Il pittore-passerotto e i pidocchi di Omero. Come leggere il misterioso quadro trovato dagli Uffizi

Chi cerca, non trova. Chi non cerca, trova. Avete mai pensato che la realtà può essere anche questa? Se non avete cercato questo dipinto splendido, troverete certamente, in esso, un autentico tesoro. Apritene il coperchio ed immergetevi nelle divertenti e profonde immagini dell'opera

L’Enigma di Omero di Bartolomeo Passerotti sarà esposto nelle nuove sale del Cinquecento
Le Gallerie degli Uffizi hanno ritrovato e acquistato – nel mese di febbraio 2021 – questo dipinto del Cinquecento, da secoli ritenuto perduto. “Si tratta dell’Enigma di Omero, del maestro bolognese Bartolomeo Passerotti (1529-1592). – dicono agli Uffizi – Presto l’opera verrà esposta nelle nuove sale dedicate alla pittura del XVI secolo, di prossima apertura. L’enigma di Omero, scomparso dai radar degli studiosi e degli storici dell’arte, era noto esclusivamente attraverso le descrizioni di alcune fonti storiche e alcuni disegni preparatori e d’aprés”. Il quadro è un’allegoria principalmente dedicata al rapporto tra la volontà di chi cerca un risultato e la realtà che ne offre un altro ben più misero. Ma, come vedremo più in là, l’allegoria dell’enigma intende indurre un crisi di senso in chi ne affronta una soluzione univoca.

I SIGNIFICATI DEL DIPINTO

Attratto dal registro comico-grottesco – che velava, comunque, contenuti ermetici – Bartolomeo Passerotti affrontò magistralmente il tema dell’Enigma di Omero, che si prestava particolarmente al rilevamento di una linea tragicomica, che vela una verità più profonda.
“La scelta del tema rientra nella fortuna del mito omerico nella seconda metà del Cinquecento, testimoniata da grandi cicli di affreschi come quello di Giorgio Vasari e Giovanni Stradano in Palazzo Vecchio a Firenze, o ancora dalla decorazione di Pellegrino Tibaldi in Palazzo Poggi a Bologna. L’episodio dell’enigma di Omero, più raro rispetto alle scene tratte dall’Iliade e dall’Odissea, è riportato nelle edizioni in greco della Vita Homeri dello Pseudo-Plutarco, più volte stampate nel corso del Cinquecento”.

Vi si narra che Omero, mentre si trovava sull’isola di Ios, sedendo su una roccia in riva al mare sentì arrivare una nave di pescatori, cui chiese se avessero fatto buona pesca. “Gli uomini, che non avevano pescato nulla ed erano intenti a spidocchiarsi, risposero con questo enigma: ‘Quel che abbiamo preso, lo abbiamo lasciato, quel che non abbiamo preso, lo abbiamo tenuto’ (ὅσσ’ ἕλομεν λιπόμεσθ’, / ὅσσ’ ούχ ἔλομεν φερόμεσθα). La risposta all’indovinello era: i pidocchi, alludendo da una parte a quelli che erano riusciti ad eliminare e gettare in mare, dall’altra a quelli che non erano riusciti a togliere e portavano ancora addosso. Secondo il racconto dello Pseudo-Plutarco, Omero si arrovellò a tal punto sull’indovinello, senza venirne a capo, che ne morì”.

Perchè Omero non trovò la risposta? Perchè, nella vita, sovente, cerchiamo qualcosa e troviamo qualcosa d’altro, ben più misero. Cerchiamo di pescare pesci, ma torniamo con un “pugno di mosche” o meglio, con un pugno di pidocchi. Cerchiamo di rispondere a domande importanti, trovando una risposta appropriata. Ma a volte l’enigma prevede una risposta misera. Eppure la risposta misera non esaurisce la realtà dell’enigma, per il saggio che si arrovella mortalmente per afferrarne il significato arcano. Probabilmente il quadro intendeva sollecitare, come avveniva nelle allegorie cinquecentesche, più piani di risposte e di interazioni con le immagini, sollecitando analogie su più piani. L’enigma di Omero è un’allegoria, intesa come libera palestra del pensiero, che non si esaurisce con una singola risposta a un quesito. Ciò che si chiedeva al fruitore del dipinto era di collocarsi in modo interrogativo, davanti ad esso. Cercando, analogie. E le analogie – in positivo  in negativo – iniziano emergere. Ulisse – personaggio omerico – torna a Itaca, accolto dal proprio cane. Ciò che Ulisse ha cercato non è stato trovato. Torna con un pugno di mosche dalla grande impresa. E quali analogie nascoste esistono tra il quadro e il tema della Pesca miracolosa, costituendone un opposto?. Guardiamo l’opera e lasciamo trascinare da ciò che ci suscita, allontanandoci dai pidocchi.

Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529-1592), L’enigma di Omero 1570-1575 circa, olio su tela, cm 120 x 144, Uffizi, Firenze

IL PASSEROTTO SUL FILO
E’ LA “STEMMA PARLATO”
DI BARTOLOMEO PASSEROTTI

Bartolomeo Passerotti inseriva spesso l’immagine di un passerotto o di passerotti, nei propri dipinti, come firma, secondo le modalità dello stemma parlato. Per stemma parlato si intende la trasposizione di un cognome nell’immagine di un animale o di un oggetto che porta lo stesso nome. L’esempio? L’immagine di alcuni ricci, per i Ricci. Un cane barbone per i Bourbon; un osso preceduto da una D – in rebus – per Dosso. I volatili-firma – due passerotti per dire Passerotti – twittano nel dipinto. Il primo è sulla corda, il secondo prende forma tra i capelli e l’alloro di Omero, che ha il volto del pittore stesso. Quindi Passerotti si autoritrae in veste d’Omero e ed evidenzia l’autografia della propria opera con il suo volto e con lo stemma parlato.Raffaello Borghini, primo biografo del pittore, nella sua opera Il Riposo (1584) riporta una scrupolosa descrizione del dipinto, indicando l’autoritratto del pittore: “Un quadro grande in tela di colorito gagliardo a olio, dove sono in una barca i marinari che propongono l’enigma a Omero, che è sul lito; e da altra parte è una zingana e nel viso d’Omero ha il Passerotto ritratto se stesso e vi si veggono naturalissime l’acque del mare et alcune conche marine et un cane che par vivo”.

COM’E’ STATO TROVATO
IL QUADRO PERDUTO?

Gli esperti degli Uffizi e i colleghi hanno lavorato sui passaggi di proprietà rilevati nelle guide antiche e sulle genealogie, identificando la famiglia che l’aveva ereditato. In questo modo gli Uffizi hanno potuto acquistare il dipinto. Secondo la testimonianza dello stesso Borghini – dicono agli Uffizi – il quadro si trovava, all’inizio nel palazzo del letterato fiorentino Giovanni Battista Deti (1539-1607), collezionista e dilettante d’arte, nonché membro fondatore dell’Accademia della Crusca col soprannome di Sollo e autore, fra gli altri, del primo Vocabolario della Crusca. Nel 1677 Giovanni Cinelli ricorda il dipinto nel palazzo di famiglia del senatore fiorentino Carlo Torrigiani (1616-1684) in via Porta Rossa in casa, senza tuttavia riconoscervi la descrizione del Borghini e addirittura confondendo il soggetto rappresentato: un quadro “entrovi un Orfeo, che con la lira in mano trae alla riva dal mare una nave con cinque figure dentro, rapite dalla dolcezza ed armonia di quel suono, opera molto vaga”. Quindi dell’opera si smarriscono le tracce: negli studi moderni sul Passerotti, L’enigma di Omero era segnalato come perduto. Almeno fino ad oggi, quando il quadro è stato rintracciato proprio presso la famiglia dei discendenti di Carlo Torrigiani”.

 

Chi volesse vedere altri esempi di firme allegoriche dei pittori può guardare le divertenti immagini del nostro articolo, qui sotto.  Vi si accede, liberamente, cliccando sull’immagine

https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/allegoria-del-nome-quando-gli-artisti-si-firmavano-dipingendo-animali-o-rebus/

 

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Maurizio Bernardelli Curuz
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