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Giulio Mottinelli è nato a Garda, in alta Valcamonica, nel 1943.
Poco più che ventenne, dopo aver lavorato nel campo della fotografia e del cinema, decide di dedicarsi esclusivamente alla pittura, attraverso la faticosa strada dell’autodidatta. Le esperienze di fotografia e di cinema hanno lasciato traccia nel bisogno di rigore e nel senso dell’immagine, come costruzione, che vive sul ritmo interno delle forme poste in dialogo nella stessa opera.
Il tirocinio pittorico, vissuto per contatti e relazioni con altri giovani autori, giunge ad un primo approdo: il pittore espone le sue opere, per la prima volta nel 1965, a Gussago, suo paese d’adozione.
Da quel momento, e fino agli inizi degli anni Ottanta, la sua vita e la sua poetica sono profondamente influenzate dai numerosi viaggi compiuti in Italia, in Europa e in Sud America: dai viaggi vengono esperienze dirette, specie nei confronti del paesaggio (in special modo quello dell’America Latina) e stimoli che giungono dalle opere ammirate nelle gallerie e nei musei visitati.
Fin dall’inizio ama racchiudere la sua poetica in serie di opere; quasi tutte le sue esposizioni personali, tranne che nelle non rare antologiche, vivono sulla serie, che origina cicli. I cicli pittorici affrontati in questo ventennio riguardano temi sociali, come è nel clima del tempo: via via la città-prigione, il rapporto fra uomo e potere, i cani di città, Venezia che muore, e infine la lunga serie sulla lussureggiante natura tropicale.
È assai probabile che il paesaggio americano abbia favorito una lettura dell’ambiente, interpretato come spazio proprio, spazio di vita, memoria, sedimentazione culturale. Alla fine della stagione dei viaggi, Mottinelli si rifugia nella sua terra d’origine, abbandonata da adolescente, per intraprendere un lungo e faticoso percorso contemporaneamente dentro se stesso, dentro le proprie memorie, viaggio che arriva fino all’oggi.
Durante più di trent’anni di lavoro, dalla metà degli anni Ottanta ad oggi, indaga gli aspetti della sua terra, cui ritorna ogni estate, e nelle sfaccettature di un ambiente mai dimenticato, rivissuto nei suoi aspetti affascinanti e pieni di interna vitalità, conosciuto e amato da bambino, esplorato e studiato da adulto, ritrova il senso del fare, le ragioni stesse della sua poetica.
Dipinge prati che assumono le sembianze di morbide coperte verdi, temporali e nebbie, animali guardiani del bosco e dei loro nidi, vecchie porte di fienili abbandonati, dalle cui fenditure filtra ancora un raggio di sole; racconta di ombre lunghe che disegnano inquietudini e suggestioni sui muri e sui pavimenti, silenziose nature morte ritrovate per avventura negli angoli delle soffitte abbandonate, racconta di notti chiare, dove l’immaginazione crea voli e insegue sogni, canta la neve, prodigio della natura che copre e protegge una terra ricca di magia ma anche di sottile malinconia.
Nella seconda metà degli anni Novanta, gli accenni al sogno, al viaggio mentale, le aperture al fascino segreto dell’immaginazione, che accosta e crea l’invisibile di una natura vissuta di-dentro, favoriscono l’emersione di una sostanzialmente sempre presente, ma mai ascoltata, vena surreale: nascono le scale che salgono sulle nuvole, i paesi in miniatura, costruiti su piccole mensole di legno, lune che si moltiplicano nel cielo incantato dello sguardo infantile e diffondono piogge di luce, comete, cascate d’oro che attraversano cieli stellati.
Nel passaggio tra i due secoli, ispirato dalla lettura di Rigoni Stern, si addentra nel bosco e ne riporta l’immenso incanto, nel tentativo di svelare un segreto, il segreto della vita, da sempre intuito e lentamente messo a fuoco.
Negli ultimi anni affronta impegnativi cicli pittorici (spesso su tele di grande formato) e declina temi a lui cari portando di volta in volta al centro della scena un soggetto particolare: la neve (La terza neve); sfavillanti fuochi appartenenti a qualche misterioso rito sciamanico (La luna non sa?); l’acqua, elemento primordiale, divina sorella francescana (Sor’acqua); luci misteriose di stelle lontane, in scena ad evocare un tempo silenzioso distante dal clamore quotidiano (Nella luce del tempo); gli orti di montagna che, illuminati da un’onnipresente luna, regalano a fatica qualche frutto che fa capolino dalla prematura neve d’autunno (La luna degli orti).
Nelle recenti serie di dipinti sposta il punto di vista, allarga l’orizzonte e mostra panorami più ampi, con il frastagliato profilo di montagne lontane che fanno da sfondo ad una consueta successione di prati e pinete (Premìster), spingendosi fino all’orizzonte delle costellazioni e della Via Lattea, che illuminano sentieri innevati (Sentieri). Infine, nell’ultimo ciclo pittorico, riporta al centro del suo obbiettivo la Primavera, declinata nei suoi meravigliosi aspetti di fioritura, verdi intensi, fulmini e possenti cieli nuvolosi.
Nel corso degli anni, numerose immagini dei suoi dipinti sono state utilizzate come copertine di libri, per case editrici quali: La Scuola, Vannini, Grafo, La Quadra, Paoline, Mondadori e la spagnola Anagrama. Fra gli autori ricordiamo Gian Mario Andrico, Carla Boroni, Arnaldo Milanese, Antonio Thellung, Sarah Calvano, Giorgio Campanini, Giacomo Panizza, Alba Marcoli, Mauro Corona, Antonio Moresco e Carmine Abate.
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