Dal 22 ottobre al 20 novembre il Palazzo Comunale di Adro (Brescia) ospita la mostra di tarocchi realizzati dagli artisti Annamaria Giugni e Paolo Cantù. Orari: venerdì dalle 17 alle 21, sabato e domenica dalle 15 alle 20.
Di seguito la presentazione del lavoro da parte del curatore della mostra.
I TAROCCHI DEGLI SGUARDI PARLANTI
di Giovanni Pelosini
I primi mazzi di Trionfi che conosciamo, risalenti alla prima metà del XV secolo, erano solo immagini, prive anche del nome: figure verbalmente mute, ma simbolicamente ricche di significati. Da queste prime immagini si sono originati migliaia e migliaia di mazzi di carte antiche e moderne. Su tutti questi Tarocchi sono stati scritti innumerevoli volumi che ne hanno indagato i significati e interpretato la filosofia.
Dalle immagini mute sono scaturiti i pensieri, e dai pensieri sono nate le parole, spesso inadeguate formule mentali che cercano di razionalizzare l’ineffabile.
Nel 1677 a La Rochelle fu pubblicato addirittura un libro privo di testo, ad eccezione del frontespizio. Si chiamava Mutus Liber: un enigmatico volume di simbologia di sole quindici figure geroglifiche che racchiudevano l’intera filosofia ermetica. Anche questo fu un eccellente tentativo di superare la difficoltà che le parole hanno nell’esprimere certe profondità del pensiero. La stessa cosa si può dire dell’arte in generale, e in particolare dei simboli, che, per loro natura, non possono essere mai spiegati. L’arte dei Tarocchi consiste appunto nel trasmettere informazioni, emozioni, pensieri, e addirittura la filosofia che ambisce a comprendere tutto il cosmo, senza utilizzare i codici del linguaggio verbale o scritto.
Annamaria Giugni e Paolo Cantù realizzano quest’opera togliendo la bocca e la facoltà di parlare a quasi tutti i personaggi del loro mazzo. Fanno eccezione i due profili della Ruota, la Luna e il Diavolo, che addirittura ne ha due. Da questi particolari simbolici, mai casuali, sembra davvero che gli Autori vogliano mettere in guardia sul fraintendimento insito nell’uso del linguaggio verbale, soprattutto quando si esca dall’ordinaria quotidianità, rivolgendo il pensiero all’infinito, che non può essere contenuto, né descritto, né spiegato, ma tuttavia può essere percepito, inteso e paradossalmente compreso.
Così facendo, questo mazzo si colloca nella più autentica tradizione ermetica dei più antichi Tarocchi e di ciò che io chiamo la più genuina “Tarosofia”.
Una caratteristica delle opere originali di questo mazzo sono le ragguardevoli dimensioni: 90 x 180 cm. Sono appena più piccoli dei quadri che Carlo Piterà terminò nel 2004, che, per quanto ne sappia, sono i più grandi Tarocchi del mondo (100 x 175cm) mai realizzati per intero.
Gli Arcani Minori completeranno questo mazzo con originali più piccoli (30 x 60 cm). In entrambi i casi i Tarocchi Giugni-Cantù hanno la significativa forma di un rettangolo formato da due quadrati uguali: una forma allungata rispetto alla maggior parte delle carte in circolazione, che alchemicamente esalta il rapporto tra l’Alto e il Basso, costringendo le figure a slanciarsi in prospettiva e protendersi verso il cielo, pur con il massimo dello spazio relazionale possibile con le carte vicine, realizzando con esse un ideale connubio.
Questo mazzo ha altre interessanti peculiarità. Per esempio, all’apparenza può sembrare una moderna versione dei Tarocchi Marsigliesi, ma gli Autori si permettono variazioni originali e anche contaminazioni da altri mazzi storici: la carta della Forza mostra una colonna accanto al leone, un tridente in mano al Diavolo, Spade, Coppe e Denari sul tavolo del Bagatto, due serpenti ai piedi della Temperanza, un uovo, due chiavi e due colonne nella carta della Papessa, una scala ascendente ai piedi e alle spalle del Papa, una rosa presso l’Imperatrice, e sotto il Sole lavora una filatrice. Si notano citazioni anche dal raro mazzo seicentesco bolognese Fine dalla Torre. Piccoli particolari, che possono sfuggire all’occhio profano, ma che sono testimoni del grande studio e della ricerca che hanno preceduto l’esecuzione, mostrando la cultura storica e la conoscenza filologica degli Autori: doti che in queste ultime decadi non sempre brillano nelle produzioni di mazzi e soprattutto di libri sui Tarocchi.
La Giustizia è simmetricamente perfetta, come le si addice. La Morte è bellissima nel mostrarci le spalle, mentre danza coprendosi pudicamente con il mantello bicolore. Qua e là, nelle carte appare un libro, a significare l’amore per la conoscenza, che è parte della bellezza e dell’intelligenza del cosmo. Anche la carta dell’Innamorato è originalissima, con quell’unico occhio adorante nella silhouette dei due protagonisti, che vedono solo l’altro come specchio di sé. Si respira cultura in ognuna delle figure di questa importante opera, che nasce da un’idea di Paolo Cantù, che ha curato anche la regia e consigliato la pittrice Annamaria Giugni prima e durante la realizzazione artistica.
Niente avviene a caso, e ciò è chiarissimo a chiunque si occupi seriamente di Tarocchi. Non è un caso nemmeno il fatto che ai Tarocchi Giugni-Cantù manchi la bocca: per questo io li chiamerei i “Tarocchi Muti”. Eppure in queste figure gli occhi sono sempre assai espressivi, così da ispirarmi un altro nome: I “Tarocchi degli Sguardi Parlanti”.
Se gli occhi, come si dice, sono gli specchi dell’anima, i Tarocchi sono gli specchi dell’infinito. Negli sguardi dei protagonisti di questi Tarocchi si può scoprire l’intero universo, in tutte le sue molteplici manifestazioni che glorificano la sua unità.
Nella Temperanza ritrovo lo stesso sguardo dell’Autrice, dolce, gentile, riservato e modesto, anche di fronte al grande traguardo di aver completato l’Opera, come si addice al vero alchimista.