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Come il volto del figlio morto fu imprigionato nell’anello della matrona romana. Il viso era il suo. I segreti dell’immagine


L’anello dell’amore eterno: la toccante storia di Aebutia Quarta e suo Figlio Carvilio

Nell’antica Roma, tra i fasti e le tragiche vicissitudini della vita quotidiana, si cela una storia d’amore e dolore che ha sfidato il trascorrere dei secoli. Aebutia Quarta, una nobildonna romana, ha vissuto il profondo amore di ogni madre. Purtroppo, il destino ha portato via Carvilio, il suo amato figlio, a soli 18 anni, forse a causa di una setticemia o, secondo alcune teorie, a causa di avvelenamento.

Indagine antropometriche e tecniche hanno permesso di stabilire che il volto inciso nella gemma non era un viso di una divinità o un’immagine idealizzata del ragazzo. L’opera mostra, al contrario, il rifiuto di ogni idealizzazione e una ricerca realistica assoluta.

La madre voleva che fosse ricreato il volto del figlio amato perchè lui continuasse a guardarla e a colloquiare mutamente con lei.  E lei, la mamma, avrebbe portato quell’anello con sé per l’eternità. Le fu, infatti, trovato al dito, durante gli scavi in cui furono portate alla luce le loro due tombe.

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Com’era possibile che il volto di Carvilio trovasse perfetta rispondenza nell’anello?

L’artista che realizzò l’opera ebbe certamente la possibilità di avere davanti a sé, mentre intagliava e bulinava il cristallo di rocca e la cera della fusione, la maschera funebre del ragazzo. I tratti del volto furono probabilmente fissati nel calco, grazie al gesso che veniva steso sul volto del defunto, sul quale era stata posta una crema. Il gesso rapprendendosi, creava un negativo perfetto. Oliando la parte interna della maschera e gettando altro gesso era possibile ricavare il positivo: un volto perfetto. Le maschere erano indispensabili per mantenere vivo il ricordo del volto reale del defunto. Venivano tenute nella casa o potevano essere facilmente trasformate in sculture di bronzo o di marmo.

L’anello di Carvilio, in due diverse condizioni di luce. La gemma muta profondità e definizione della figura, con il mutare della fonte luminosa, creando anche una sorta di illusione di movimento, all’interno della gemma. Teniamo conto che una certa durezza del volto – oltre che rendere realisticamente le fattezze del giovane – viene amplificata dall’ingrandimento fotografico. L’anello andrebbe infatti visto a grandezza naturale perché per questo fine fu concepito. Sullo sfondo l’epigrafe sulla tomba del giovane romano

La storia di Aebutia e Carvilio ha trovato la sua testimonianza più toccante in questo gioiello prezioso, un anello che – appunto – contiene il volto delicatamente plasmato e cesellato di Carvilio. Oggi, questo anello, con il volto del giovane uomo, può essere ammirato “Museo Archeologico Nazionale di Palestrina e Santuario della Dea Fortuna”.

Il 2000 è stato un anno cruciale per questa storia,. Durante i lavori di rimozione di un traliccio, in un terreno privato vicino a Grottaferrata, è stata scoperta una tomba romana pressoché intatta risalente al I secolo d.C. All’interno della tomba, sono stati ritrovati due sarcofagi di marmo, uno con l’iscrizione “Carvilio Gemello” e l’altro con “Aebutia Quarta”. Sorprendentemente, i corpi erano ancora quasi intatti, conservati grazie all’antica pratica dell’imbalsamazione e alle particolari condizioni microclimatiche della tomba.

La tomba di famiglia è nota come “delle ghirlande” per due corone poste sui due corpi sepolti. Una rivelazione sorprendente è emersa grazie al lavoro del prof. Lorenzo Costantini, bioarcheologo del Museo dell’Arte Orientale di Roma.

Analizzando il polline presente nella tomba, è stato possibile stabilire che i fiori utilizzati per le ghirlande funebri erano viole, rose e lilium. Questa scoperta indica che madre e figlio – in anni diversi – sono morti all’inizio dell’estate, forse nella loro villa suburbana a Tusculum.

Aebutia aveva avuto due figli da matrimoni diversi. Carvilio era il figlio del suo primo marito, Tito Carvilio, della gens Sergia.

L’anello al dito di Aebutia è un pezzo di straordinaria bellezza. Sotto il raro cristallo di rocca, lavorato con maestria, è realizzato un mini-busto di Carvilio, un giovane a torso nudo. Questa microfusione crea un effetto luminoso, conferendo all’immagine un’aura di mistero, come se l’anima di Carvilio fosse sempre vicina a sua madre.

La gemma fu incisa così da creare una cavità. I particolari furono evidenziati grazie a una microfusione. Al di là degli Dei, che avevano immagini idealizzate e stereotipate, i Romani amavano ritrarre con estrema accuratezza i volti umani. La perfetta tecnica del ritratto aveva funzioni sociali – la riconoscibilità del politico – e affettive.

Piccoli ritratti venivano mandati a casa da legionari lontani. I familiari ricordavano i defunti attraverso una galleria degli antenati in cui erano appesi dipinti o collocate statue ricavate dal calco del volto. Le tecniche pittoriche utilizzate da Greci e Romani erano in grado di sviluppare, quasi fotograficamente, l’oggetto da effigiare. Così si può dedurre che questo fosse proprio il volto del ragazzo, che ora galleggia, come in un ologramma in uno spazio privo di una dimensione temporale.

La causa esatta della morte di Carvilio rimane un enigma.

Le teorie spaziano da una setticemia derivante da un trauma a un possibile avvelenamento, come suggerito dalla presenza di arsenico nei suoi capelli.

Aebutia, nell’immensa tristezza per la perdita del figlio, volle un sarcofago pregevole e finemente decorato per lui.

La madre stessa morì alcuni anni dopo, all’età di 40-45 anni, nella stessa stagione in cui Carvilio aveva trovato la sua pace, com’è rivelato, appunto, dall’analisi dei pollini presenti sulle ghirlande funebri. In modo sorprendente, all’interno del sarcofago di Aebutia sono state scoperte piccole ossa infantili.