di Chiara Bertoldi
[S]e in passato poteva accadere di incontrare il nome di Escher menzionato più nei libri di introduzione alla matematica e alla psicologia che non in quelli di storia dell’arte, da tempo ormai la figura dell’autore di origine olandese, amato per le sue celeberrime incisioni, sta ricevendo la meritata attenzione anche in Italia, terra che indelebilmente rimase impressa nella mente e nel cuore di Escher, quanto nella sua ricchissima produzione.
E’ indubbio che Escher debba la propria notorietà ad opere quali “Cielo e acqua I” del 1938 e “Relatività” del 1953, emblematici esempi delle sue rappresentazioni grafiche di mondi impossibili ed ambigui, metamorfosi di realtà simultanee a dimostrare che l’uomo non può che percepire una frazione soltanto di ciò che lo circonda. E’ indubbio anche che i suoi scorci illusionistici, le prospettive invertite, la sovrapposizione di differenti e distinti piani del reale abbiano saputo descrivere ed esprimere l’ambiguità e le trasformazioni che si stavano vivendo al suo tempo.
Ma Escher fu inizialmente altro. Dopo un primo soggiorno in Italia durante il 1921, egli ne fu a tal punto folgorato che decise di trasferirvisi stabilmente, dall’anno seguente fino al 1934, comprando casa a Roma e compiendo, ogni primavera, lunghi viaggi che gli permettessero di conoscere ed ammirare il fascino nonché la diversità delle città e dei paesaggi italiani: Firenze, Siena, San Gimignano, Assisi, Urbino, la costiera amalfitana, l’Abruzzo, la Calabria, la Sicilia. Questo instancabile peregrinare generò la sua prima produzione caratterizzata dall’esatta rappresentazione della realtà visibile. Ma se l’Italia fu la musa ispiratrice del suo periodo giovanile, Escher seppe comunque, fin da subito, rappresentare familiari scorci attraverso una riproduzione della realtà del tutto personale.
Ecco spiegata l’attenzione rivolta ai paesaggi calabresi, capaci di offrire quel senso d’infinito che sempre affascinò il maestro olandese, ma anche il ricorso alla prospettiva aerea spesso e volentieri impiegata in quel periodo, oppure la scelta di immortalare Roma rigorosamente di notte, evitando così di coglierne il lato barocco. E ancora il riconoscere elementi, soggetti nonché atmosfere ambigue, che avrebbero da lì a qualche anno caratterizzato le sue incisioni. Non potrebbe forse essere “Ravello e costiera amalfitana” del 1931 un diretto antecedente di un’opera come “Giorno e notte” del 1938, incisione che già rientra in un’altra tipologia di creazione?
Di certo l’aver abbandonato l’Italia nel 1935, a causa della diffusione del fascismo, determinò un grande mutamento nella sua produzione. Queste le parole dell’artista a tal proposito: “In Svizzera, Belgio, Olanda, dove abitai successivamente, le forme di paesaggio e quelle architettoniche mi impressionarono meno di quelle dell’Italia meridionale. Per necessità mi dovetti distaccare, in un certo senso, dalle riproduzioni fedeli, più o meno dirette o indirette del mio ambiente. Questa condizione fu, senz’altro, un forte stimolo per la nascita delle immagini ‘interne’”.
Escher non sembrò infatti più cercare fuori da sé, ma all’interno di sé, creando un rapporto strettissimo ed al tempo stesso illusorio tra il piano e lo spazio: non esistono più limiti certi, cielo e mare si confondono, notte e giorno sono un tutt’uno. Nel tentativo di riprodurre l’idea di infinito, l’artista si ispirò ai disegni moreschi conosciuti in Spagna e contemporaneamente allo studio dei cristalli, ripetendo forme similari e riempiendo la superficie con metamorfosi di animali, piante e persone.
Nonostante questo decisivo cambiamento, dal 1935, l’influenza dell’arte italiana sembrò in un certo qual modo non affievolirsi, ma piuttosto farsi più presente e marcata. Se le sue anomalie spaziali potrebbero ricordare gli errori prospettici della pittura senese trecentesca e quattrocentesca, la compresenza di più scene ed episodi richiama sensibilmente le raffigurazioni medievali. Ma se Escher tanto deve all’Italia per quanto riguarda la sua poetica e la sua notorietà, non vanno dimenticate le origini olandesi. Ne costituiscono un esempio emblematico gli specchi convessi, sovente presenti nelle creazioni dell’autore, e che fanno parte del repertorio della pittura fiamminga, mentre altri soggetti sembrano ispirarsi alle opere di Bosch, per non parlare della riproduzione esatta e particolareggiata della realtà, ben nota caratteristica dell’arte nordeuropea