In copertina: Venezia, in una foto di Alice Martinelli per Wikimedia commons
“Bisogna combattere l’eccessivo affollamento nelle città d’arte, ma senza alcun contributo d’accesso. Bisogna sfruttare tecnologie meno invasive per controllare i flussi, che ci sono, ma se penso ai tornelli mi viene in mente un aeroporto, non una città. Per il resto tutto è nelle mani dei sindaci, noi siamo qua per dare una mano”. ha detto il ministro della Cultura, Dario Franceschini, a margine della presentazione delle nuove sale delle Gallerie dell’Accademia a Venezia.
La città non è un museo, ma un luogo vitale che alimenta le proprie radici, vivendo. Appropriata e condivisibile la risposta data dal ministro Franceschini ai giornalisti che lo punzecchiavano, in attesa di innescare una polemica, attorno ai tornelli. Cioè attorno al “numero chiuso” e ai ticket pensati da Venezia per Venezia. Il ministro dice no, niente biglietto d’ingresso. Ed ha ragione. Un conto è il tornello per la metropolitana.
Ma il tornello ha qualcosa, in sé, di orribile, di punitivo, di ghigliottinesco e grandguignolesco. Venezia ne sarebbe rimasta soffocata. Direi che una città d’arte vive anche per il suo casino, e Venezia è un casino dalle sue origini. Non musealizziamo il mondo. E smettiamo di urlare per un bagno in laguna o in una fontana. Non impicchiamo – come vorrebbero i felpati perbenisti – i turisti che peccano. Le città sono luoghi di peccato e di infrazione che producono coralli. (curuz)