietro a conclamate esigenze conservative, si celavano implicite motivazioni collezionistiche.
Ma la prassi estrattista conoscerà la sua più fortunata stagione proprio nel secolo scorso, quando, a partire dal secondo dopoguerra, furono strappati e staccati un numero impressionante di affreschi. I danni provocati ad alcuni fra i principali monumenti pittorici italiani dai bombardamenti bellici, la convinzione che l’unica strada da percorrere per evitare che in futuro potessero reiterarsi danni irreparabili come quelli al Mantegna a Padova, Tiepolo a Vicenza, Buffalmacco e Benozzo Gozzoli a Pisa, fecero si che a partire dagli anni Cinquanta fosse avviata la più imponente campagna di strappi e stacchi che l’Italia abbia mai conosciuto. In caso di una nuova guerra, anche quella fondamentale porzione del nostro patrimonio pittorico si sarebbe potuta salvare ricoverandola nei rifugi antiaerei, come era stato fatto a partire dal 1940 con le tele e le tavole dei maggiori musei della nazione.
Prese quindi avvio la cosiddetta “stagione degli stacchi” e della “caccia alle sinopie”, i disegni preparatori che i maestri tre-quattrocenteschi avevano lasciato a modo di traccia sotto gli intonaci. Perché come nei due secoli precedenti, anche allora a evidenti e giuste ragioni conservative e di salvaguardia, se ne affiancarono altre, diremmo, di diverso interesse. Se nell’Ottocento era il collezionismo privato a favorire il trasporto degli affreschi, ora erano gli storici dell’arte e i musei della ricostruita Nazione a chiedere la diffusione su più ampia scala della tecnica estrattista. Questi interessati a studiare le opere grafiche, cioè le sinopie, di pittori che avevano lasciato assai poco al proposito su carta, gli altri a poter disporre di capolavori dell’arte italiana altrimenti inavvicinabili, rendendoli facilmente fruibili a tutti.
L’alluvione di Firenze fece il resto, mostrando al mondo intero la precarietà che condizionava la vita dei più straordinari affreschi italiani. Così, per sfuggire a morte certa, lasciarono per sempre il muro che li aveva custoditi da secoli Giotto, Buffalmacco, Altichiero, Vitale da Bologna, Pisanello, Signorelli, Perugino, Pontormo, Tiepolo trovando dimora in alcuni fra i più importanti musei della nazione e ora, per quattro mesi, nelle sale del Mar di Ravenna.
Ricordiamo ai lettori che lo strappo di un affresco antico non può essere realizzato autonomamente, senza autorizzazione da parte della Soprintendenza, anche se il dipinto murale è parte di un edificio di proprietà privata. Il rischio è di incorrere in pesanti sanzioni amministrative e penali poichè il dipinto antico risulta automaticamente un bene culturale tutelato dallo Stato. L’interesse pubblico è prevalente rispetto all’interesse del privato. L’orientamento è poi oggi nettamente contrario agli strappi di opere murali. Resta invece un interessante sperimentazione la realizzazione di un affresco e il relativo strappo. Consigliamo comunque di fotografare, se un affresco da noi realizzato imita l’antico, le operazioni di stesura per evitare che sia assolutamente fugato ogni dubbio, nel caso di una contestazione da parte degli organi dello Stato, sull’origine e la provenienza dell’opera.
COME SI PRODUCE UN AFFRESCO E COME SI STRAPPA. UN VIDEO TECNICO COMPLETO