[L]ievi, effimeri, delicati, cangianti, estremamente sensibili ai colpi di vento. E soprattutto, rossi. Abbiamo visto, in alcuni articoli precedenti, quanto Monet cercasse valori ottici cangianti, da fermare sulla tela. E così fu con i papaveri, con una motivazione addizionale. La pittura di paesaggio, con vedute naturali, risente normalmente della mancanza del rosso, che esiste, a livello di stesura pittorica sottostante nella forma composita di arancione o marrone.
Ma le vedute naturali non si presentano mai vivide e uno dei motivi è proprio la mancanza del rosso intenso, dato quasi a corpo. Sappiamo che, per ovviare a questa carenza ottica. Turner, durante il vernissage di una mostra, aggiunse una boa rossa a una marina con navi, proprio per accendere il dipinto. E che in tanta pittura di paesaggio con figure, dell’Ottocento, gli artisti inserivano piccoli personaggi – macchiette – tra i quali, spesso, ce n’era uno con il cappello rosso. Questo proprio con il fine di contrastare il verde. Ora possiamo osservare, da qui con la “lente magica” le Champ de coquelicots, 1881 58 × 79 cm Musée Boijmans Van Beuningen (Rotterdam).
Vogliamo sottolineare il colore della preparazione del dipinto. Monet non dipinge su una tela bianca, ma crea uno strato di colore grigio perla, che ha la funzione di distribuire il valore tonale del grigio azzurro del cielo in ogni parte del dipinto. E, al tempo stesso, evitare fastidiose assorbenze, da parte del gesso dell’imprimitura. Come possiamo vedere dall’immagine qui sotto, la preparazione, che emerge ancora dalla parte del cielo, è piuttosto liscia e impermeabile, ed è stata stesa con un pennello largo
Su questo supporto lavora poi con i colori più materici
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