di Claudio A. Barzaghi
In un mondo normale, e con normale intendiamo dotato almeno di memoria, alcune personalità non avrebbero bisogno di presentazione né di essere ricordate (se non per rendere loro un omaggio). Invece in questo mondo è opportuno ricordare che Dino Formaggio (Milano, 1914 – Illasi, 2008) è stato illustre estetologo (con cattedra a Pavia, Padova e poi a Milano), storico dell’arte autore di monografie sempre verdi (fra tutte ricordiamo quella dedicata a Goya), critico d’arte militante, nonché artista dedito prevalentemente alla scultura.
Già, anche artista, ed è proprio di quest’ultima sfaccettatura che si è meritoriamente occupato il rinnovato Museo d’Arte Contemporanea “Dino Formaggio” di Teolo (Padova) – incantevole paesino dei Colli Euganei – con una esaustiva mostra di opere riunite in occasione del centenario della nascita dello studioso/artista.
L’occasione si presenta subito ghiotta, e non solo perché dà modo di vedere e appezzare i cambiamenti e l’ampliamento della sede espositiva, ma soprattutto perché con “L’Arte. Il senso di una vita” ci è dato entrare in contatto con una parte significativa della complessità e del valore di Formaggio, la parte probabilmente meno nota e illuminata..
Una citazione si rende necessaria: “Se lascio la macchina da scrivere per l’officina è perché mi chiamano strumenti di più palpabili possessi del vivente: carezzare di lime, abbracci di pinze e di morse e morsetti, fiamme esaltanti di saldatrici, musiche di incudini e di martelli, lastre, ritagli residuali delle messe in opera di nuove grondaie, che ora attendono la loro rinascita metamorfica dalle mani pensanti”, ed è citazione preziosa perché è lo stesso artista a fornircela quasi esaustiva nell’enumerazione dell’armamentario in effetti impiegato per creare. Sì perché, se si escludono oli e acquerelli della fase giovanile, il mondo creato di Dino Formaggio è esattamente e prevalentemente metallurgico, battuto e saldato, con poche apparizioni di legni, tutti, come i metalli d’altronde, rigorosamente recuperati e destinati a nuova vita. Una produzione che richiama certamente la fatica con quel debito verso incudini e martelli, eppure permeabile e leggera, persin divertita e sorridente.
Ci sono i miti nelle opere di Formaggio e i personaggi letterari prelevati da una cultura approfondita, ma ci sono anche Picasso e, in particolare, Fausto Melotti, tutti insieme, tutti intrecciati con molle di orologi, maniglie per porte, pomelli d’ottone e chissà quali altre diavolerie.
Trovarobato, insomma, che però non sfugge al destino di combinarsi in nuove forme scultoree, e così costretto a rinascere per raccontare nuove storie e nuove avventure della mente; un po’ come il suo autore/creatore (prima operaio, poi insegnante elementare e successivamente docente universitario); o almeno così ci piace pensare.
La mostra è curata da Sergio Giorato e l’ingresso è libero, come pure l’offerta per il bel catalogo.
MAC Dino Formaggio
Palazzetto dei Vicari, via Molare 1 – Teolo (PD)
Tel. 049 9998530
Fino al 2 novembre 2014, tutti i giorni dalle 15 alle 19, escluso il lunedì
Dino Formaggio, critico-artista – Se un pomeriggio d'autunno un viaggiatore
“Se lascio la macchina da scrivere per l’officina è perché mi chiamano strumenti di più palpabili possessi del vivente: carezzare di lime, abbracci di pinze e di morse e morsetti, fiamme esaltanti di saldatrici, musiche di incudini e di martelli, lastre, ritagli residuali delle messe in opera di nuove grondaie, che ora attendono la loro rinascita metamorfica dalle mani pensanti”