[U]n’opera di Piero della Francesca, forse tra le più raffinate, certamente tra le più note della sua produzione, la “Madonna di Senigallia”, torna oggi alla ribalta dell’attenzione storico-critica grazie ad una nuova proposta interpretativa. Conservato alla Galleria nazionale delle Marche e attualmente visibile nell’ambito della mostra dedicata ai Della Rovere, il dipinto è stato per lungo tempo oggetto di una certa trascuratezza da parte della critica, che lo considerava di soggetto piuttosto comune ed esclusivamente di natura devozionale e privata, motivo per cui l’attenzione degli studiosi è stata in passato quasi sempre limitata ai valori luminosi che lo caratterizzano(valori che, peraltro, palesano in modo evidente una matrice nordica).
Maria Grazia Ciardi Duprè Dal Poggio, autrice di un sostanzioso saggio concernente questa piccola tavola devozionale, ribalta oggi la prospettiva, svelandone alcuni “segreti” e proponendo convincenti ipotesi relative al carattere intensamente biografico del quadro e alla sua conseguente rilevanza nel contesto storico-politico della successione nel Ducato di Urbino tra i due casati di Montefeltro e Della Rovere, che si avvicendarono nel 1508. In antitesi con l’opinione prevalente che individuava i committenti della “Madonna” nei signori di Senigallia Giovanna di Feltria e Giovanni Della Rovere (i cui volti secondo alcuni sarebbero ritratti nelle figure degli angeli), la studiosa sostiene che, secondo i risultati delle accurate ricerche da lei svolte, il dipinto fosse stato più verosimilmente commissionato dal padre di Giovanna, il duca di Urbino, Federico di Montefeltro, che in esso “piange la morte della moglie, medita sui valori universali della vita e della morte, affida le sue speranze per il consolidamento dello Stato e per la successione del figlio”. Il viso della Vergine sarebbe dunque quello dell’amatissima consorte Battista Sforza, mentre il Bambin Gesù mostrerebbe le sembianze di Guidubaldo, loro unico figlio maschio ed erede. Una simile lettura risulta senz’altro insolita, alla luce del fatto che, per tradizione, era rarissimo che piccoli quadri come questi, di carattere iconico e destinati alla semplice devozione privata, fossero investiti di significati simbolici importanti per il committente e allo stesso tempo universali (peculiarità della cultura cristiana è del resto la capacità di sostenere un dialogo costante fra l’umano e il divino). Federico di Montefeltro avrebbe commissionato la tavola al maestro successivamente alla morte di Battista e alla nascita del figlio maschio, intorno al 1472-73; con ogni probabilità il dipinto giunse a Senigallia solo in un secondo momento, come lascito del duca in punto di morte alla figlia Giovanna. Visti la forte concentrazione nel quadro di significati legati alla personalità del duca, ai suoi affetti e alle sue mire politiche, e il fatto che esso appaia strettamente legato all’intimità di un’accesa devozione privata, compenetrata al desiderio di mantenere viva la memoria della moglie, risulta quanto meno improbabile che egli se ne fosse separato in una diversa occasione (ad esempio, quella da altri supposta del matrimonio tra Giovanna e Giovanni Della Rovere). Comunque, il trasferimento a Senigallia di un dipinto come la “Madonna”, opera di uno dei più celebrati artisti del Rinascimento, che fu sommo cantore della corte urbinate, acquista dal punto di vista storico e politico un grande valore simbolico, siglando in un certo modo il consolidamento della cruciale alleanza tra i due casati. La tradizione narra che poi Giovanna ne abbia fatto dono al santuario di Santa Maria delle Grazie che lei e il marito vollero erigere intorno al 1490, in segno di ringraziamento per la nascita del figlio. E’ molto probabile che il lascito sia avvenuto dopo che fu resa ufficiale la volontà di Guidubaldo di affiliare Giovanni Della Rovere e di lasciargli la successione del Ducato. In questo modo venne resa pubblica una testimonianza destinata alla ristretta schiera dei potenti e degli amministratori. La vera ragione per cui Ciardi Duprè Dal Poggio non crede alla committenza del dipinto da parte di Giovanna è comunque di natura prettamente storico-artistica.
La nobildonna apparteneva infatti a una generazione per la quale il genio di Piero della Francesca e il mondo che egli aveva incarnato erano ormai sorpassati. L’ingresso nell’ambiente culturale romano, siglato dal matrimonio con un Della Rovere, coincide per lei con l’incontro con le nuove tendenze artistiche che si andavano affermando nella Capitale, dominata dai gusti del papa Sisto IV, zio del suo sposo, ovvero con figure come quelle di Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, Luca Signorelli, e ancora Pinturicchio e Perugino. Proprio a quest’ultimo i signori di Senigallia affidarono la commissione della pala con la “Sacra conversazione fra la Madonna col Bambino e santi”, da ubicare nel santuario di Santa Maria delle Grazie. Il quadro è databile intorno al 1490, e il fatto che fosse stato destinato da subito all’altare maggiore conforta la tesi che al tempo la tavoletta di Piero non solo non fosse ancora stata donata, ma nemmeno, per il momento, se ne prevedesse la donazione.
Il dipinto “La Madonna di Senigallia” è una piccola tavola dipinta a olio realizzata da Piero della Francesca, giunta nel centro marchigiano negli ultimi decenni del XV secolo, legandosi agli eventi politici del tempo. Senigallia nel 1474 è concessa in vicariato da papa Sisto IV al nipote Giovanni Della Rovere, destinato a sposare Giovanna, figlia di Federico da Montefeltro. Il quadro fu probabilmente commissionato proprio in occasione del matrimonio, avvenuto nel 1478. Si tratta di un’opera tarda del maestro. Le dimensioni sono ridotte (61×53,5 cm), il soggetto piuttosto comune, la destinazione palesemente privata e familiare.
La tecnica Le caratteristiche tecniche della “Madonna di Senigallia” paiono autentiche citazioni fiamminghe: il legno usato come supporto è in noce piuttosto che in pioppo, come era consuetudine all’epoca, con una preparazione gessosa molto sottile e l’uso, anche se non esclusivo, dell’olio di lino nella mestica. Su questa preparazione il disegno è stato eseguito a carboncino, mentre la struttura architettonica è disegnata a pennello; non si riscontrano spolveri. Il legante è quasi certamente oleoso, come si può intuire dal manto della Vergine, che presenta crettature tipiche di un’eccessiva quantità di olio, appunto, nel legante. L’analisi all’infrarosso sul manto dell’angelo a sinistra rivela la presenza di blu oltremare nell’impasto, mentre per la veste della Vergine e per la collana di corallo del Bambino suggerisce un colore a base di vermiglione.
Il soggetto Il dipinto è piuttosto differente dalla precedente produzione di Piero. Quest’opera conferma in maniera evidente come i suoi contatti con la pittura fiamminga si definiscano non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello stilistico: rilevante è infatti qui l’ambientazione in un interno domestico, molto caro ai primitivi fiamminghi. Da secoli ci si interroga sul mistero di questa figura di Maria così poetica, nella quale l’autore riesce “ad umanizzare il divino e a divinizzare l’umano”. E’ un quadro che riesce a coniugare la monumentalità data dalla costruzione dei volumi e dalla compostezza delle figure, con l’intimità dell’ambiente. La Madonna stringe il piedino di Gesù, secondo l’iconografia bizantina che così esprime la volontà di guidarne i primi passi. Eppure, nella tavola di Piero della Francesca la Vergine assume un’espressione di tenerezza, quasi di gioco materno, abbassando pudicamente gli occhi, forse per l’imbarazzo di un gesto così profondamente umano. Molti elementi, dal velo di Maria, dipinto con sottili variazioni di luce, alla collana di corallo del Bambino, alle brillanti perle degli angeli, così come la luce che filtra dalla finestra a formare una nitida macchia sul muro posteriore, ricorreranno a lungo nella pittura tedesca del XVII secolo. I capelli biondi dell’angelo sulla sinistra, a causa dei riflessi della luce posteriore, acquistano un colore dorato come un alone naturale.
I simboli L’apparentemente semplice naturalismo della “Madonna di Senigallia” nasconde in realtà alcuni significati simbolici molto complessi legati alla fede. La luce filtrante dalla finestra con eccezionale effetto di verità allude ai temi dell’Annunciazione e dell’Immacolata concezione; la scatola per le ostie raffigurata sullo scaffale e il corallo al collo del Bambino sono simboli del sacrificio eucaristico, mentre la rosa bianca stretta in pugno si riferisce al mistero della Passione; infine, i tessuti contenuti nella cesta sul ripiano a destra alludono alla purezza.