Inedito. Dalla caverna dei tre filosofi si materializza l'autoritratto di Giorgione

La scoperta sull'uso diffuso delle criptofigure nell'arte del Cinquecento e del Seicento e l'anticipazione di ciò che emerge da un dipinto di Giorgione è firmata da Maurizio Bernardelli Curuz, nell'ambito di un progetto molto ampio che lo vede fondatore di questa nuova branca della storia dell'arte, accanto al collega Roberto Manescalchi. Due i dipartimenti di ricerca, creati all'interno di Stile arte

Giorgione, Tre filosofi, 1506-1508 circa, olio su tela, 123,5×144,5 cm, Kunsthistorisches Museum, Vienna
L’analisi della grotta ha consentito di porre in luce , oltre a una grande figura, costruita attraverso il dipinto delle rocce e delle foglie, un ritratto maschile, probabilmente un autoritratto. Il volto appare per essere decifrato da un punto distante dal quadro, poichè realizzato con le parti scure delle foglie di un rampicante che ascende sui bordi della roccia. Immagine prelevata senza alcun ritocco, nè integrazioni di alcun tipo, né aumento del contrasto, esclusa la freccia che indica il presunto ritratto del Giorgione

Alla nostra sinistra, figura antropomorfa realizzata con il criterio vuoto-pieno, oggi noto come effetto del vaso di Rubin (qui sotto). Un tecnica analoga è molto utilizzata attualmente nell’ambito della street art, sulla linea di Banksy. L’uso di un cartone ritagliato attorno alla silhouette del volto e ritagliato ulteriormente a livello del naso, degli occhi e della bocca permette di realizzare semplicemente e rapidamente il lavoro, potendo poi mutare, come nel caso di Giorgione, naso, occhi e bocca in foglie. Allontanandosi dal dipinto, le foglie progressivamente diventano più scure e tornano a determinare i vuoti e i pieni di un volto


Giorgione concepì i Tre filosofi non solo per una visione ravvicinata. Ma ne predispose il funzionamento espressivo, anche da un punto distante. Quella delle criptofigure che vengono alla luce, con massima messa a fuoco, a una decina di metri dal quadro è una nuova frontiera nell’ambito della storia della pittura del Cinquecento e del Seicento poichè offre nuovi strati da studiare, all’interno dei quali alcuni artisti inserivano, attraverso anamorfosi prospettiche o frontali, immagini visibili soltanto da un punto distante. O, ancora, immagini ambigue.
La scoperta sull’uso diffuso delle criptofigure nell’arte del Cinquecento e del Seicento e l’anticipazione di ciò che emerge da un dipinto di Giorgione è firmata da Maurizio Bernardelli Curuz, nell’ambito di un progetto molto ampio che lo vede fondatore di questa nuova branca della storia dell’arte, accanto al collega Roberto Manescalchi. Due i dipartimenti di ricerca, creati all’interno di Stile arte. L’indagine delle criptofigure leonardiane e della scuola toscana e centro-italica è coordinata da Manescalchi, mentre Bernardelli Curuz dirige le ricerche sui dipinti degli artisti lombardo- veneti ed emiliani. Le criptofigure non solo aprono nuove prospettive di lettura dei dipinti, ma contengono spesso autoritratti degli autori,  date, segni alfabetici e altri elementi preziosi che, fino ad oggi, non sono stati evidenziati  e che completano il significato dell’opera, fornendo importanti elementi di autografia. Le indagini sono state estese dai due studiosi anche alle cripto-figure o agli elementi di firma di pochi centimetri, che necessitano di una visione ravvicinata.

Elementi alfabetici (firma?) individuati, nel corso dell’indagine compiuta da Bernardelli Curuz, nell’area della grotta, a livello delle rocce dipinte dei Tre filosofi di Giorgione

Ciò che risulta molto interessante è che le indagini, oltre ad esplorazioni alla distanza, si basano sull’individuazione degli stessi elementi negli strati inferiori della pittura, rilevabili con riflettografie e prove di laboratorio.
Riducendo l’oscurità della grotta è possibile osservare una figura gigantesca – Ermete Trismegisto? – e, all’altezza della spalla sinistra il volto di un uomo con barba

 
“Noi tutti siamo abituati ad osservare le opere da un punto standard, cioè a una distanza che consenta di inquadrare l’opera. – spiega Bernardelli Curuz – La visione standard da museo è una convenzione puramente moderna. Nel passato, grazie alla presenza, nei palazzi, di ampie stanze o lunghi corridoi o di entrate laterali, i quadri venivano concepiti come emittenti di messaggi variabili, a secondo del punto di vista e della distanza stessa. Si tratta pertanto di uscire da una posizione standard che offre soltanto una visione frontale mediamente ravvicinata e che attiva solo un livello della visione”. “Fino ad oggi abbiamo guardato i quadri antichi a un solo livello, esplorando semmai più significati. Ma è come, in un concerto, poter ascoltare il “canto” di un violino solista, non percependo gli altri strumenti” prosegue Maurizio Bernardelli Curuz. (r. cr)
Confronto tra il volto emerso a lato della grotta (alla nostra sinistra) e alcuni ritratti di Giorgione (a destra)

Alla nostra sinistra, figura antropomorfa realizzata con il criterio vuoto-pieno, oggi noto come effetto del vaso di Rubin. Un tecnica analoga è molto utilizzata attualmente nell’ambito della street art, sulla linea di Banksy

 
 

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa