La tomba a casetta giaceva sotto un intrico di rami e di rampicanti. Mario Sanna, socio dell’Archeotuscia – benemerita associazione archeologica toscana – ha raccontato come avvenne la scoperta della necropoli di Guado di Sferracavallo, nella Tuscia, in provincia di Viterbo.
L’emozione è ancora grande ed emerge dalle parole di Sanna, chiamato a rendere pubblica testimonianza di quel giorno, nel corso di un convegno organizzato dalla soprintendenza e dal museo nazionale etrusco di Viterbo. L’incontro è stato dedicato a Guado di Sferracavallo, Norchia, località nella quale, negli ultimi dieci anni, sono venute alla luce 7 tombe e 55 sepolture. Un’indagine archeologica che è stata compiuta grazie alla ricerca svolta da Sanna nel 2011 e che ha permesso, grazie agli scavi della Soprintendenza – di salvare e studiare un sito etrusco del terzo secolo avanti Cristo.
Sì, salvare, perchè, in genere, le tombe etrusche sono molto esposte all’azione dei tombaroli. Sorgono, infatti, in luoghi spesso isolati. Sovente su colline dotate di una fitta vegetazione. Dove risulta possibile scavare anche senza essere visti.
Sanna nel 2011 aveva deciso di compiere, con il socio e amico Luciano Ilari, un sopralluogo sulle colline nei pressi dell’antica cittadina – scomparsa – di Norchia, andando a ricercare soprattutto punti di stretta aderenza della vegetazione a elementi rocciosi. Norchia
Una giornata che ha presentato presto una scoperta meravigliosa. “La tomba era completamente coperta dall’edera – ha ribadito Sanna -. Pulendola ho visto subito la finta porta, le travature e un’iscrizione. Vel”, il nome del defunto che, come ha fatto notare il restauratore Emanuele Ioppolo che si è occupato dei corredi funerari, probabilmente era un atleta”.
L’iscrizione così dichiarava: “Questa è la tomba di Vel, figlio di Laris (o Larth)”.
I due soci di Archeotuscia hanno poi avvisato la Soprintendenza. Le indagini archeologiche che sono seguite negli anni successivi, in accordo e sinergia con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale, hanno portato in evidenza la “Tomba di Vel”, portando alla scoperta, sul pavimento, di un ricco corredo ceramico di 17 vasi da banchetto e uno strigile (fine IV-inizi III sec. a.C.), che sono stati restaurati ed ora sono esposti nella sezione “Norchia” del Museo Archeologico Nazionale della Rocca Albornoz di Viterbo.
Tra il 2014 e il 2015 si è trovato un secondo corridoio che conduceva ad una piccola sepoltura a camera (la vediamo nella foto qui sopra, alla nostra destra, segnalata dalla cavità nel terreno) ancora con la pietra di chiusura e un corredo di 11 vasi in ceramica all’interno. Lo stretto collegamento tra le due tombe lascia supporre un legame di parentela tra i defunti di queste due tombe.