[D]olce e possente, attraversato da un fremito che, nell’unione di quelle labbra, fa sussultare e cementa un’intera nazione, il Bacio di Hayez, nelle sue quattro redazioni, è divenuto, fin dai giorni in cui fu esposto, l’icona di un’Italia giovane, sensuale, sentimentale e ribelle. Una ribellione che trae fuoco dall’amore, come nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, romanzo dal quale emerge una netta coincidenza tra idea patriottica e sentimento privato.
Hayez, magistralmente, sintetizza fermenti, idee, suggestioni del proprio tempo nell’unione amorosa delle due figure. Attinge agli straordinari umori ribollenti d’inizio secolo – di cui il goethiano romanzo di Foscolo è uno degli incunaboli -, trasfonde alla tela sensazioni e dolori musicali delle canzoni patriottiche, esalta l’impegno politico-militare che non nega l’amore, ma ne rappresenta una sorta d’estensione ideale, vivificato da quello stato di perenne, febbrile eccitazione che caratterizza le generazioni delle guerre d’indipendenza.
E qui sta la novità, rispetto al passato che imponeva la scelta dicotomica tra le dolcezze di Afrodite e i rigori della virtù-impegno, come avviene ne Il sogno del cavaliere di Raffaello, rappresentazione di un bell’addormentato che sogna i due valori contrapposti, incarnati da altrettante donne connotate allegoricamente. Invece, nella temperie romantica, l’amor di patria trova perfetta equivalenza nell’amore per la propria donna. La pelle di lei è la pelle dell’Italia intera. Il suo corpo è nazione. La sua bocca è il punto dell’Unione. Non c’è allora separazione, non c’è contrasto tra donna e patria, anche perché, nel Risorgimento, il ruolo femminile fu fondamentale.
Nella sua semplicità iconica e nell’apparente realismo che parrebbe collocare il quadro sul piano della cronaca, il Bacio irradia in realtà messaggi multiformi, proprio come un faro che lancia nell’aria un’ampia sequenza cromatica che affida a ogni lama di colore un significato diverso. Se il dipinto pare riferirsi semplicemente, nella sua superficie evidente, a una situazione che può essere definita nei termini dell’addio del volontario – riecheggiando parole e note della celeberrima canzone di Bosi, composta nel 1848 -, in realtà si rivela fonte di più complesse emanazioni semantiche.
La società del periodo risorgimentale aveva importato dalle velate modalità di comunicazione delle società segrete, allegorie sottili o schemi di comunicazione con significanti ambigui e significati sottesi, attraverso i quali provvedeva alla diffusione, al riverbero e al riflesso quasi subliminale dell’idea dell’Italia unita, e ciò dai melodrammi verdiani ai dipinti riferiti al glorioso passato italiano, dalle vignette all’abbigliamento. Una forma di propaganda che giocava in termini ambigui, rispetto ai controlli delle autorità.
Le formule espressive risultavano in molti casi opache ma evidenti, in un gioco di giovanile scherno nei confronti di coloro che predisponevano i controlli e che non avrebbero potuto svolgere interventi di censura relativamente al recupero di un patrimonio culturale del passato o di minuzie, senza cadere fragorosamente in una situazione comico-grottesca.
Questo sviluppo dell’allegoria, anche cromatica – che coinvolse il mondo femminile, a più livelli, a partire dalle citazioni compiute attraverso gli accostamenti dei colori degli abiti -, favorì un’opera di propaganda capillare che rese i nostri antenati particolarmente attenti ai significati sottesi.
Lo spettatore dell’epoca poteva evidentemente cogliere con rapidità i messaggi che Hayez diffuse mediante le diverse redazioni del Bacio, che diveniva un nodo di significati con cui si celebravano l’intenso, passionale amore per la patria, la forza indomita dell’ardore giovanile, il rapporto amore-morte, ancorato alla poetica romantica. Né poteva sfuggire, ai critici del tempo, il nucleo sensualmente erotico dell’opera.
Scriveva Dall’Ongaro: “Esca da quel bacio affettuoso una generazione robusta, sincera, che pigli la vita com’ella viene, e la fecondi con l’amore del bello e del vero”. Ma non solo. Attraverso i mutamenti dei colori degli abiti
– nelle varie versioni del Bacio – Hayez comunicava ai propri consci spettatori il cambiamento del posizionamento politico dell’Italia, dall’alleanza franco-piemontese, all’autonomia bellica della spedizione dei Mille.
Il Bacio prende avvio da un dipinto che l’artista aveva realizzato nel 1830, nell’ambito della ripresa dell’episodio del saluto di Giulietta e Romeo. Il dramma dell’addio tra gli amanti venne rappresentato nel 1823, in una versione di fremente voluttuosità, che fu invece ridotta nel Bacio del Trenta, il quale raccontava la stessa vicenda, però nei termini di un’effusione sentimentale priva dei precedenti furori carnali.
Attorno a questo quadro, lo stesso Hayez propone un acquerello steso su un supporto tondo, intitolato
Il Bacio (1859). L’amore cantato da Shakespeare muta presto orizzonte. Nello stesso anno, pur in una cornice che sembra rinviare a un solido edificio medievale, il pittore colloca un volontario con cappello piumato e una giovane donna in abito che fa pensare alla moda ottocentesca. Ma esaminiamo la sequenza di esecuzione dei dipinti.
Il Bacio (oggi alla Pinacoteca di Brera) è portato in mostra all’Esposizione dell’Accademia il 9 settembre 1859. La seconda versione, di modeste dimensioni, fu donata da Hayez alla sorella di Carolina Zucchi, sua amante. La terza versione – poco più grande di quella di Brera, maggiormente ambientata architettonicamente, caratterizzata dal panno bianco per terra, dal mantello verde acceso dell’uomo e dal rosso della calzamaglia – fu conservata per anni dall’artista e presentata all’Esposizione di Parigi del 1867. L’opera riapparsa in America. La quarta versione è il Bacio “in bianco”, del 1861.
Il lettore può cercare nelle differenti redazioni l’unione dei colori italiani a quelli francesi, fino ad arrivare alla dominante tricolore.
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