[L’]Italia è piccola, la gente mormora. Alla corte dei Gonzaga, a Mantova, arriva la notizia che a Roma, negli appartamenti dei Borgia, c’è un dipinto scandaloso, per non dir sacrilego, tanto che lo hanno nascosto dietro una tela:
La notizia è fondata. Si tratta di un affresco del Pintoricchio, effigiante la Madonna col Bambino e papa Alessandro VI in adorazione. Niente di strano, se non fosse che Maria ha il preciso sembiante di Giulia Farnese, la quale notoriamente era stata amante di quel pontefice – al secolo Rodrigo Borgia -, prima e dopo l’ascesa di costui alla Cattedra di Pietro; cosicché lo sguardo estatico di Sua Santità verso la Vergine acquista un significato affatto spirituale.
Un’informazione troppo ghiotta, questa, perdurando una feroce inimicizia tra i Gonzaga e i Farnese, per lasciarla scivolar via. I signori di Mantova decidono di assoldare un paparazzo e di affidargli la missione di realizzare lo strabiliante scoop. Armato di colori, pennelli e tavolozza, il pittore Pietro Fachetti, precursore dei Corona & C. dei nostri giorni, nell’estate del 1612 se ne parte per l’Urbe. Riesce non sappiamo in qual modo ad intrufolarsi in casa Borgia e a “fotografare” l’affresco scabrosissimo, ricavandone una copia fedele, che consegnerà nelle mani dei suoi committenti, crediamo con grande e maligno spasso dei medesimi.
Giulia Farnese (1474-1524), detta “Giulia la bella”, o anche, con evidente ironia, la “Venere papale”, era del resto assai devota al culto mariano. Come ricorda Romualdo Luzi nel suo ottimo studio pubblicato su Panorama Musei, la rivista ufficiale dell’Associazione Piacenza Musei, “nel 1515, a seguito di un malanno che la stava portando sull’orlo della tomba per una non meglio identificata puntura o postema, la nobildonna s’era rivolta ‘con ferventi preghiere e calde lacrime alla Beata Vergine della Quercia’ di Viterbo, ottenendone una miracolosa guarigione. Per gratitudine, la stessa Giulia era tornata al Santuario facendo omaggio della propria statua al naturale, realizzata in tela e cera e che, unica donna fra i tanti personaggi ammessi nel tempio, fu collocata nell’alta loggia posta a sinistra, in mezzo alle figure di due cardinali. Ma di questo straordinario ex voto si è persa ogni traccia”.
Il volto magnifico della “Venere papale” si sarebbe peraltro tramandato ai posteri, secondo la tradizione, attraverso numerose opere d’arte, alle cui protagoniste femminili Giulia avrebbe prestato la propria fisionomia: a cominciare dalle “fanciulle con unicorno” dipinte all’epoca da Donghi, Domenichino e, soprattutto, da Raffaello.
La Farnese sarebbe poi stata effigiata come personificazione della Giustizia nel monumento funebre al fratello Alessandro – papa Paolo III – eseguito da Guglielmo della Porta. “Quando in San Pietro, nel 1575, il monumento fu inaugurato – scrive Luzi, – vi fu chi espresse forte perplessità sulle nudità delle quattro statue poste a contorno della figura del pontefice, a rappresentare le allegorie della Prudenza, della Pace, dell’Abbondanza e della Giustizia. Sulle statue sorse subito una leggenda popolare che individuava in esse le ‘donne’ di Paolo III: la madre Giovannella Caetani, la concubina Silvia Ruffini, la figlia Costanza e, appunto, la sorella Giulia, quest’ultima indicata sotto le spoglie della discinta Giustizia, che mal si conciliava con i dettami della Riforma cattolica, tanto che nel 1592 Clemente VIII, in visita alla Basilica, disponeva che le statue del monumento fossero rimosse o almeno ricoperte. Il cardinale Odoardo Farnese tentò di opporsi all’ordine papale, ma poi dovette cedere e incaricare il figlio di Guglielmo della Porta, Teodoro, di realizzare una ‘veste di metallo’ per ricoprire le nudità della Giustizia. Cosa che avvenne nel 1595”.
E che la bianca Giulia senza veli fosse tale da provocare più d’una palpitazione negli astanti ce lo conferma Annibal Caro, laddove riferisce della “meraviglia di tutti che la veggano… Pare una donna ignuda che esca dalla neve”.
Nel 1628, su indicazione di Bernini, la tomba fu definitivamente collocata nell’abside di San Pietro. Ai piedi dell’effigie di Paolo III rimasero però solo le statue dell’Abbondanza e quella della Giustizia in versione castigata, incapsulata nel suo pudico bozzolo ferroso; mentre le “vecchie” Prudenza e Pace furono relegate a Palazzo Farnese.
Ma torniamo ora al punto da cui abbiamo esordito: ossia all’indecente affresco del Pintoricchio, che avevamo lasciato sepolto sotto un drappo di stoffa, drappo sollevato solo per un attimo dall’occhiuto Fachetti, lo zelante artista-paparazzo al soldo dei Gonzaga. Scoop fachettiano a parte, la conferma dell’esistenza dell’opera è nella testimonianza dell’immancabile Vasari, che aveva parlato di un dipinto “scandaloso” in cui il maestro umbro aveva ritratto “la signora Giulia Farnese nel volto d’una Madonna; e nel medesimo quadro la testa di esso papa Alessandro, che l’adora”.
Che fine ha fatto questa scomoda pittura? Sarebbe stata cancellata per volontà di Fabio Chigi, pontefice dal 1655 con il nome di Alessandro VII, “per evitare velenosi paralleli – spiega Romualdo Luzi – tra lui e il suo tanto chiacchierato predecessore Alessandro VI. Al momento della distruzione furono salvate le figure del Bambino e della Madonna poi consegnate ai Chigi, familiari del papa, che le hanno conservate nel tempo”.
Ed ecco il colpo di scena: di recente il lacerto con il Divino Infante, ribattezzato il Bambin Gesù delle mani, è tornato alla luce, comparendo sul mercato antiquario. Non così, sino ad ora, quello con la Vergine dal viso di Giulia la bella. Ma non bisogna disperare.
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